RAHEL JAEGGI, COME RIPENSARE OGGI CRISI E PATOLOGIE SOCIALI
Dal 28 maggio si troverà nelle librerie italiane il testo ("Alienazione", a cura di Giorgio Fazio) che ha dato notorietà a una figura della filosofia tedesca contemporanea, Rahel Jaeggi, di cui si è già avuto occasione di parlare sul Rasoio di Occam. Per gentile concessione della casa editrice (Editori Riuniti Int), pubblichiamo come anteprima un estratto del libro.
«Ancora un altro lavoro sull'alienazione?». In questo modo, o in modo simile, cominciavano ancora all'inizio degli anni Ottanta molti libri, a cospetto della sovrabbondante letteratura secondaria sul tema. Oggi la situazione è mutata. Il concetto di alienazione sembra essere divenuto problematico e sotto certi aspetti anche inattuale. Se esso è stato per lungo tempo il concetto centrale della critica sociale di sinistra (ma anche di quella conservatrice) – un motivo cruciale della filosofia sociale marxista e quindi di importanza fondamentale per il «marxismo occidentale» e per la «teoria critica» – e se allo stesso tempo esso ha influenzato in vari modi la critica della cultura ispirata dall'esistenzialismo, oggi non solo esso è pressoché sparito dalla letteratura filosofica, ma non gioca più alcun ruolo neanche come vocabolo usato per una diagnosi del nostro tempo. Il concetto di alienazione ha avuto un uso troppo inflazionato negli anni del suo boom; i suoi fondamenti filosofici sembrano fuori moda nell'età postmoderna; le sue implicazioni politiche appaiono troppo problematiche nell'età del «liberalismo politico» – e forse anche le aspirazioni della critica dell'alienazione appaiono senza speranza nel tempo del capitalismo trionfante.
In ogni caso, il problema dell'alienazione sembra essere sempre – e forse oggi di nuovo – attuale. Di fronte ai recenti sviluppi economici e sociali si assiste a una crescente inquietudine che, se non nel nome quanto meno nella sostanza, ha a che fare con il fenomeno dell'alienazione. La vasta ricezione che ha ottenuto il libro di Richard Sennet L'uomo flessibile con la sua tesi sul «capitalismo flessibile» che minaccia l'identità dei singoli e la tenuta della società, le preoccupazioni sempre più forti riguardo le tendenze alla mercificazione o alla «commercializzazione» di ambiti di vita sempre più estesi,[2] e anche i nuovi movimenti di protesta sorti contro la perdita di controllo e l'impotenza di fronte all'economia globalizzata,[3] sono tutti segni di una rinata sensibilità nei confronti di fenomeni che le teorie prima menzionate descrivevano con i concetti di «alienazione» e di «reificazione». E sebbene nel «nuovo spirito del capitalismo»[4] la critica dell'alienazione sembri essere superata in modo cinico – le richieste rivolte al moderno «lavoratore-imprenditore», flessibile e creativo, per il quale non esiste più alcun confine tra lavoro e tempo libero, non sono forse una realizzazione dell'utopia di Marx dello «sviluppo onnilaterale» dell'uomo che «di mattina può pescare, di pomeriggio cacciare e la sera dedicarsi alla critica»? –, le ambivalenze di simili sviluppi sono il segno della persistenza del problema, più che della sua scomparsa.[5]
Non c'è dunque più l'alienazione o semplicemente non disponiamo più del suo concetto? Di fronte alla tensione, che si rinnova continuamente, tra rivendicazione e realtà, tra promesse sociali di autodeterminazione e di autorealizzazione e la loro mancata attuazione, il tema dell'alienazione – questa la diagnosi di Robert Misik –[6] rimane decisivo, anche se una stabile fondazione della critica dell'alienazione sembra essere andata perduta.
Il presente studio ha lo scopo di far rivivere il concetto di alienazione in quanto concetto fondamentale per la filosofia sociale. Il mio punto di partenza è duplice: da una parte sono convinta che il concetto di alienazione sia ricco di contenuto e produttivo, capace di dischiudere ambiti fenomenici che possono essere ignorati solo al prezzo di impoverire le possibilità di espressione e di interpretazione teorica. D'altra parte la tradizione con la quale il concetto di alienazione è associato non può essere semplicemente ripresa in modo irriflesso, dal momento che i presupposti di questa tradizione sono stati giustamente messi in questione. Per tale ragione ogni ulteriore discussione sull'alienazione richiede una ricostruzione critica dei suoi fondamenti concettuali.
Questo libro è un tentativo di realizzare una simile ricostruzione. Esso è una ricostruzione in un duplice significato: in primo luogo mira a far rivivere in generale il concetto di alienazione nel suo significato; in secondo luogo, lo vuole reinterpretare e trasformare concettualmente alla luce dei problemi che ho menzionato. Il progetto del libro, in altre parole, è quello di riappropriarsi filosoficamente di un teorema che per molte ragioni è divenuto problematico – ed è un tentativo di riscoprire il suo contenuto di esperienza.[7]
(Rahel Jaeggi, continua a leggere) Come ripensare oggi crisi e patologie sociali? »