Roma, 29 marzo 2008
Casa Internazionale delle Donne
CONFERENZA STAMPA
LA DEMOCRAZIA INCOMPIUTA E IL DESERTO DELLE OPPORTUNITA’
PER L’IMPEGNO FEMMINILE IN POLITICA
Intervento di Wanda Montanelli:
“Il nuovo Parlamento sarà un Parlamento nominato più che eletto. […] Abbiamo bisogno che l’Italia mandi in Parlamento persone capaci, che i cittadini possano scegliere non trasformandosi in semplici notai delle decisioni delle segreterie dei partiti. […] Credo sia arrivato il momento che tutti, con i fatti e non solo con le parole, mettano finalmente i meritevoli in
condizione di emergere e di progredire”.
La composizione delle liste "non rappresenta certo un passo avanti in tema di miglioramento della classe dirigente e di criteri di selezione trasparenti dei suoi esponenti. Penso alle molte candidature fatte sulla base della 'categoria' di appartenenza piuttosto che sul valore individuale.
Cooptazione al ribasso e mancanza di trasparenza nei confronti
degli elettori sono prima di tutto il segno di una mancanza di rispetto verso l'istituzione fondamentale della nostra repubblica, il Parlamento.
Guardate, queste non sono le parole di un pericoloso sovversore. Non sono le parole della “ribelle” Wanda Montanelli, indisciplinata dirigente dell’Italia dei Valori. Questo è un virgolettato di Luca Cordero di Montezemolo di appena dieci giorni fa. Partiamo da questo dato.
La realtà incontrovertibile è che in Italia esiste in questo momento un deficit democratico e quanto più il tempo passa tanto più il gap con tutte le altre democrazie avanzate del mondo va ad accrescersi senza che noi si faccia nulla.
Vi sono partiti, come l’Italia dei Valori, in cui non soltanto non viene fatto il minimo sforzo per invertire questa tendenza negativa, ma addirittura si ha la sensazione, quanto a pari opportunità e rispetto della componente partitica femminile, che ci si adoperi nel senso contrario. Usare il “Porcellum” in modo sconsiderato, per definire la solita lista di neoparlamentari uomini, per di più con l’aggravante di averli prelevati per grandissima parte dalla cosiddetta “società civile” ignorando quanto di buono è stato fatto in tanti anni da tutte quelle donne, ma anche quegli uomini, che all’interno del partito hanno speso per un ideale la propria vita, lo considero un atto di autentica barbarie politica. E’ un inaccettabile gesto di prepotenza rispondente a logiche del tutto estranee alla democrazia intesa nel senso più puro ed elevato del termine.
Privare una parte del partito, quella femminile, quella storicamente meno forte e radicata, delle risorse previste per legge per la promozione politica delle donne è, anche questo, un qualcosa di profondamente sbagliato, che non va bene e che sa di beffa in aggiunta al danno.
La mia è una causa pilota. Una modalità nuova, diversa, inesplorata per ottenere i diritti politici costituzionalmente garantiti. Non si dovrebbe arrivare a tanto, lo so, sono la prima a riconoscerlo. Ma nello stesso tempo sono perfettamente consapevole che non c’era altro da fare. Voglio che sia chiaro a tutti: non esiste una via percorribile per superare i tanti, infiniti ostacoli frapposti sul cammino delle donne da chi in questo Paese detiene il potere. Dieci anni sono lunghi, ho già provato tutto il provabile. Tutti i percorsi onesti e dentro i confini della legalità. Avverto la necessità di questa azione legale perché dopo aver tentato ogni tipo di mediazione politica e intrapreso con fattivo impegno ogni possibile dialogo, ho trovato null’altro che deserto.
Lo sciopero della fame c’è già stato nel 2006, sono giunte le lettere di Prodi e di Di Pietro che mi invitavano dopo 27 giorni a smettere e assicuravano una maggiore attenzione in futuro alle donne. Promesse di cambiamento non solo non mantenute ma che si sono rivelate delle vere e proprie prese in giro, viste nell’ottica del legittimo riconoscimento e della valorizzazione delle esponenti politiche impegnate, ad ogni livello, nel partito Italia dei Valori.
