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ISTAT, IL PEGGIO NON È PASSATO: RISCHIAMO 80 ANNI D'AUSTERITÀ


Il rapporto annuale dell'Istat è una fotografia mossa del Paese, un'istantanea che racconta il passato recente e lascia intravedere il futuro, pur senza sbilanciarsi in previsioni. Niente di quello che si vede nell'Italia immortalata dalle 214 pagine dell'istituto di statistica presentate ieri invita all'ottimismo, ma ci sono comunque alcune indicazioni utili. Per esempio si scopre che il calo dei consumi nel 2012 è stato superiore a quello sperimentato all'inizio della crisi (2008-2009). E che il Paese sta erodendo quei cuscinetti sociali che hanno permesso di attenuare l'impatto della recessione. Il peggio, insomma, rischia di essere davanti a noi, se non arriva una ripresa globale e locale nel 2014. E anche così potrebbe non bastare. La gravità della situazione sta in due dati: la propensione al risparmio si è quasi dimezzata, era il 13,5 per cento medio tra il 2001 e il 2007, nel 2012 aveva raggiunto l'8,2 per cento. Senza risparmio oggi, non ci saranno investimenti domani, quindi è come se si riducesse anche il potenziale di crescita. Secondo dato: il 62,3 per cento delle famiglie ha sperimentato una qualche forma di deprivazione negli ultimi cinque anni, cioè ha dovuto fare qualche rinuncia in termini di qualità o di quantità, oppure entrambe le cose. Lo stile di vita sta peggiorando. E se ne accorgono quasi tutti: nel 2012 la deprivazione ha riguardato anche persone che non appartavano al 40 per cento più povero della popolazione, ma lì si sono ritrovati all'improvviso. A VOLER CERCARE qualche buona notizia, si trova che le esportazioni delle imprese italiane stanno andando bene, +3,7 per cento nella vendita di merci nel 2012, meglio di noi solo la Spagna in Europa. Ma anche in questa oasi ormai la crescita sta rallentando, soprattutto perché i nostri partner europei comprano poco, essendo pure loro in recessione. Altra nota confortante: studiare è "una forma di assicurazione contro le crescenti difficoltà del mercato del lavoro", così dice l'Istat, guidato fino a poche settimane fa dall'attuale ministro del Welfare Enrico Giovannini. Le difficoltà le hanno i diplomati, chi ha la laurea si salva, anche perché in Italia di laureati ce ne sono relativamente pochi rispetto ai Paesi confinanti. Chi predica ai giovani di tornare al lavoro manuale, di darsi all'agricoltura o all'idrau - lica, trae conclusioni affrettate dai dati. Semplicemente in questa fase alcuni lavori si stanno dequalificando, cioè le piccole imprese possono permettersi solo dipendenti poco qualificati perché costano meno. "Le sole dinamiche positive che si rilevano, ad esempio la crescita dell'occupazione femminile, sottendono fenomeni di segregazione professionale, incremento di posizione a bassa qualifica, una ricomposizione a favore di età più anziane quale conseguenza delle riforme pensionistiche", avverte l'isti - tuto di statistica. QUANDO FINIRÀ TUTTO questo? Con le attuali regole di bilancio pubblico probabilmente mai. A pagina 56 il rapporto dell'Istat spiega che ci attendono altri 80 anni di austerità, se vogliamo davvero portare il debito pubblico da oltre il 130 per cento del Pil a quel 60 che ci siamo impegnati a raggiungere ratificando le regole europee denominate Six Pack (che rafforzano i parametri di Maastricht). Per non suscitare polemiche, l'Istat non esplicita il riferimento all'Italia: si parla di un Paese A con i conti in ordine (debito all'80 per cento, tasso di crescita potenziale al 4 per cento, costo medio del debito al 4) che assomiglia un po' alla Germania. E poi c'è un Paese B che ha il debito al 130 per cento, la crescita potenziale all'1 per cento e il costo del debito anch'esso al 4. Ed è chiaro il riferimento all'Italia. È soltanto una simulazione contabile, l'Istat non si sbilancia su previsioni dell'andamento dell'eco - nomia, su sviluppi sui mercati finanziari, su politiche economiche da introdurre. Il Paese virtuoso A (la simil-Germania) ci mette 7 anni a raggiungere l'obiettivo del debito al 60 per cento del Pil. Il Paese B (l'Italia) invece ne impiega 80. Ammesso che sopravviva tanto a lungo, visto che per arrivare a quel risultato deve mantenere un avanzo primario del 7 per cento per i primi 15 anni e poi del 4,5 per cento. L'avanzo primario è quanto resta in cassa allo Stato delle entrate di un anno dopo aver pagato tutte le spese ma prima di aggiungere al conto gli interessi. Significa che ogni anno la macchina statale dovrebbe essere in attivo di 105 miliardi. Un equilibrio insostenibile, visto che con tutti gli sforzi e le sofferenze che sappiamo il governo di Mario Monti è riuscito a portarlo al 2,4 per cento nel 2013 con previsione di arrivare al picco del 5,1 nel 2016. IL MINISTRO GIOVANNINI, quando era all'Istat, non ha mai nascosto il suo pessimismo, consapevole che l'opinione pubblica sta sottovalutando la gravità della situazione. Adesso che è ministro del Lavoro deve provare a cambiare le cose, migliorando il Paese senza speranza raccontato dall'Istat. (23 maggio 2013 )

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