GUERRA E FAME. ONU: CIRCOLO VIZIOSO CHE STA SCHIACCIANDO 56 MILIONI DI PERSONE AL MONDO
I conflitti protratti, che attualmente interessano 17 paesi, hanno ormai intrappolato oltre 56 milioni di persone nel circolo vizioso di violenza e fame. È questa la denuncia di due agenzie delle Nazioni Unite contenuta oggi in una serie di rapporti presentati al Consiglio di sicurezza Onu e pubblicati oggi. Redatti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) e dal Programma alimentare mondiale (Wfp), tali documenti mostrano come guerre e conflitti abbiano ormai sprofondato decine di milioni di persone a livelli di insicurezza alimentare di “crisi” o di “emergenza”, espressi in termini utilizzati dalla Scala di Classificazione integrata della sicurezza alimentare (Ipc).
Sono appunto 17 i paesi in cui il conflitto ha colpito in modo significativo la sicurezza alimentare: in America Latina e nei Caraibi, Haiti e in Colombia; in Africa, Burundi, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Guinea Bissau, Costa d’Avorio, Liberia, Mali, Somalia, Sud Sudan; in Medio Oriente, Libano, Iraq, Siria e Yemen; e in Asia, l’Afghanistan. È stato anche presentato un rapporto aggiuntivo sulla crisi regionale del Lago Ciad che interessa la Nigeria, il Niger, il Ciad e il Camerun. In questi paesi la violenza associata a Boko Haram ha triplicato il numero delle persone sfollate negli ultimi due anni, insieme a crescenti livelli di fame e malnutrizione.
«Il conflitto è una delle principali cause della fame. Ogni carestia in epoca moderna è stata caratterizzata da conflitti», hanno spiegato il direttore generale della Fao, José Graziano da Silva, e la direttrice esecutiva del Wfp, Ertharin Cousin
In cima alla lista in termini di quantità di persone la cui sicurezza alimentare è influenzata negativamente dal conflitto in corso, vi sono lo Yemen, dove 14 milioni di persone – oltre metà della popolazione – sono ora in uno stato di crisi o di emergenza sulla scala IPC, e la Siria, dove 8,7 milioni di persone – il 37% della popolazione pre-conflitto – hanno bisogno urgente di assistenza alimentare, nutrizionale e per i mezzi di sussistenza. In Sud Sudan, dove la situazione si sta rapidamente deteriorando 4,8 milioni di persone – circa il 40% della popolazione – hanno bisogno urgente di assistenza alimentare, nutrizionale e per i mezzi di sussistenza. E nei paesi che escono da lunghi periodi di guerra civile, come la Repubblica Centrafricana e la Colombia milioni di persone sono ancora alle prese con alti livelli d’insicurezza alimentare. In altri paesi, anche se il numero assoluto totale di persone che devono fare i conti con l’insicurezza alimentare sono più bassi, la quota di persone con gravi livelli d’insicurezza alimentare rappresenta oltre la metà della popolazione totale. La strabiliante cifra dell’89% di tutti i rifugiati siriani attualmente in Libano necessita con urgenza di assistenza alimentare, nutrizionale e per i mezzi di sussistenza. In Burundi e Haiti, il 23% e il 19% delle persone rispettivamente sono a livello di Ipc 3 o 4, mentre nella Repubblica centrafricana, il 50% della popolazione è livello 3 della scala Ipc o peggio.
«I conflitti – hanno sottolineato José Graziano da Silva e Ertharin Cousin – minano la sicurezza alimentare in diversi modi: distruggendo le colture, il bestiame e le infrastrutture agricole, perturbando i mercati, provocando masse di sfollati, creando paura e incertezza su come soddisfare le esigenze future, danneggiando il capitale umano e contribuendo alla diffusione di malattie. I conflitti creano anche problemi di accesso per i governi e per le organizzazioni umanitarie, che spesso hanno difficoltà a raggiungere le persone che hanno maggior bisogno. Affrontare la fame può dare un contributo significativo alla costruzione della pace».
Le stime più recenti indicano che circa la metà dei poveri a livello globale vivono in paesi colpiti da conflitti e violenze. Le persone che vivono in queste aree hanno fino a tre volte in più la probabilità di essere malnutriti rispetto a quelli che vivono in aree più stabili. Paesi post-conflitto con un’alta insicurezza alimentare hanno una probabilità del 40% di ricaduta nel conflitto in un periodo di 10 anni, se i livelli di fame non vengono affrontati. «L’Agenda 2030 – concludono dall’Onu – riconosce la pace come condizione indispensabile per lo sviluppo, così come un risultato dello sviluppo a se stante». È la stessa Agenda che anche l’Italia si è impegnata a rispettare: «In un momento in cui la politica pensa esclusivamente a soluzioni di breve termine, l’Agenda 2030 – ebbe a dichiarare il premier Matteo Renzi – è un’opportunità per tutti di ripensare gli obiettivi delle scelte legislative ed economiche, soprattutto per l’Italia». Mettiamola a frutto.
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