Nextgeneration-Ue, investire su infanzia e formazione. Così si eliminano diseguaglianze e si lavora per la parità di genere
Investire nell’educazione è investire sul futuro. Lo abbiamo sentito dire molte volte, ma sembra finalmente arrivato il momento che queste parole si concretizzino. La pandemia ci ha mostrato il ruolo cruciale dei servizi educativi, nella vita dei bambini e delle bambine, così come nel quadro complessivo di un welfare di supporto alle famiglie, requisito essenziale per il macro-obiettivo del raggiungimento della parità di genere.
La nuova generazione su cui investire
Quella di ampliare, rafforzare e integrare la copertura dell’offerta dei servizi educativi e scolastici per i bambini tra 0 e 6 anni nonché degli interventi a sostegno della genitorialità è una delle priorità che si sono imposte sull’agenda nelle discussioni relative all’utilizzo del fondo #NextGenerationEU, che già dal nome mette al centro le nuove generazioni.
La Commissione Europea ha riconosciuto - nel Quadro Strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione per il 2020 – il ruolo centrale della filiera educativa nel dotare i bambini, sin dai primissimi anni di vita, delle competenze necessarie per affrontare gli ostacoli nel loro percorso di vita. Sono numerosi, inoltre, gli studi europei e nazionali che mostrano come la possibilità di frequentare servizi educativi di qualità sia un fattore decisivo per il pieno sviluppo della persona nonché per il contrasto alle disuguaglianze e il superamento di situazioni di vulnerabilità o povertà educativa.
Inoltre, l’accesso all’istruzione e l’educazione fin dai primi anni di vita ha ricadute positive sul benessere complessivo delle famiglie dei bambini e delle bambine – favorendo e sostenendo le rispettive scelte riproduttive e lavorative – nonché sulla coesione sociale e lo sviluppo economico delle comunità, rafforzandole sul lungo periodo.
Secondo gli ultimi dati Istat la disponibilità di nidi in Italia è ancora bassa e fortemente differenziata sul territorio. A fronte di una media nazionale del 25% di copertura, al sud il dato scende al 10%. Il cosiddetto obiettivo di Barcellona – ossia la copertura pubblica di almeno il 33% dell’offerta di nidi in ciascuna Regione – richiederebbe 298.848 posti aggiuntivi rispetto ai 159.849 oggi disponibili, con un costo aggiuntivo, secondo stime dell’Alleanza per l’infanzia, di circa 4,8 miliardi di euro in conto capitale e circa 2,7 miliardi di spesa corrente annua. A questo si aggiunge l’obiettivo della gratuità del servizio nella fascia 0-3 per un costo di circa 1 miliardo e 325 milioni l’anno oltre ai circa 120 milioni l’anno per generalizzare sulla stessa fascia il tempo pieno.
Già nel Piano Colao si evidenziava la necessità di ampliare i posti nei nidi pubblici e privati per arrivare a una copertura del 60% per i bambini fino ai 3 anni. Tra i progetti presentati dal Governo e candidati a beneficiare del Recovery Fund sul tema si trova il n.133 denominato “Cofinanziamento per lo sviluppo di servizi educativi per la prima infanzia” che corrisponde a una richiesta di 2,9 miliardi di euro di co-finanziamento e un orizzonte di 5 anni per raggiungere una copertura del 50% dei nidi d’infanzia. Secondo le autrici di una recente indagine di In genere – Francesca Bettio ed Elena Gentili - una prospettiva più sostenibile potrebbe essere quella del 40% di posti entro 6 anni, ossia il 15% in più rispetto al dato odierno. Anche in questo caso la proposta si accompagna con una maggiore flessibilità degli orari di apertura dei servizi e in particolare all’aumento del tempo pieno.
