CORTE D'ASSISE, COMPRATA PER 60 MILA EURO BAMBINA SCHIAVA
Ieri il processo in Corte d'assise ai suoceri della ragazza, venduta a 14 anni alla famiglia kosovara Il suo racconto tra i non ricordo su botte e segregazione. Ha perdonato il marito, già condannato
Era una bambina quando è stata venduta. Come un animale, una mucca o una capra da latte, come avveniva e come avviene ancora oggi, non in Italia, non tra Bologna e Ferrara. Venne comprata per 60mila euro dalla famiglia del marito, la famiglia Meta, kosovara come lei che aveva 14 anni quando fecero il contratto di matrimonio di questa sposa-bambina, poi ridotta a schiava. Era il 2004, mai lei avrebbe immaginato tanto. Con il marito andò ad abitare in Puglia, ma dopo tre anni, e tre figli, arrivarono a Pieve di Cento. Dove si sono compiuti i fatti, i reati, per cui ieri sono finiti sotto processo i suoceri di questa sposa-bambina, con l'accusa di riduzione in schiavitù e sequestro di persona.
La Corte d'assise di Ferrara ieri ha ascoltato i fatti presentati ai giudici dal pm Francesco Caleca della Direzione distrettuale antimafia, competente per questi reati. Procura che ha portato a processo prima il marito, accusandolo degli stessi reati poi ridotti (derubricati) in maltrattamenti per cui è stato condannato a 3 anni e 9 mesi. Ora il processo ai suoceri, i signori Meta, che quando la ragazza volle uscire dal nucleo familiare- dopo le botte, le angherie del padre-padrone e del suocero-padrone e i maltrattamenti - pretesero indietro quei soldi sborsati per comprarla: «Per andartene da questa casa - le dissero - devi pagare tu e la tua famiglia i 60mila euro che abbiamo pagato». Tutto partì dunque da Pieve di Cento, dove quotidianamente, secondo l'accusa e le denunce, la ragazza veniva segregata, picchiata e usata. Qui lei ancora minorenne, era costretta a fare l'elemosina perché obbligata dal marito, dalla famiglia di lui. Ma si vergognava. Non volle più farlo, e - siamo al 2007 - scappò lontano, tornado in Puglia dalla sorella, coi soldi regalati da una signora di S.Pietro Casale dove andava a far le pulizie. Fu allora che - disse poi la ragazza - venne picchiata, tanto da - recita il referto medico - subì la lussazione della spalla e frattura di un braccio. La fuga durò un mese. Poi si riappacificò col marito, e andarono a vivere in Svizzera, dal 2008 al 2012. Quando la famiglia si trasferì in Piemonte. Qui il 19 dicembre 2012, lei, la sposa-bambina diventata ormai donna, denunciò il suo incubo ai carabinieri di Gravellona Toce.
Da qui partirono lei indagini, poi provvedimenti. Lei oggi vive in una casa famiglia, nascosta dalla famiglia del marito che ha incrociato ieri in aula, al processo. Lei, la sposa-bambina, davanti ai giudici, ha raccontato il suo incubo, con tanti «non ricordo», «non è vero», quasi a proteggere chi l'aveva comprata e resa schiava. Ha quasi negato le botte, il sequestro di persona, il fatto che non poteva mai uscir di casa da sola. Ha ridimensionato tutto: «Accadeva quello che accade in tutte le famiglie, si litigava, ma schiaffi, spinte e poco più» ha detto rispondendo all'avvocato dei suoi suoceri, il difensore Alessandro Cristofori e all' accusa (pm Caleca). Poi ripresa dal giudice Marini («lei ha risposto in tre maniere diverse alle domande: si, no, non ricordo»), prima di congedarsi da tutti ha voluto fare dichiarazioni, senza mai versare una lacrime, con un italiano fluente: «Penso che tutte le persone possono sbagliare in questa vita, mio marito lo ha fatto, e mai io ho voluto metterlo in questa posizione. Noi oggi andiamo d'accordo, ci scriviamo (lei vive in una casa famiglia, ndr), ci vogliano bene, ci sentiamo al telefono, io lo perdono, con tutto il cuore visto che insieme abbiano tre bellissimi gioielli». La sposa-bambina ha già assolto il marito (e i suoceri indirettamente), qui davanti alle facce dei giudici popolari, provati dal suo racconto, sorpresi, e quasi stupiti di questo processo. Ora toccherà ai giudici (la corte d'assise, i due togati Marini e Rizzieri e i sei giudici popolari) valutare le sue parole, all'udienza del 10 marzo. L'unica certezza restano i 60mila euro spesi per comprare lei, bambina-sposa, che la vita ha indurito, a tal punto dal non farla nemmeno piangere. (d.p.)