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LA RIVOLUZIONE ROSA NON C'E' MAI STATA

La rivoluzione rosa non c'è mai stata, non visibili tracce della metà del Paese


26/3/2011
TORINO - La rivoluzione rosa non c'è mai stata. Nei posti di comando le tracce della metà del Paese reale non sono ancora molto visibili e, laddove ci sono, le donne, tranne poche eccezioni, sono perfettamente omologate: le logiche e i giochi di potere sono sempre gli stessi. Il punto di vista delle signore del governo e dell'opposizione interessa davvero poco, il loro silenzio è inquietante. "Le donne nel governo ci sono e non mancano all'opposizione - ha detto di recente Michela Murgia, premio Campiello per Accabadora - ma non abbiamo garanzie del fatto che, se parlassero, sentiremmo qualcosa di sensato. Ed è proprio questo che manca, la sensatezza, la misura. Da chiunque provengano, donna o uomo. Il vocabolario della politica è sempre quello, e non conosce generi".
I numeri innanzitutto. Il primo dato riguarda la pubblica amministrazione: ci sono più donne nel parlamento afghano (25%) che nei Consigli e nelle Giunte dei Comuni italiani, dove la presenza media femminile è rispettivamente dell'11,8% e del 17,8%. Tra le Regioni la più rosa è l'Umbria con la presidente, un terzo di donne in Giunta e il 44% di alti dirigenti. Seguono il Lazio (presieduto da una donna), poi Piemonte, Emilia Romagna e Toscana. Chiude la classifica il Molise, preceduto dalla Calabria e dalle insospettabili Veneto e Lombardia.
A livelli politici più alti le cose non cambiano: 5 ministri donna su 23 (3 senza portafoglio), 21% di donne alla Camera, 18% al Senato, 4 nelle Commissioni parlamentari. Non esistono donne segretario di partito, solo candidati maschi alle primarie del Pd. Ma cosa cambierebbe se a prendere le decisioni fosse una donna, che cosa ci aspettamo che le donne rappresentino? E' vero, come dice Margareth Thatcher, che "in politica se vuoi che qualcosa venga detto, chiedi a un uomo. Se vuoi che qualcosa venga fatto chiedi a una donna"?
Stessa musica nel mondo dell'economia. Nel top management delle banche la percentuale di donne è tra lo 0 e il 5%, del 10% tra i dirigenti. Non manca qualche eccezione: Unicredit ha l'obiettivo ambizioso di avere entro il 2018 la stessa rappresentanza di donne e uomini sia nel management sia nel gruppo in genere, Intesa Sanpaolo ha una donna al vertice, Elsa Fornero, vicepresidente del consiglio di sorveglianza.
Nessuna italiana è apparsa nell'ultima classifica del Financial Times sulle "Top 25 businesswomen in Europe". Su 446 cariche consiliari nelle società quotate soltanto 11 sono "rosa" (ma le amministratrici sono 10 perché Marina Berlusconi occupa due poltrone, in Fininvest e Mediobanca). In ventidue società non siedono donne e, tra queste, tutte quelle del settore energia, mentre soltanto in Fininvest e Saipem superano appena il 10%. L'Italia, dicono le statistiche Ue, è solo al ventinovesimo posto (su 32 Paesi censiti) per numero di donne presenti nei cda delle società del Mib30, con il 4% degli amministratori contro una media Ue dell'11%, seguita solo da Malta, Cipro, Lussemburgo e Portogallo e contro il 33% della Norvegia.
Una legge prova a cambiare le cose: il testo bipartisan, presentato da Lella Golfo (Pdl) e Alessia Mosca (Pd), è stato approvato dalla Camera ed è ora all'esame del Senato. Prevede che il 30% dei consigli di amministrazione delle società quotate sia composto da donne entro tre mandati, cioè nove anni. La novità sono le sanzioni: il cda che non rispetta la regola decade. E l'obbligo riguarda anche società come la Rai, l'Alitalia, l'Eni, l'Enel, le Ferrovie e le Poste. Una norma necessaria? Qualcuno nei dibattiti sulla proposta di legge apparsi sui quotidiani ha ironizzato suggerendo una quota di donne prevista per legge anche nei cantieri edili.
Le donne sono pronte? La Fondazione Marisa Belisario, di cui Lella Golfo è presidente, sta raccogliendo "mille curricula eccellenti", una sorta di database di donne da candidare per le stanze dei bottoni, cda e collegi sindacali.
La strada è in salita. L'Italia continua ad essere tra i Paesi che destinano meno risorse alle politiche per la famiglia. Il risultato è che una donna su due non lavora e peggio dell'Italia c'è solo Malta, il 27% abbandona il lavoro dopo la nascita del primo figlio, tre donne manager su quattro non hanno figli.
Tornano le quote rosa, ma sul potere e su come gestirlo da donne il dibattito ha fatto pochi passi avanti.
di Amalia Angotti
http://www.cinquew.it

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