Abbiamo raccolto le sottoscrizioni (120 mila firme è stato il risultato) e presentato, con l’UDI, una proposta di legge di iniziativa popolare per introdurre un tangibile riequilibrio tra i generi in ogni settore della società: “50 e 50 ovunque si decide” è l’efficace sintetico slogan ideato dalle amiche dell’Unione Donne in Italia. Bene, nel caso dell’Italia dei Valori, lo dico con profondo dispiacere, quasi con dolore, questo slogan è pura fantascienza. Ho chiesto, prima della definizione delle liste dei candidati, di collocare in testa alle liste “7 magnifiche donne”, cioè, appena 7 esponenti femminili dall’altissimo profilo personale, da scegliersi insieme, sulla base anche dell’impegno profuso negli anni nella costruzione di quella casa comune che è l’Idv . Una richiesta fatta, peraltro, conoscendo la tipologia e la forma mentis dell’interlocutore. Un’istanza, quindi, molto, ma molto al di sotto del “minimo sindacale”. Le liste dell’Italia dei Valori poi le avete viste, sono pubbliche e pubblicate e direi che purtroppo si commentano da sole.
Tra l’altro nel 2006, quando feci il mio primo sciopero della fame, lanciai già un allarme molto circostanziato: feci presente, dati alla mano, che in termini percentuali la proposta di presenze femminili in condizioni di concreta eleggibilità era irricevibile. E non soltanto per me ma per chiunque avesse davvero a cuore le sorti della componente femminile e le sue dinamiche di sviluppo. Ci furono le elezioni, si insediarono i nuovi parlamentari e tutti i più attenti notisti politici presero coscienza del fatto che – ahimé - nonostante le smentite di rito e le accuse di allarmismo che mi furono rivolte, la mia non era stata una previsione errata ma anzi somigliava molto ad una fotografia scattata anzitempo. Lo ricordo a giovamento di chi non seguì da vicino le vicende del nostro partito: su 25 parlamentari eletti (o nominati, se preferite), le donne furono appena 3. Due delle quali - cioè la senatrice Franca Rame, e l’on. le Federica Rossi Gasparrini - vennero “cooptate” dall’esterno del partito, senza aver condiviso il percorso evolutivo dell’Italia dei Valori. E forse non è un caso che entrambe abbiano in seguito lasciato il partito che le ha fatte eleggere. La terza parlamentare è l’on.le Silvana Mura che fra l’altro è anche la tesoriera dell’Idv. Quindi converge ora su di sé la doppia responsabilità di essere, al tempo stesso, l’unica donna eletta del partito e anche la dirigente Idv che sottoscrive i bilanci attraverso cui dovrebbe prevedersi lo stanziamento dei fondi assegnati per legge alla componente femminile. Stanziamento che non mi risulta (e non ci risulta) sia mai stato disposto.
Secondo i dati recentemente diffusi dal Parlamento Europeo l’Italia è, con appena il 16,7% di eurodeputate, al quart’ultimo posto per presenze politiche femminili a Strasburgo.
All’interno del nostro Paese la situazione non migliora. “Non possiamo ignorare la gravità dello squilibrio persistente in Italia a danno delle donne nella rappresentanza politica”. Ancora una volta non sono io a dichiararlo. E’ un parere assai più autorevole del mio: quello del Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano, il cui recente appello per il rispetto dell’art. 51 della Costituzione, che prevede pari opportunità fra donne e uomini nell'accesso a cariche elettive, sembra essere caduto nel vuoto. Almeno scorrendo le liste delle candidature di alcuni partiti.
Pochi giorni fa sono stati resi noti anche i dati internazionali dell’Unione Interparlamentare (Uip) sulle presenze femminili nei parlamenti dei singoli stati. L’Italia è ancora mortificata al 68° posto, a distanza siderale dai ‘soliti’ Paesi scandinavi, mentre al 67° si collocano, ex-aequo, Uzbekistan e Tagikistan.
