L'ARRINGA DI TINA LAGOSTENA BASSI, IN PROCESSO PER STUPRO 1979
«Presidente, Giudici,
credo che innanzitutto io debba spiegare una cosa: perché noi donne siamo presenti a questo processo. Intendo prima di tutto Fiorella, poi le compagne presenti in aula, ed io, che sono qui prima di tutto come donna e poi come avvocato. Che significa questa nostra presenza? Ecco, noi chiediamo giustizia. Non vi chiediamo una condanna severa, pesante, esemplare, non c'interessa la condanna. Noi vogliamo che in questa aula ci sia resa giustizia, ed è una cosa diversa. Che cosa intendiamo quando chiediamo giustizia, come donne? Noi chiediamo che anche nelle aule dei tribunali, ed attraverso ciò che avviene nelle aule dei tribunali, si modifichi quella che è la concezione socio-culturale del nostro Paese, si cominci a dare atto che la donna non è un oggetto. Noi donne abbiamo deciso, e Fiorella in questo caso a nome di tutte noi - noi le siamo solamente a lato, perché la sua è una decisione autonoma - di chiedere giustizia. Ecco, questa è la nostra richiesta.
E certo, io non sarò molto lunga, ma devo purtroppo ancora prendere atto, e mi scusino i colleghi, che se da parte di questo collegio si è trattato in questo caso Fiorella, ma si sono trattate le donne, come donne e non come oggetti, ancora la difesa dei violentatori considera le donne come solo oggetti, con il massimo disprezzo, e vi assicuro, questo è l'ennesimo processo che io faccio, ed è come al solito la solita difesa che io sento. Vi diranno gli imputati, svolgeranno quella che è la difesa che a grandi linee già abbiamo capito. Io mi auguro di riuscire ad avere la forza di sentirli - non sempre ce l'ho, lo confesso - di avere la forza di sentirli, e di non dovermi vergognare, come donna e come avvocato, per la toga che tutti insieme portiamo. Perché la difesa è sacra, ed inviolabile, è vero. Ma nessuno di noi avvocati - e qui parlo come avvocato - si sognerebbe d'impostare una difesa per rapina così come s'imposta un processo per violenza carnale. Nessuno degli avvocati direbbe nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via le gioie, i beni patrimoniali sicuri da difendere, ebbene, nessun avvocato si sognerebbe di cominciare la difesa, che comincia attraverso i primi suggerimenti dati agli imputati, di dire ai rapinatori "Vabbè, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro, dite che il gioielliere in fondo ha ricettato, ha commesso reati di ricettazione, dite che il gioielliere un po' è un usuraio, che specula, che guadagna, che evade le tasse!"
Ecco, nessuno si sognerebbe di fare una difesa di questo genere, infangando la parte lesa soltanto. E nessuno lo farebbe nemmeno nel caso degli espropri proletari - ma questi sono avvocati che certamente non difendono nessuno che fa esproprio proletario. Ed allora io mi chiedo, perché se invece che quattro oggetti d'oro, l'oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza? E questa è una prassi costante: il processo alla donna, La vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un'imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale. Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliare una donna venire qui a dire "non è una puttana". Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, e senza bisogno di difensori. E io non sono il difensore della donna Fiorella, io sono l'accusatore di un certo modo di fare processi per violenza, ed è una cosa diversa.
Tutto si cerca di sporcare. Questa ragazza, alla ricerca disperata di lavoro - e che lavoro fa? lavoro nero, mentre se andasse per le strade, non avrebbe bisogno di andare per 70.000 lire al mese a lavorare da Giordano, perché tanto era il suo guadagno. Pensate, una violenza carnale ad opera di quattro, durata un pomeriggio, con un sequestro di persona in una villa, viene valutata 2.000.000. Il silenzio della Fiorella valeva 1.000.000, invece. Questo, vi prego di tenerne conto, ai fini dell'esame di quella tal congruità dell'offerta di risarcimento. Bene, le si offre 1.000.000, e Fiorella, che ripeto eppure è una ragazza che avrebbe bisogno di soldi - ma li vuole solo lavorando pulitamente, anche se fa lavoro nero, se viene sfruttata come lavoro; ma vuole guadagnare i soldi solo col suo lavoro - fa finta di accettare, guadagna qualche ora, non vi sto a rileggere tutto, dice "Ne riparliamo domani". Perché domani? Sono le 7:30 di mattina, alle 8 ci sono altre telefonate, lei risponde "Non lo voglio vedere subito", alle 11 è già al commissariato. Ma il maresciallo è stato fin troppo chiaro, quando ha detto "Quando sono andato a fermare il Vallone, se lo aspettava, e mi ha detto - Sì, per i fatti di Fiorella, siete qui per i fatti di Fiorella.", l'abbiamo sentito or ora. Ma se i fatti di Fiorella era che avevano avuto un rapporto, a pagamento, non a pagamento, ma con una donna consenziente, ma come uno si aspetta la polizia? E poi, la seconda parte: vengono interrogati dal pubblico ministero a Regina Coeli, e non è ancora intervenuto il difensore a dare i suggerimenti, e allora che cosa fanno? Negano. Mentre al maresciallo confermano di avere avuto rapporti carnali, perché tanto anche hanno detto, di fronte al PM negano, negano l'evidenza. Ma chi ha mai detto che occorre la pistola, che occorrono le botte? Nel Medioevo, sì, si diceva, quando si parlava, e vi ricordate, la giurisprudenza del decennio scorso, della vis grata puellae. Non siamo più ancorati a provare questa "violenza gradita alla fanciulla" che si ammanta di pudicizia. Nel 1977-78 i costumi sono diversi. Se una donna vuole andare con un ragazzo, ci va, molto più semplicemente, e non si parla di vis grata puellae, né di quella resistenza, anche una bella sentenza, destinata a cadere come le mura di Gerico.
