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Articoli : Mastella, l'amnistia e il rischio di un berlusconismo di sinistra
Inviato da webmaster il 7/6/2006 0:10:00 (630 letture)

La proposta del ministro della Giustizia non potrà
andare in porto. E' l'eclissi dell'etica della responsabilità


di GIUSEPPE D´AVANZO
Sapevamo di dover fare i conti con un berlusconismo senza Berlusconi. Quindi, nulla di sorprendente che Mastella, neoministro della Giustizia, proponga un´amnistia che non ha alcuna possibilità di essere approvata dal Parlamento, nelle condizioni attuali. La patologia del berlusconismo è (non solo, ma soprattutto) eclissi dell´etica della responsabilità. Colpisce nello stesso modo la destra e la sinistra. La destra l´ha utilizzata in modo cinico e coerente, negli anni di governo, andando diritto verso i propri interessi e obiettivi distruggendo ogni principio (vedi le leggi "ad personam"). La sinistra è più irresponsabile e allegra: difende i principi senza curarsi degli obiettivi. Preferisce gridare i suoi buoni sentimenti, mostrare la nobile sensibilità del proprio stato d´animo senza preoccuparsi se quelle mosse e dichiarazioni di principio aiutano a risolvere il problema o lo aggravano.

Clemente Mastella %u2013 e il coro politico che lo accompagna e lo spensierato circuito mediatico che, senza incrinature, lo sostiene %u2013 ha le prerogative del berlusconismo di destra e di sinistra. È, insieme, cinico e anima bella. È crudamente logico (nella personale ricerca del consenso) e narcisisticamente "buonista". È spietato perché esercita questa sua irresponsabile "etica" sulla pelle dei più deboli, dei 61.392 poveri cristi che patiscono, in spazi per 46 mila posti disponibili nei 207 penitenziari italiani, il più infernale sistema carcerario europeo.

Il problema è noto. Le carceri italiane, dove il 36 per cento dei reclusi è in attesa di giudizio e il 29,8 per cento è "appellante", scoppiano. Può capitare di vedere sei detenuti stipati in celle costruite per ospitarne uno o che quattro reclusi debbano dividersi a turno tre letti. In quindici istituti il sovraffollamento è superiore al 200 per cento, per ogni posto ci sono due detenuti. Il 70 per cento non ha acqua.

Il 30 per cento è affetto da Hiv; il 36 da epatite B; il 27 rischia la tbc; diecimila sono malati di epatite C. Mancano medici, assistenti, operatori sociali, psicologi, insegnanti, guardie carcerarie e soprattutto "fondi" decurtati dal precedente governo del 40 per cento. A petto di questa catastrofe della civiltà e del diritto, il ceto politico si è mostrato da cinque anni a questa parte chiacchierone quanto impotente. Di amnistia, e di "piano Marshall" per chi fosse stato scarcerato, s´è parlato nell´anno del Giubileo, il 2000. E ancora nel 2002, quando a Montecitorio Giovanni Paolo II implorò la clemenza del Parlamento perché, disse, «ci vuole la luce per vedere nel buio e guardare oltre».

Un´ultima volta, sei mesi fa, nel Natale del 2005 per una "provocazione" di Marco Pannella. 207 deputati chiedono una convocazione straordinaria della Camera per discutere di amnistia e indulto. Dei 207 firmatari, quando la seduta ha inizio, ce ne sono soltanto 93 tra i 136 presenti (assente anche il ministro Roberto Castelli).

È cambiato qualcosa da allora, a parte il governo e il ministro di Giustizia? Non pare. Anche se la questione è nota, infatti, appaiono ancora sconosciute le vie per trovare una soluzione politica condivisa. Il problema è aggravato dalla legge e dall´"inutilità" dell´amnistia. Per approvare un provvedimento di amnistia o indulto, la Costituzione dal 6 maggio del 1992 prevede una maggioranza di due terzi dei componenti di ciascuna Camera (440 deputati su 660 eletti; 220 senatori su 330).

Il solo centrosinistra non è sufficiente alla Camera, tanto meno al Senato, e il centrodestra non sente ragioni in quanto non vuole abbandonare la linea dell´inasprimento delle pene per i recidivi (legge Cirielli) e i tossicodipendenti (legge Fini). Per di più, la sola amnistia avrebbe un effetto quasi nullo sull´affollamento delle carceri.

Anche se il provvedimento di clemenza comprendesse i reati con una pena prevista massima di cinque anni, sarebbero esclusi la detenzione delle droghe "leggere" e il furto aggravato, punibili con sei anni di carcere. Solitamente sono i reati più diffusi (tutti i furti sono "aggravati"). Puntare sull´indulto non muterebbe i termini della questione. Perché ha ragione chi prevede che, se non si predispongono adeguate misure di accoglienza e di sostegno al reinserimento delle persone scarcerate, i reclusi tornano presto in galera.

La prevenzione della recidiva e la protezione della "sicurezza", sostengono gli esperti, si ottiene con l´associazionismo, il privato sociale, gli enti locali con solide misure di sostegno e di opportunità per chi esce dal carcere. Qualcuno, al ministero o nel governo, sta lavorando a questi progetti? Non sembra.
Il fatto è che, per eliminare le patologie del nostro sistema carcerario, non si può cominciare dalla galera né pensare all´amnistia come alla scappatoia per ridurre l´affollamento delle carceri, a meno di non pensare che si possa svuotare il mare con il cucchiaio.

Occorre muovere in altre direzioni. Abbassare il quorum per deliberare i provvedimenti di clemenza, ad esempio. È illogico che, per approvare l´amnistia e l´indulto, sia necessaria una maggioranza maggiore di quella necessaria a modificare la stessa Costituzione. La riforma è nel programma dell´Unione, la si approvi. Si approvi una depenalizzazione che preveda per i reati non gravi sanzioni diverse dalla reclusione. Si approvino le modifiche indispensabili per ridurre i tempi della giustizia semplificando i processi nelle parti relative a notifiche, difensori, impedimenti, nullità, inutilizzabilità, valorizzando una deflazione effettiva con istituti come l´irrilevanza penale.

Il problema è noto, dunque, ma ha molte incognite (legislative, politiche, sociali). Vanno sciolte con un lavoro paziente, meticoloso, severo. Esclude la pappa pronta offerta da un malsano narcisismo mediatico. Prevede un´autentica volontà di risolvere i problemi; la capacità di costruire consenso intorno alle soluzioni; l´umiltà di ascoltare chi, da anni, sbatte la testa contro la sordità del ceto politico e la disperazione dell´inferno carcerario.

È troppo facile (e può apparire irresponsabile) andarsene in tv tra i corridoi di Regina Coeli, seguito da una coda di giornalisti, e dire: «Promuoverò l´amnistia. Se fosse per me, l´avrei già fatta». Sono ciarle che lasciano le cose come stanno, nel segno di un berlusconismo senza Berlusconi.

(5 giugno 2006)



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