Pari opportunità, «Includiamo gli uomini!»
La scia del “caso Weinstein” è ancora molto vivida: cosa prova di fronte a questo scandalo?Ho la sensazione che qualcosa sia cambiato per sempre. Al di là di sapere se le singole storie siano vere, se si siano svolte come sono state raccontate o perché siano uscite proprio ora, da questo caso è scaturita una nuova consapevolezza nel sentire comune: chi si trova in una posizione di potere ha il dovere di non abusarne e ha il dovere di comportarsi in modo corretto, tutto il resto non è più accettabile.
Fra pochi giorni, il 25 novembre, ricorre la Giornata per l’eliminazione della violenza contro la donna: cosa dire di questo fenomeno ancora così presente?Le statistiche ci dicono che in tutti i Paesi occidentali i crimini sono in diminuzione; l’unico crimine costante è proprio quello della violenza domestica, dove si registra un aumento della crudeltà e della virulenza. Siamo in una fase di contrapposizione: da una parte donne e uomini pronti per una nuova vita famigliare e sociale, che superi la tradizionale divisione dei ruoli; dall’altra, uomini e anche donne che questa visione non l’hanno ancora introiettata. Per contrastare la violenza, servono norme e procedure decise e chiare, ma anche che il caso Weinstein possa avere un effetto positivo e rendere meno diffidenti e sospettosi chi riceve le denunce di violenza.
Si è candidata alla presidenza di FAFTPlus: da dove arriva l’interesse per la parità e le questioni di genere?L’ho sempre avuto, fin da bambina. Nella mia famiglia il più femminista di tutti era mio papà. Alle medie facevo parte di un gruppo di ragazze “militanti”, che discuteva, aveva i suoi proclami, distribuiva volantini... Erano gli anni ’70, di parità si parlava tanto e con grande speranza. Hanno avuto un ruolo anche le insegnanti, una più brava dell’altra, che ho incontrato: donne “centrate”, consapevoli e attente a trasmettere il messaggio giusto. Poi, nel corso della vita, non ho mai smesso di studiare e imparare, perché, come dice sempre Chiara Simoneschi-Cortesi, presidente uscente di FAFTPlus, la parità è un sapere, non è un’opinione. Ho capito che questo concetto racchiude così tante dinamiche sociali e comportamentali da richiedere un apprendimento e un impegno senza fine.
E la speranza del ’68 dov’è finita?In me c’è ancora. Fino a poco tempo fa, mi addolorava constatare che poco era stato raggiunto. Ora invece valuto tutto su una scala più ampia e collettiva e mi dico che sono processi lunghi, lunghissimi... Poi però arrivano dei punti di rottura, come il caso Weinstein, che imprimono una svolta e aprono nuovi orizzonti.
È pero innegabile che i semi del ’68 non sono germogliati come ci si attendeva...Nulla è andato perduto. Ciò che ora ci sta facendo vedere tutto in un’altra ottica, è il fatto che per mantenere i potenziali di crescita delle nostre economie c’è bisogno di più donne nel mercato del lavoro. Se incrociamo questo dato con l’alto numero di donne con una formazione superiore, vediamo che questi due filoni, etico ed economico, per una volta possono essere sviluppati insieme. Questo ha fatto ripartire pensieri e azioni attorno al femminismo.
Dove hanno fallito gli ideali riesce l’economia?L’interesse economico non va visto in modo negativo. Una crescita inclusiva è utile a tutta la società, quindi io mi sento di incoraggiarla. È però necessario che le donne siano presenti là dove sono prese le decisioni, in politica, nelle grandi aziende, nel management, in modo che le loro competenze, unite a quelle maschili, possano innescare un cambiamento, che va favorito perché sempre più uomini desiderano una diversa ripartizione dei ruoli nella vita famigliare e lavorativa. Dunque non è solo un fattore economico, ma anche un’esigenza delle nuove famiglie, dei giovani padri e dei giovani.
Anche nel nuovo comitato di FAFTPlus si sono candidati tre uomini: è un passo epocale?È un passo che andava fatto. Noi vogliamo progettare e agire coinvolgendo diversi punti di vista, perché il miglior modo per raggiungere gli obiettivi è l’inclusione. Avevamo già fatto una piccola rivoluzione qualche anno fa, quando da Federazione che univa le associazioni femminili ci siamo aperte ad altre istituzioni che condividono le nostre stesse finalità. È una svolta segnalata con l’aggiunta di “plus” nel nostro nome. Desideriamo includere gli uomini nei processi decisionali del comitato, nelle strategie e nei progetti, perché gli uomini hanno molto da dire su questo argomento e vogliamo ascoltarli.
Parità non è dunque più solo una questione femminile?È così nei fatti. Sarebbe auspicabile che anche le aziende cominciassero a considerare l’impegno per le pari opportunità – per esempio per agevolare il rientro delle mamme dopo la maternità, per garantire la parità salariale, la diversità di genere tra i quadri, la formazione e la carriera al femminile – come un investimento strategico importante per il futuro. Per fare questo occorre coinvolgere gli uomini, perché ai vertici delle aziende ci sono ancora prevalentemente loro.
In effetti nelle stanze dei bottoni le donne scarseggiano...Occorrono le quote, quelle in discussione in parlamento per i consigli di amministrazione delle grandi aziende e per le direzioni?Credo di sì, bisogna dare una mano a chi vede la parità come un costo e non come un investimento. E per “dare una mano” intendo che deve essere introdotta una norma: l’esperienza di altri Paesi ci insegna che quando c’è un obbligo le donne si trovano e non vale più l’obiezione che i profili femminili non ci sono. Ci sono eccome, esperte da coinvolgere nei dibattiti televisivi e candidate da inserire nelle liste, ma occorre fare un atto di volontà per superare lo scoglio dell’abitudine. Poi, quando si entra in un circolo virtuoso, le quote possono risultare superflue.
Cosa dire invece dell’iniziativa sul congedo paternità che il Consiglio federale ha respinto nelle scorse settimane?Questo è un caso emblematico. La Confederazione si impegna a tenere le donne nel mercato del lavoro, perché serve manodopera qualificata che garantisca i livelli di crescita economica, e ha elencato una serie di misure per favorire la conciliabilità. Arriva sul tavolo la proposta del congedo paternità, che potremmo definire il minimo sindacale della conciliazione e che ha un impatto irrisorio sul PIL, ma viene bocciata perché costa troppo. È evidente che c’è un problema culturale, che si antepone a ogni considerazione di natura economica. Ma c’è anche una drammatica lontananza della politica dal mondo reale: le famiglie sono già oltre rispetto all’immagine che la politica ha di loro. Pensa che sarebbe così anche se ci fossero più donne in politica?
Marialuisa Parodi è femminista?Certo, non temo la definizione e non è un’etichetta inutile. Femminista non è il contrario di maschilista, femminista è una persona –uomo e donna – che ha a cuore gli ideali di giustizia e la parità fra i sessi come principio di giustizia sociale.
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L'intervistata
Candidata alla presidenza di FAFTPLus all’assemblea del 22 novembre a Lugano, Marialuisa Parodi, 53 anni, economista e analista finanziaria, è sposata e ha due figli. Oltre alla sua elezione, l’assemblea deciderà l’entrata degli uomini nel comitato, una prima nella storia della Federazione nata nel 1957 per rivendicare il suffragio femminile. FAFTPLus ha creato il consultorio Donna e lavoro e la piattaforma Forum 54 per promuovere la presenza femminile e i temi di genere in politica.