A nome di Fiorella e a nome di tutte le donne, molte sono, ma l'ora è tarda e noi vogliamo giustizia. E difatti questo io vi chiedo: giustizia. Noi non chiediamo le condanne, non c'interessano. Ma rendete giustizia a Fiorella, e attraverso la vostra sentenza voi renderete giustizia alle donne, a tutte le donne, anche e prima di tutto a quelle che vi sono più vicine, anche a quelle povere donne che per disgrazia loro sono vicine agli imputati. Questa è la giustizia che noi vi chiediamo. Per quanto attiene al risarcimento, già vi ho detto: una lira per Fiorella, questa ragazza così venale, che andava con uomini per soldi, vero?, e sulla quale voi butterete fango, butterete fango a piene mani. Bene, questa ragazza così venale vuole una lira, e vuole la somma ritenuta di giustizia devoluta al Centro contro la violenza sulle donne, perché queste violenze siano sempre meno, perché le donne che hanno il coraggio di rivolgersi alla giustizia siano sempre di più."
(il documentario fu mandato in onda il 26 aprile 1979 e fu seguito da 3 milioni di telespettatori, la replica in prima serata nell'ottobre dello stesso anno fu seguita da 9 milioni di telespettatori).
Il famoso processo per stupro
La conduzione del processo in difesa di Fiorella è stato uno spartiacque che ha determinato un cambiamento culturale, una nuova consapevolezza sul modo in cui le donne violentate divenivano due volte vittime. La prima ad opera dei criminali, la seconda ad opera spesso degli inquirenti e degli avvocati difensori del branco di violentatori.
L'espediente "classico" che si tentava di mettere in atto in tali occasioni era quello di puntare ad ottenere un giudizio negativo sulla condotta morale della donna abusata, e a questo fine, la malcapitata veniva esaminata nel modo di vestire, di fare e di dire, nel tentativo di evidenziare un chiaro comportamento di "provocazione" nei confronti degli uomini.
Il processo di Tina Lagostena, mandato in onda dalla tv nazionale, ha reso evidenti i comportamenti misogini, miserrimi, e al limite del maniacale, tenuti da pessimi avvocati di provincia. Orribili per gli attacchi volgari alla donna violentata se pur compiuti attraverso l'uso di frasi in latino e di dotta esposizione dei codici legislativi.
Il processo indigna per le offese arrecate alla donna in causa, ed alle donne in generale presenti in aula in gruppi di sostegno.
Donne associate in difesa di Fiorella, 1979
Famosa arringa dell'avvocato Tina Lagostena Bassi in "Processo per stupro", documentario del "79 girato nel tribunale di Latina, diretto da Loredana Dordi, che con il titolo inglese A Trial for Rape fu presentato al festival di Berlino, fu insignito del "Prix Italia for documentaries" e ricevette una nomination all'International Emmy Award. Se ne conserva oggi una copia al MOMA di New York. La vittima del processo filmato era una giovane di 18 anni di Latina, Fiorella, che denunciò per violenza carnale di gruppo quattro uomini, fra cui Rocco Vallone, un conoscente.
Fiorella, lavoratrice in nero, dichiarò di essere stata invitata da Vallone in una villa per discutere una proposta di lavoro stabile. Lagostena Bassi era difensore di parte civile. L'atteggiamento mentale che emergeva in aula era che una donna "di buoni costumi" non poteva essere violentata; che se c'era stata una violenza, questa doveva evidentemente essere stata provocata da un atteggiamento sconveniente da parte della donna; che se non c'era una dimostrazione di avvenuta violenza fisica o di ribellione, la vittima doveva essere consenziente.