Il 'G7 delle pari opportunità' e il ruolo della donna nella produttività economica — L'Indro
Termina oggi il G7 di Taormina, sulle pari opportunità. Al centro del dibattito due tematiche in particolare: il rafforzamento delle misure contro la violenza sulla donna ed il tema dell’’empowerment’ femminile, specie sul versante economico. Del ruolo delle donne nella ‘produttività’ economica parliamo con Chiara Saraceno, filosofa e sociologa conosciuta per i suoi numerosi studi sulla questione femminile e sulle politiche sociali.
Durante il G7 sulle pari opportunità si è discusso di ‘empowerment’ femminile, specialmente sul versante economico. Sulla base di questo, siamo andati ad analizzare l’influenza effettiva che il lavoro delle donne apporta all’ economia di una Paese. Abbiamo evidenziato le differenze strutturali che intercorrono tra imprese a maggioranza maschile ed imprese con maggior presenza di donne, concentrandoci, infine, sulle possibili conseguenze che un aumento di assunzioni e di leadership femminile, apporterebbe al benessere di uno stato.
Ieri è stato presentato anche il rapporto ‘Gender Equality Index 2017’ redatto dal European Institute for Gender Equality, dal quale risulta che l’avanzamento delle politiche europee in tema di parità di genere è minimo, appena 4,2 punti in dieci anni. Ciò che emerge, però, è anche che, nello stesso arco di tempo il nostro Paese ha registrato un incremento di ben 13 punti. L’Italia è al secondo posto in Europa per il numero di donne imprenditrici, ma il gap gender è ancora alto e l’occupazione femminile risulta essere indietro di 20 punti percentuali rispetto a quella maschile. Dunque la disparità dei sessi nel mondo del lavoro oggi è ancora una realtà. Quando si discute sulla posizione della donna nella società attuale, le si attribuiscono due ruoli in particolare: quello ‘attivo’ di rivendicatrice di diritti economici e sociali, o quello ‘passivo’ che la vede in veste di vittima di discriminazioni, o addirittura abusi. Sono approcci al tema giustificati dai numerosi eventi di attualità e dagli scandali di molestie, che rischiano di far perdere di vista la complessità della realtà femminile. Questa non è un fotogramma statico, ma è in continuo mutamento.
Si rischia di dipingere la donna esclusivamente come soggetto debole, in lotta continua per i propri diritti, tralasciando in molti casi l’influenza effettiva che il suo lavoro apporta all’economia di un Paese. La donna ha un legame inscindibile e diretto con il mondo economico. Da sempre si occupa della gestione finanziaria a livello domestico prestando attenzione al risparmio e non gravando sul bilancio familiare. Oggi si ritrova a capo di grandi imprese, in alcuni casi ricoprendo un ruolo di tipo manageriale. In altri, predilige i lavori part time e in casi ormai sempre meno frequenti rinuncia totalmente al lavoro remunerato per dedicarsi pienamente a quello tra le mura domestiche.
Alla domanda se le donne potessero ‘autoescludersi’ da occupazioni che prevedono premi di produttività perché meno conciliabili con attività domestiche o esserne escluse dai datori di lavoro per le stesse cause, la Professoressa Saraceno risponde: “Sicuramente succede che molti datori di lavoro vedono le donne in modo secondario, non investono in loro a prescindere che abbiano una famiglia o meno. Soltanto in previsione che potrebbero farsela, i datori di lavoro non ci investono. È anche vero che esistono donne che gestiscono un grande carico familiare; in questi casi, se non trovano aiuto nel compagno, nei servizi pubblici o nell’ organizzazione complessiva, a volte devono scegliere se conciliare il tutto o investire solo nella loro professione. Spesso alcune di loro sacrificano la professione e la carriera“.
Dunque,Il ‘carico domestico’ della donna influenza la produttività sul posto di lavoro? “Sicuramente il ‘carico domestico’ influenza la produttività delle donne nel senso che causa loro maggiore fatica, ma allo stesso tempo è comunque un qualcosa che produce valore. Il lavoro domestico delle donne genera anche un grande valore economico, che spesso, purtroppo, non è riconosciuto. Le donne che sono occupate lavorano due volte, ma invece di ottenere benefici per questo, ne pagano un caro prezzo“.
È stata verificata la presenza di differenze strutturali tra le imprese a maggioranza maschile e quelle a maggioranza femminile. “Le donne sono spesso concentrate in meno settori degli uomini” afferma la Saraceno. “Anche se in Italia, ad esempio, abbiamo tassi di occupazione più alti rispetto ad altri Paesi. Certamente nel settore dei servizi alle persone vediamo molte più donne che uomini, mentre nel settore metal meccanico, potremmo vedere più uomini che donne“.
