«Prese in giro», la ribellione delle donne
Flavia Amabile
La Stampa
18-05-2006
Da settimane sulle donne si danno i numeri. Saranno nove era arrivato a promettere Romano Prodi: si sono ritrovate in sei su venticinque ministri, uno striminzito 24%, per di più quasi tutte in ministeri non particolarmente pesanti in quanto a potere. Quando la tinta molto sbiadita del rosa di questo governo diventa realtà scoppia la delusione. Partono gli sms per le associazioni, si intasano i blog sulla rete, arrivano gli inevitabili sfottò delle donne del centrodestra, da Alessandra Mussolini «Vergognoso» a Stefania Prestigiacomo «le quote rosa erano indigeste sia al centrosinistra che al centrodestra».
Ma a essere deluse sono innanzitutto le donne della maggioranza. E quelle che nel governo sono riuscite ad entrare. Il neoministro delle Pari Opportunità Barbara Pollastrini inaugura il suo incarico ammettendo la partenza in salita: «Avrei voluto più donne. È chiaro che la qualità c'è ed è indiscutibile ma capisco anche perché serva ora più che mai il ministero delle Pari Opportunità...».
All’interno del governo e fuori, ci sono quelle del «Si poteva fare di più», una sorta di ritornello della giornata su queste inarrivabili «quote rosa». Lo ripete Livia Turco da ieri titolare della Salute. Se poi qualcuno le chiede di chi sia la responsabilità, lei rinvia la domanda: «Chiedetelo ai partiti».
Al gruppo di coloro che speravano di più si iscrivono in tante. C’è Marina Sereni, vicepresidente del gruppo dell'Ulivo alla Camera e Elena Cordini anche lei deputato dell’Ulivo. Ci sono le senatrici Loredana De Petris e Anna Donati del Gruppo «Insieme con l'Unione. Verdi- Pdci». anche perché - spiegano - «in queste ultime ore, tantissime donne ci hanno contattato per esprimere la loro delusione. Speriamo che la qualità delle politiche di questo governo possa almeno mettere riparo a questa insufficiente valorizzazione».
Ci sono le parlamentari europee, da Lilli Gruber a Pasqualina Napoletano, che chiedono «un sistema capillare di quote rosa». E c’è Wanda Montanelli dell’Idv che sulle quote rosa nella sua lista ha combattuto con un lunghissimo e inutile sciopero della fame: delusa ma anche disincantata: «erano tutti uomini a trattare».
Esiste un gruppo - meno numeroso in verità - di prudenti, come Livia Turco e Giovanna Melandri, da ieri ministre. Entrambe evitano ogni polemica, preferiscono sottolineare che a questo punto proprio «noi donne che facciamo parte di questo governo lavoreremo per dare opportunità alle altre donne in altri settori per farle emergere». O come Franca Chiaromonte, presidente di Emily, l’associazione che sostiene la presenza delle donne in politica, che comunque chiede «un segno visibile e significativo nel momento della nomina dei sottosegretari».
Poi ci sono le arrabbiate vere. Come Chiara Saraceno, docente di Sociologia della Famiglia all’Università di Torino che ieri si trovava in Germania per lavoro: «È una grande presa in giro. Dopo quella delle nomine istituzionali, è un'ulteriore presa in giro. Mi vergogno a spiegare alla gente come è fatto il mio paese».
Come Pia Locatelli, europarlamentare della Rosa nel Pugno e presidente delle donne dell’Internazionale Socialista: «Sono delusa, amareggiata e anche un po’ incavolata - spiega in un’intervista a Radio Radicale -. Questo da Prodi non me l’aspettavo». Per non parlare del presidente di Arcidonna, Valeria Ajovalasit che minaccia un esodo di massa. Romano Prodi «continua a prendere in giro le donne. L'unica cosa che ci rimane da fare è andarcene da questo paese in cui ancora vige il manuale Cencelli». Arrabbiate sono le donne dell’Associazione Letteraperta presieduta dall’ex direttore del Tg3 Daniela Brancati: «Purtroppo siamo ancora lontani dalla Spagna e dal Cile e ancora una volta ci tocca constatare che agli uomini va il portafoglio e alle donne la borsa vuota». E, a completare il panorama, per nulla contente anche le imprenditrici e le professioniste riunite nella Fondazione Bellisario: «È una cosa indecorosa - sostiene la presidente Lella Golfo - aver confermato il ghetto delle donne assegnando loro i problemi sociali e della famiglia».