La proposta di legge sui diritti delle persone trans che sta dividendo la sinistra spagnola
Da giorni in Spagna si discute del disegno di legge per il riconoscimento dei diritti delle persone transgender, che è stato proposto assieme alla bozza della legge contro la discriminazione delle persone LGBT+. La cosiddetta “Ley Trans” faceva parte del patto della coalizione di governo, che è formata dal partito di sinistra Unidas Podemos e dal Partito socialista spagnolo (PSOE, di centrosinistra), il cui segretario è il primo ministro, Pedro Sánchez. La ministra dell’Uguaglianza Irene Montero, di Podemos, intende portare avanti entrambe le proposte affinché vengano approvate entro la prima metà di febbraio: ma il PSOE si sta opponendo. Il conflitto sulla “Ley Trans” è complesso e non riguarda solo i partiti che sostengono il governo, ma anche i movimenti femministi.
L’attuale legge spagnola prevede che per cambiare la propria identità di genere sul documento d’identità siano necessari almeno due anni di trattamento ormonale e una diagnosi medica o psicologica che attesti la cosiddetta “disforia di genere”, cioè una condizione di sofferenza indotta dalla non corrispondenza tra genere intimamente esperito e genere espresso (socialmente e fisicamente).
Se negli anni la predisposizione delle maggiori istituzioni nel campo della salute è stata quella di slegare la condizione delle persone di genere non conforme da quella di malattia (il “Disturbo dell’Identità di Genere” è stato sostituito con la parola “disforia” e, in alcuni casi, con “incongruenza”), prassi e legislazioni continuano a basarsi su premesse patologizzanti: a considerare cioè le persone trans come malate, che di conseguenza devono essere curate. Impongono un percorso clinico-diagnostico obbligatorio per proseguire la transizione. In Spagna, così come in Italia, per il riconoscimento legale del proprio genere la persona trans deve dunque presentare una diagnosi di disforia.
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La nuova proposta di legge spagnola, invece, prevede l’autodeterminazione della propria identità di genere sopra i 16 anni, senza la necessità di certificati che attestino la disforia di genere né la necessità di «modifiche dell’aspetto o delle funzioni del corpo della persona attraverso procedure mediche, chirurgiche o di altra natura». Il disegno di legge prevede che sia «sufficiente la libera dichiarazione della persona interessata», senza altri requisiti, e riconosce inoltre le identità non binarie, ammettendo che le persone che non si identificano come uomo o come donna possano anche non indicare il proprio sesso sulla carta d’identità.
La nuova legge consente inoltre l’accesso ai trattamenti per la riproduzione assistita alle «persone trans con capacità di gestazione» che lo desiderino, così come prevede la possibilità di ricorrere alle tecniche di crioconservazione del seme o delle cellule riproduttive delle persone che stanno seguendo dei trattamenti ormonali.
Per la Federación Estatal de Lesbianas, Gais, Transexuales y Bisexuales (FELGTB), la principale organizzazione LGBT+ spagnola, la legge migliorerebbe la vita delle moltissime persone che subiscono discriminazioni o maltrattamenti psicologici per via della loro identità di genere, facilitando il percorso di transizione e il riconoscimento dei loro diritti legali. Uge Sangil, donna transgender e presidente della FELGTB, ha sottolineato che l’Organizzazione mondiale della Sanità ha rimosso la disforia di genere dalla lista dei disturbi psichiatrici già nel 2018 e ha aggiunto che «non abbiamo più bisogno che un certificato medico accerti che io sia chi dico di essere».
La bozza di legge spagnola è basata su un’iniziativa presentata da Unidas Podemos nel 2017, che fu spinta a quel tempo anche dal PSOE e sostenuta all’unanimità dentro il partito. Si basa anche su una sentenza della Corte costituzionale spagnola del 2019, secondo cui possono autodeterminare il loro sesso tutti i giovani che «si trovino in una situazione stabile di transessualità e abbiano sufficiente maturità».
Negli ultimi mesi i rappresentanti del ministero dell’Uguaglianza hanno incontrato diverse volte una ventina di collettivi LGBT+ e trans per discutere dei dettagli della proposta. La scorsa settimana Montero e la vicepresidente del governo, Carmen Calvo, si sono incontrate per fare il punto sulla situazione, ma mentre la ministra dell’Uguaglianza è determinata a portare avanti la proposta di legge e a ottenerne l’approvazione entro la metà di febbraio, l’ala socialista del governo si sta opponendo alla presentazione della norma così com’è.
Il testo che era stato siglato da Sánchez e dal leader di Podemos, Pedro Iglesias, proponeva genericamente una legge che sradicasse in maniera efficace «tutte le forme di discriminazione nei confronti delle persone trans in tutti gli ambiti» e che «depatologizzasse» la loro condizione.
