BIMBI-CAMMELLO, LA FOLLE CORSA DEI PICCOLI SCHIAVI NEL DESERTO
Piccoli schiavi nel deserto. Hanno dai 5 ai 10 anni, vengono comprati per pochi dollari nei Paesi più poveri e portati nel Golfo Persico dove sono costretti a diventare fantini. Molti muoiono per denutrizione o per cadute. Un uomo dedica la vita a salvarli.
Per il quinto anno consecutivo Anti-Slavery International, la più vecchia organizzazione di diritti umani al mondo (è stata fondata nel 1839), denuncia la tratta dei "ragazzi-cammello" che continuano ad essere venduti dai parenti, o rapiti, nei Paesi più poveri dell'Africa e dell'Asia.
Portati negli Emirati Arabi, questi piccoli schiavi che hanno dai 5 ai 10 anni, vengono trasformati in fantini con la violenza. Alcuni muoiono cadendo durante le corse, altri restano mutilati per sempre. Molti si ammalano per le botte e la malnutrizione. Anzi, diciamo pure per la fame nera che devono patire, perché i padroni dei cammelli vogliono fantini magri, leggeri, e allora alla vigilia delle gare, negano loro persino un bicchiere d'acqua. Vincere, significa incassare i quattrini delle scommesse. Non importa se i bambini ci lasciano la vita.
Questo ignobile traffico, ovviamente, è vietato da tutte le leggi, comprese quelle in vigore nei Paesi Arabi dove a far correre i cammelli sono spesso i "signori del petrolio" ai quali pare che nessuno possa vietare qualcosa. E difatti sono inutili tutte le convenzioni sui diritti dei minori.
Anche quella firmata dalle Nazioni Unite, che ha chiesto di fissare a 18 anni l'età minima per l'impiego di fantini di cammelli, poiché si tratta di "un lavoro particolarmente pericoloso che mette a repentaglio la salute e la sicurezza dei ragazzi".
Gli Emirati hanno fatto orecchio da mercante, lasciando immutata la loro legge che fissa l'età minima a 15 anni. E, del resto, anche questa legge viene ignorata, come rivela un rapporto del Dipartimento di Stato statunitense: "I proprietari dei cammelli appartengono a famiglie potenti che sono a tutti gli effetti al di sopra della legge... Di conseguenza la richiesta di fantini minorenni non incontra alcun ostacolo".
Il traffico di bambini
Si calcola che siano 40 mila i piccoli fantini. Possono contare soltanto su un uomo che ha deciso di dedicare la vita alla loro liberazione. Quest'uomo si chiama Ansar Burney, viene dal Pakistan, è sposato e ha tre figli. La sua è una storia straordinaria che comincia 16 anni fa. Quel giorno Burney è a Dubai, capitale dell'omonimo emirato, una città di lucenti grattacieli costruiti negli anni Settanta con i proventi delle vendite di petrolio di cui il piccolo Paese (860 mila abitanti) è grande produttore.
Per curiosità, Burney aveva accettato l'invito ad assistere ad una gara di cammelli. Ricorda: "Quando sbucarono sulla dirittura d'arrivo, strizzai gli occhi incredulo perché i fantini mi sembravano dei nanetti. Poi mi accorsi che erano bambini". Ad un tratto un cammello si stacca dal gruppo e il fantino urla di paura. L'animale lo considera un incitamento e accelera ancora. Più il bambino grida e più il cammello va veloce. Ma a pochi passi dal traguardo, le briglie scivolano dalle mani del fantino che vola sulla sabbia. Gli altri cammelli lo sfiorano, forse qualche zoccolo lo calpesta. Un inserviente lo raccoglie e lo trascina via. Lo carica su un furgone e parte.
Comincia un'altra corsa, l'incidente è già dimenticato. Però uno spettatore lascia la tribuna, sale sulla propria auto e segue il furgone. È Ansar Burney. Racconta: "Dopo qualche chilometro di deserto, il furgone si fermò in un accampamento fatto di poche baracche con il tetto di lamiera. Il caldo era soffocante, 50 gradi. In un recinto ruminavano i cammelli e con loro c'erano 22 bambini. Affamati, impauriti. Quel giorno decisi che era mio dovere liberare quei piccoli schiavi ".