Ma nello specifico a cosa sono dovute queste differenze? “Se un tempo queste differenze potevano essere dovute alla fisicità, alla faticosità di certe mansioni da svolgere, oggi, non è certamente la differenza nel senso fisico degli uomini o delle donne che produce quest’effetto. La difficoltà è la possibilità della conciliazione. Esiste una cultura locale del lavoro, per cui è difficile per una donna entrare in un settore dal quale è stata per tanto tempo esclusa e diventa anche difficile collaborare con i colleghi. Bisogna considerare, però, che le professioni tradizionalmente maschili nel tempo si sono aperte e sono diventate anche femminili“.
La possibilità di accesso al lavoro oggi si è di gran lunga ampliata ma continuano a sussistere delle differenze anche dal punto di vista gestionale di un’impresa a maggioranza maschile, con una a maggioranza femminile. Si tratta di differenze che provocano un effetto sulla relazione con il sistema finanziario, influendo sia sulla domanda che sull’offerta. Un progetto discusso durante il convegno ‘Le donne e l’economia italiana’ alla Banca d’Italia, mostra come le imprese a maggioranza femminile abbiano la caratteristica di essere più avverse al rischio e di utilizzare finanziamenti bancari in misura inferiore rispetto alle imprese con a capo più uomini. Questo accade perché o le donne preferiscono non sopportare il peso del debito, o perché temono un rifiuto della loro richiesta. Nella stessa occasione è stato affermato che: «La letteratura indica che imprese con donne ai vertici hanno meno assenteismo e più controllo sulle decisioni». Chiara Saraceno commenta quest’affermazione così: “Si tratta di dati empirici, non si tratta di un’opinione. A lungo si è pensato che gli uomini fossero più bravi e più diligenti in azienda, ma ci sono degli studi che dimostrano come aziende con una forte presenza di donne sono anche più attente alla qualità del lavoro e incoraggiano la produttività oltre che la cooperazione“.
Ci siamo chiesti a questo punto, come varierebbe il PIL di uno Stato con più donne in veste di leadership? A questa domanda la Saraceno risponde riportando i risultati di alcuni dati Ocse che sottolineano un grosso aumento del PIL, qualora si verificasse quest’ipotesi. La dottoressa Prosegue spiegandoci le ragioni di quest’aumento e concentrandosi sul metodo con cui viene calcolato il PIL: “Questo, infatti, viene calcolato in base al genere di mercato. Se più donne sono nel mondo del lavoro, il PIL aumenta; di certo non si calcola il lavoro gratuito. Se un uomo sposasse la propria cameriera, questo non farebbe aumentare il PIL perché la donna non verrebbe più pagata continuando a fare lo stesso lavoro“.
Nonostante sia vera e confutata l’affermazione per la quale la presenza di due redditi invece che di uno rende la famiglia meno vulnerabile a fronte di eventi avversi, migliora la situazione di benessere e di conseguenza contribuisce all’aumento dei consumi, non tutte le imprese tengono conto di questo fattore nel valutare l’assunzione del personale. “Non sono solo le aziende italiane ma è anche lo Stato italiano a sottovalutare questo aspetto”, afferma la Saraceno. “Le donne ci proteggono dalla povertà. Uno dei fattori più protettivi per un bambino è il fatto che la mamma sia occupata, ed anche il papà. Però le aziende non lo considerano, è come se i consumatori non fossero lavoratori o lavoratrici e guardano ai lavoratori o alle lavoratrici, come se non avessero una famiglia di cui decidere i consumi. Sono un po’distanti dalla questione perché ciascuno pensa soltanto in termini della produttività del lavoro medio, senza neppure rendersi conto che la produttività del lavoro potrebbe aumentare se ci fosse un reddito più gestibile per chi deve lavorare”.
I ’talenti’ femminili forse possono dare, quindi, un valore aggiunto alle imprese italiane. Chiara Saraceno ammette di far fatica a parlare di ‘talenti’ nel senso proprio del termine: “Diciamo che le donne sono molto attente alle relazioni, a tenere insieme la propria famiglia. Potrebbero aiutare anche a migliorare l’organizzazione del lavoro. Degli studi dicono che nelle aziende in cui più donne sono a capo di cariche decisionali, si opera diversamente facendo scelte di investimenti più orientate alla qualità della vita“.