Alcuni esponenti del PSOE contattati dal quotidiano spagnolo Diario hanno detto però che alcune nozioni contenute nella bozza sono «problematiche» e potrebbero creare ambiguità: in particolare, contestano che «i sentimenti, le espressioni e le manifestazioni della volontà della persona» abbiano automaticamente garanzie giuridiche piene. Specificano, inoltre, che la proposta di legge non è ancora definitiva perché rappresenta «la posizione [del ministero] dell’Uguaglianza, che esprime in maniera nitida quella di Unidas Podemos» e che per questa ragione «non è un testo del governo», ma solo di una sua parte.
Come si legge in un comunicato diffuso dalla direzione di Sánchez e firmato tra gli altri da Calvo, in qualità di segretaria all’Uguaglianza del partito, «il cosiddetto diritto alla libera determinazione dell’identità di genere o diritto all’autodeterminazione di genere manca di razionalità giuridica». Inoltre, secondo l’ala socialista del governo mancano ancora le relazioni degli altri ministeri e degli organismi statali coinvolti nello sviluppo della legge.
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In questi mesi la questione della “Ley Trans” è stata molto discussa anche all’interno dei movimenti femministi, riproponendo sulla questione le opposte posizioni che dividono il movimento stesso anche nel resto del mondo.
Da una parte c’è il cosiddetto femminismo essenzialista (o trans-escludente) per il quale esistono due sessi (maschio e femmina), che dipendono da fattori anatomici e fisici e per il quale il concetto di “identità di genere” rischia di danneggiare le persone biologicamente donne; dall’altra parte ci sono invece i movimenti femministi che, anche in Spagna come nel resto mondo, si sono dimostrati più attivi negli ultimi anni e che lavorano per l’alleanza tra lotte e rivendicazioni (femminismo intersezionale).
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Oltre cento organizzazioni femministe riunite nella Alianza contra el borrado de las mujeres (Alleanza contro la cancellazione delle donne) e altre quaranta coordinate dalla Confluencia Movimiento Feminista si stanno opponendo alla nuova legge sostenendo che esistono già delle norme che tutelano le persone trans e che nel 2007, ad esempio, in Spagna era stato rimosso l’obbligo di sottoporsi a un intervento chirurgico per il cambio di sesso legale. Paragonano tra l’altro la condizione delle persone trans alla condizione delle persone con disabilità, spiegando come anche le persone con disabilità siano tenute a sottoporsi a una serie di test per dimostrare che lo sono.
Secondo questi movimenti, il genere non è una cosa che si sceglie, e la “Ley Trans” annullerebbe ogni forma di protezione legale e ogni diritto che le donne hanno conquistato fino a oggi, in base al loro sesso. Nelle sue forme più estreme, questa parte del movimento femminista viene accusata di transfobia.
Altre 200 altre organizzazioni femministe – tra cui quelle che negli ultimi anni hanno promosso in Spagna lo sciopero delle donne, che hanno portato in piazza milioni di persone e che hanno connessioni con i più significativi movimenti femministi di tutto il mondo – hanno invece pubblicato un manifesto intitolato “Femministe per i diritti delle persone trans” a sostegno delle nuove normative: «La concessione dei diritti non è un gesto contro le donne. Né l’esistenza né i diritti delle donne trans ci mettono in pericolo. La loro presenza non rende i nostri spazi meno sicuri, ma ci rende più forti e libere», dicono. E ancora: «Il femminismo non può essere usato per opporsi o mettere in discussione i diritti delle persone trans, che affrontano quotidianamente lo stigma e la discriminazione in molti settori della loro vita».
L’approvazione della legge, sostengono, «amplia la democrazia, migliora la nostra società e rafforza la nostra lotta contro le norme di genere che ci limitano». Sottolineano come il femminismo sia stato arricchito dai contributi delle donne trans: «Con loro abbiamo plasmato l’8M (l’otto marzo inteso come giornata dello sciopero femminista, ndr), con loro combattiamo fianco a fianco contro la violenza sessista o per il diritto all’aborto in paesi come l’Argentina».
Nel manifesto si legge come nessuna legge potrà porre fine ai problemi o alle discriminazioni delle persone trans «dall’oggi al domani, così come le leggi contro la violenza di genere non vi hanno messo fine»: ma la promozione di una norma permetterà «di nominare la discriminazione, segnalarla e denunciarla, come primo passo per eliminarla». Di fronte all’ascesa dell’estrema destra e al tentativo di partiti come Vox di negare i «diritti a chi considerano diverso», questione che riguarda allo stesso modo tutte le correnti del femminismo, le firmatarie del manifesto rivendicano infine «complessità , ricchezza e diversità dell’esperienza umana» e la promozione di una struttura sociale «che accolga e si prende cura di quell’esperienza».
Fonti vicine al ministero dell’Uguaglianza e rimaste anonime hanno detto al Diario che in questi giorni sono in corso «trattative ancora più complesse di quelle che sono state condotte in precedenza» e che, seppur con cautela, il ministero conta di «arrivare a un accordo» con l’ala socialista della coalizione. Il PSOE finora non ha fatto proposte concrete su come vorrebbe assicurare le «garanzie giuridiche» che secondo l’ala socialista mancherebbero all’attuale proposta.