Ecco, io mi chiedo il perché di tutto questo? Quanto tempo deve ancora passare? Quale peccato dobbiamo scontare? Le donne, vorrei non lo si dimenticasse, sono colpevoli di innocenza, perché non hanno mai governato (e.. il mondo che noi vorremmo non è questo così mal gestito sotto ogni punto di vista).
La modalità “tecnica” che si segue per impedire alle donne di arrivare nei luoghi di incidenza politica, come l’Esecutivo del partito, il Parlamento o altri luoghi istituzionali, è particolarmente sottile ma, tutto sommato, non richiede grandi sforzi di fantasia. Le si costringe a rinunciare ai loro ideali confidando semplicemente nell’insorgenza, al loro interno, di sentimenti di delusione e di stanchezza a fronte delle ripetute non-gratificazioni ricevute”. Viene detto loro di arare e seminare ma poi non viene loro consentito di raccogliere i frutti. Le si fa edificare per poi assegnare la casa costruita con tanto sacrificio ad altri che magari neppure conoscono. Ve lo posso assicurare, dopo un po’ tutte e tutti mollano. Direi che è quasi fisiologico. In tanti anni ho conosciuto e visto passare centinaia, forse migliaia di persone che hanno lasciato per stanchezza, per avvilimento. Dopo anni di impegno decidono, in ventiquattrore, di andarsene. I più senza neppure sbattere la porta. Perfino chi ha deciso di lottare con me, di resistere e di opporsi a questo ingiusto stato di cose – e per fortuna sono migliaia in tutta Italia – a volte mi scrive una email per chiedere di tirarsi fuori e non ricevere ulteriori notizie perché non crede più nella possibilità di un cambiamento. In questi casi mando una email al mio webmaster con un acronimo che solo noi due sappiamo “S.R.P.cancellalo”. Sta per “Si è Rotto le P… cancellalo”.
Ecco, credete che dobbiamo tutti fare quella fine? Essere cancellati e far finta di non essere mai esistiti? Non è meglio lottare? In fondo la storia si scrive con le nostre azioni. Fatto dopo fatto, istante dopo istante. Adesso è questo che mi sento di fare: sciopero della fame e denuncia alla Magistratura. Una specie di contrappasso per Tonino Di Pietro. Un modo per ottenere, attraverso una terza via, quello che i buoni leader politici riconoscono autonomamente, affermando i diritti e la dignità delle persone meritevoli.
Se credete che non mi sia costata sofferenza prendere una decisione simile vi sbagliate. E’ come denunciare tuo fratello. Si può fare a cuor leggero? Eppure non esiste altra soluzione. O fare rispettare gli articoli 51, 2 e 3 della Costituzione o mollare, anch’io esattamente come tutti gli altri. Quei principi devono essere osservati da ognuno di noi, sì o no? Anche i partiti sono tenuti ad attenersi ai dettami costituzionali? O ci sono zone franche? Noi non vogliamo che ve ne siano. Sono oltre dieci anni che lavoriamo ispirati da un profondo senso di uguaglianza e giustizia e perché non ci siano zone franche. Per nessuno.
Non avverto né fame né freddo. Potrei digiunare chissà per quanto ancora senza raggiungere un livello di deprivazione del corpo lontanamente paragonabile al minimo esistenziale raggiunto attraverso l’umiliazione del mio spirito.
Si è acuito nell’anno appena trascorso (2007, anno europeo per le pari opportunità) lo spregio nei confronti delle tematiche femminili dell’IDV, tanto è vero che anche la festa nazionale di Vasto del 2007 è stata organizzata senza tener minimamente conto della presenza femminile, come si vede dal programma trascorso. Molte donne responsabili locali, e io stessa ci siamo rifiutate di partecipare a tale manifestazione in qualità di semplici astanti.
Adesso di nuovo queste liste discriminanti e offensive.
Sono offesa, amareggiata, sono ancora però in grado di combattere per i miei, i nostri ideali. Ecco perché siamo qui oggi.
Grazie a tutti i presenti.
Wanda Montanelli