<p>Monica Zunino Milano I l lavoro di cura, i figli prima e poi i genitori anziani, grava ancora sulle spalle delle donne in Italia. Non c’è solo l’esercito delle 25 mila neomamme che secondo i dati dell’ispettorato nazionale del lavoro si sono licenziate per le difficoltà di assistere il bambino (costi elevati e pochi asili nido) e di far coincidere i tempi con quelli dell’attività professionale. Anche le più agguerrite donne manager sono costrette quotidianamente a fare i conti con gli impegni familiari e un ambiente di lavoro costruito invece su parametri che non ne tengono conto. Non importa quanto analisi e studi sottolineino con numeri e percentuali che avere una donna nel cda o come manager fa bene all’azienda, portando un aumento del profitto e allontanando il rischio di default: la bilancia ad oggi è ancora profondamente squilibrata. Un nodo che del resto non tocca solo l’Italia visto che l’universo femminile rappresenta il 50% della popolazione lavorativa mondiale ma genera solo il 37% del Pil, mentre le donne sono responsabili del 75% del lavoro di cura non pagato, evidenziano i report di McKinsey Global Institute su donne e lavoro. Inoltre, nel mondo sono solo il 22% le donne in ruoli parlamentari e ministeriali e il 25% in posizioni di management. Per il 60% delle donne manager intervistate nella ricerca Manageritalia Endered realizzata da Astraricerche (su un campione di 804 fra dirigenti e quadri di multinazionali con sede in Italia e aziende italiane), gli impegni familiari condizionano l’attività lavorativa. E per il 92% si tratta di un impegno “gravoso”, per la cura dei figli (71%) più sentita dalle donne sotto i 45 anni, e per quella dei familiari anziani (41%) da parte delle over 54. Difficile gestire il doppio impegno casa- carriera senza un percorso che permetta di creare davvero pari opportunità fra le donne e i colleghi uomini. Servono servizi e flessibilità e il welfare aziendale può giocare un ruolo significativo, ma con azioni mirate. Invece secondo il 51% delle donne manager intervistate la propria impresa prevede misure generiche di conciliazione vita lavoro, come la flessibilità dell’orario, rivolte a tutti i dipendenti, e solo nel 5% dei casi misure specifiche per le donne e nel 6% per le donne manager che chiedono anche sostegno allo studio dei figli (44%), l’asilo nido aziendale (33%), il maggiordomo aziendale per il pagamento delle bollette e lavanderia (32%), rimborsi o convenzioni voucher per le badanti (26%). «Secondo l’Istat in 10 anni 10 milioni di donne italiane hanno dovuto rinunciare al lavoro per i condizionamenti legati agli impegni familiari» dice Damien Joannes, Business Unit Welfare Manager di Edenred Italia convinto del potenziale del welfare aziendale per «la valorizzazione dell’individuo e la riduzione delle discriminazioni di genere». Grazie alla legge sulle quote rosa, la presenza delle donne nei consigli di amministrazione delle quotate e delle aziende a controllo pubblico nel 2017 ha superato il 30%, evidenzia la recente ricerca del Cerved sulle donne ai vertici delle società italiane. Un passo avanti importante ma che non ha ancora scatenato una “contaminazione” e una vera svolta: le donne amministratore delegato o nei posti di comando delle imprese sono poche. «La battaglia per le donne ai vertici non è snobistica — spiega Lella Golfo, presidente della Fondazione Bellisario — perché quando si avranno più donne ai vertici, ed è la stessa cosa per la politica come per l’economia, ci sarà una maggiore attenzione a politiche che ne facilitino la vita e consentano di raggiungere veramente le pari opportunità. Chi ha vissuto direttamente le difficoltà di conciliazione sarà la prima a proporre misure per superare le difficoltà. Il passaggio, culturale, che dobbiamo fare in Italia, è che la maternità non è un detrimento, non è un ostacolo, e anzi rende la donna più produttiva ». Servono servizi e flessibilità - e il welfare aziendale può giocare un ruolo molto rilevante - per aiutare le donne a gestire il doppio impegno casa-carriera </p>