Per prima cosa Burney vuole capire come funziona il traffico. I bambini arrivano dal Pakistan, dal Bangladesh, dallo Sri Lanka, dall'India e anche da alcune nazioni africane, come Sudan, Etiopia e Mauritania. Entrano clandestinamente negli Stati del Golfo dove, per tradizione, si svolgono le corse dei cammelli: Qatar, Kuwait, Oman e soprattutto gli Emirati. Alcuni sono rapiti, altri sottratti alle famiglie con l'inganno, magari con la promessa di essere adottati da una famiglia ricca. E ci sono anche bambini venduti per una manciata di banconote. In Bangladesh, per esempio, il compenso non arriva a 3 mila takas, appena 75 dollari.
Agli aeroporti passano i controlli in braccio a madri finte. Oppure sono stipati in un container che, grazie ad una mancia al doganiere, evita i controlli. Li attendono campi di lavoro, baracche senza acqua né elettricità, come quello che Burney vide quel giorno di 16 anni fa.
I bambini dormono ammassati su una stuoia. Sveglia alle 3 del mattino, ritirata alle 9 di sera. Diciotto ore per accudire i cammelli ed allenarsi a correre. Se vai piano, sei preso a calci, se urli per lo spavento la velocità aumenta. I più piccoli, che non hanno la forza per stringere le briglie e barcollano fra le gobbe dell'animale, vengono legati alla sella. Così per ore e ore, finché la schiena si spezza e il cuore esplode. All'ora del pasto, tre gallette o mezza pagnotta. I fantini devono essere ultraleggeri e quindi denutriti.
Liberarli a qualsiasi costo
Burney fonda un'organizzazione per la difesa dei diritti umani, la Ansar Burney Welfare Trust International, e comincia a liberare i ragazzi-cammello. A volte riscattandoli con i soldi, oppure con le minacce e persino con la forza. Spiega: "Ci sono molti modi per aiutare chi soffre. Ma non basta sedersi a una scrivania e buttare giù una dichiarazione. Io vado a tirare fuori dai guai chi ci è finito dentro. Non importa come". In 16 anni ne ha liberati qualche migliaio, 387 solo nel 2004. Dice: "Le cifre valgono poco. Quello che conta è non dimenticare che la vergogna dei ragazzi-cammello continua". Per farla finire, Burney racconta al mondo le storie più atroci.
Amir Abbas era un bambino pakistano di 6 anni rapito alla famiglia con il fratello Nadir. Chiuso in una baracca, invocava la mamma e piangeva tutto il giorno. Per questo i guardiani lo tormentavano. Un giorno lo legarono in groppa al cammello, una frustata e via. Riuscì a stare in equilibrio. "Corri ancora", gli ordinarono. Il bambino era esausto: cadde e si spezzò la spina dorsale. Venne sepolto qualche duna più in là, senza lasciare orme sulla sabbia.
Talvolta la liberazione arriva troppo tardi. Najmul aveva 7 anni e veniva dal Bangladesh. Suo padre, allettato da promesse di denaro, aveva acconsentito che un trafficante lo portasse negli Emirati. Il bimbo finì nelle solite baracche, sotto le stesse lamiere assolate. Era meno magro degli altri fantini e cominciò subito la tortura: gli davano giusto il cibo perché si reggesse in piedi. Un giorno lo sorpresero a mangiare il pastone destinato agli animali. Prima lo frustrarono, poi lo collegarono ad un generatore di corrente provocandogli scosse in tutto il corpo. Sopravvisse e venne liberato due anni dopo, nel dicembre del 2000. Nel frattempo aveva riportato danni irreversibili a entrambi i reni, probabilmente perché gli era stata negata anche l'acqua. Fu ricoverato in ospedale a Dhaka, dov'è morto l'11 aprile del 2001.
Per vincere la sua battaglia Burney usa tutte le armi che conosce. Qualche mese fa ha nascosto una micro-telecamera in un accampamento clandestino. Ne è scaturito un documentario agghiacciante, trasmesso poi da una rete via cavo americana. Lo sceicco Mohammed bin Zayed l'ha visto e ha deciso di inasprire i controlli alla frontiera e di creare ad Abu Dhabi un ostello per ospitare i bambini strappati ai predatori. Anche il Qatar sembra intenzionato a cambiare rotta: ha annunciato che proverà l'impiego di mini-robot come fantini. Ansar Burney sospira: "Non m'illudo, ma qualche volta gli uomini sanno correggersi".
LIDIA GIANASSO
http://it.peacereporter.net/articolo/1862/Prigionieri+di+un+gioco