Intervista a Peppe Poeta: "Pari opportunità per chi ha gli stessi mezzi per emergere. In Italia siamo troppo schiavi dei risultati"
Fonte: La Gazzetta Dello Sport di Massimo Oriani
Sono i diretti interessati, i giocatori italiani, quelli al centro della questione, alla ricerca di spazio. Il loro punto di vista non è univoco, non può esserlo perché giustamente teste pensanti non si uniformano passivamente. Peppe Poeta, play di Torino, 32 anni, è uno di quelli che ha sempre qualcosa di interessante da dire, così come è interessante questa intervista al giocatore della Fiat.
Poeta, come si pone di fronte alla questione del protezionismo dei giocatori italiani?: “Il mio punto di vista è un po’ diverso da quello di tanti altri colleghi. Secondo me ha senso rendere tutto libero però limitandoci all’Europa. Mi spiego: se un lettone o un lituano è più forte di me e ha lo stesso mercato, è giusto che giochi al posto mio. Diverso invece il discorso per gli americani, per mille motivi che potrei stare ore ad elencare. Ne cito alcuni. Il primo: sono tantissimi, quindi c’è una sproporzione in termini di quantità a loro favore che ci penalizzerebbe troppo. Secondo: hanno strutture di gran lunga superiori alle nostre e quindi partono avvantaggiati. Terzo: hanno un sistema scolastico, dal liceo all’università, che gli permette di formarsi molto più in fretta e molto meglio di noi. Quarto: l’età. Un giocatore che esce dal college a 22-23 anni è molto più pronto per giocare in Serie A di quanto non lo sia un diciottenne che ha fatto il settore giovanile da noi. Ma per chi ha le stesse possibilità di venir fuori, ben venga la parità anche in termini di spazio nei roster delle squadre.”
Altro capitolo: le regole: “Servono perché ti danno una mano per rimediare alla mentalità sbagliata. Mi spiego: in Italia non c’è lungimiranza. Il giocatore si preoccupa solo di giocare bene la prossima partita per non venire tagliato, idem l’allenatore per non venir licenziato. Le società pensano esclusivamente a vincere la domenica per non perdere lo sponsor. Insomma, siamo miopi e legati troppo ed esclusivamente al risultato. Così non si darà mai spazio ai giovani perché non puoi rischiare di schierarli e poi perdere. Per questo le regole quantomeno un minimo ti obbligano a farlo.”
Come si reclutano giovani giocatori?: “Come ha fatto la Spagna dieci anni fa, partendo dalle scuole. E’ il veicolo giusto. Ma servono anche i playground. Poi ci vuole visibilità e comunicazione. Siamo il secondo sport in Italia, meritiamo più spazio.”
Servono anche allenatori che insegnino la pallacanestro ai giovani, evitando che arrivino in Serie A e non conoscano i fondamentali….: “Io sono stato molto fortunato. Ho avuto Andrea Capobianco, uno dei migliori in Italia nel formare i giovani. Poi Vincenzo Di Meglio, ora responsabile del settore tecnico della Pms Torino, e Marco Ramondino, attualmente capo allenatore a Casale Monferrato in A2. Secondo me abbiamo ottimi allenatori a livello giovanile, ne ho visti tanti anche quando sono stato alla Virtus Bologna, o Reggio Emilia, e qui a Torino. Il problema è che bisogna investire anche sulle strutture, sui preparatori atletici. E’ cambiato lo sport, si curano maggiormente i dettagli, c’è molta più attenzione all’alimentazione. Per creare giovani ci vogliono investimenti, non basta parlarne, bisogna agire e farlo anche in fretta.”