Tutte le ipotesi di espansione dell’offerta dei nidi devono fare i conti con tre criticità fondamentali: fattibilità, “cantierabilità”, e sostenibilità finanziaria sul breve e lungo termine (ossia a regime). Tutti criteri che ci sembrano imprescindibili per una richiesta credibile di finanziamento secondo i canoni del fondo europeo.
Buone pratiche dal Lazio
La Regione Lazio rappresenta sicuramente un modello virtuoso sul tema. In agosto, il Consiglio regionale ha approvato la legge 7/2020 – di cui sono stata orgogliosamente prima firmataria – con cui si è innovata la materia dopo oltre quarant’anni e, per primi in Italia, si è attuato il decreto-legge 65/2017 in materia di sistema integrato di educazione e istruzione sulla fascia 0-6 anni.
Tutta la legge mette al centro i diritti delle bambine e dei bambini, in primis quello all’educazione di qualità e alla crescita sana ed equilibrata. In anticipo rispetto al dibattito nazionale abbiamo previsto servizi educativi sperimentali e innovativi – come quello in natura o in orario notturno - con una forte attenzione alla sicurezza scolastica, l’eco-sostenibilità, la prevenzione degli abusi. In sintesi, la legge mira a contrastare i fenomeni della dispersione scolastica e della povertà educativa, garantendo pari condizioni di accesso e partecipazione ai servizi educativi per le bambine e bambini, senza distinzione alcuna di genere, sesso, etnia, età, disabilità e orientamento religioso delle famiglie, garantendo pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco.
Ho da subito definito questa legge come una legge a favore delle donne e delle famiglie in generale, poiché dietro al testo l’idea è quella di ridare valore sociale alla maternità e alla paternità attraverso un investimento serio in infrastrutture sociali. In particolare, la sfida di una legge sui servizi per l’infanzia persegue indirettamente l’obiettivo di incrementare l’occupazione femminile migliorando gli strumenti di conciliazione, ripensare il modello di welfare familiare e redistribuire il carico di lavoro di cura nonché abbattere le disuguaglianze sociali e territoriali. Se infatti la destinazione strategica e mirata degli investimenti è il motore per creare posti di lavoro per le donne, gli asili sono strumenti indispensabili per mantenerli e la parità di genere non è qualcosa che si ottiene con una legge, ma con un’ottica trasversale in tutte le politiche pubbliche, in primis quelle che riguardano il welfare.
La forza della legge regionale è l’importante dotazione finanziaria pari a 10,5 milioni per il 2020, 17 milioni per il 2021 e 21 milioni per il 2022. Questo consentirà, tra le altre cose, di rendere concrete previsioni come i voucher per le famiglie con l’obiettivo di azzerare progressivamente le rette degli asili nido. Come dimostrato da numerosi studi, l’offerta di lavoro femminile è particolarmente reattiva al prezzo dei servizi di cura nei confronti dei bambini ed è stato calcolato come l’abbattimento delle rette dei servizi educativi possa avere un ingente impatto positivo sui tassi di occupazione per le donne.
Gli asili figurano tra le 41 priorità su cui lavorare nel periodo 2021-2026 del #Nextgenerationlazio, il pacchetto di progetti da 17 miliardi che il Lazio ha sottoposto al governo nella Conferenza Stato-Regioni. Le linee strategiche sono modernizzazione (7 miliardi), transizione ecologica (5,3) e inclusione sociale (4,8) e tra le richieste figurano quella di mezzo miliardo per potenziare la rete e l’offerta dei servizi educativi regionali.
Un piano strategico per sostenere le famiglie, le giovani coppie e le donne. Si inizia con 500 strutture nuove e 50 milioni per sostenere l’apertura, in particolare in termini di nuovo personale. Sono piccoli grandi passi frutto di una rinnovata coscienza intorno al valore strategico dei servizi per l’infanzia e in generale alla scuola. Ora le istituzioni hanno il compito di sfruttare al meglio la grande e irrinunciabile possibilità offerta dal Recovery Plan e, stavolta davvero, investire nella nuova generazione di europei e italiani.