Violenza ostetrica, attenzione al "modello fordista" per le donne partorienti...
Dopo aver partorito nel 2013, la francese Marie-Hélène Lahaye ha aperto un blog sul sito di Le Monde per affrontare la questione della nascita da un punto di vista dichiaratamente "femminista e politico".
L'attivista, con una formazione in giurisprudenza, lavora nelle istituzioni europee in Belgio e ha da poco pubblicato un libro dal titolo Accouchement, les femmes méritent mieux ("Parto, le donne meritano di meglio") in cui critica la gestione delle procedure per dare alla vita i bambini negli ospedali francesi.
La questione dellaviolenza ostetricaè dibattuta anche in Italia, dove c'è un movimento forte a difesa delle donne che affermano di aver subito violenza psicologica o fisica alla loro prima esperienza di maternità. Scrive Il Post che, dal 2003, circa 1 milione di donne in Italia – il 21 per cento del totale – ha avuto una esperienza traumatica, e un altro 23 per cento ha risposto di non esserne sicura.
La campagna Basta Tacere dell'Osservatorio sulla Violenza Ostetrica Italia, legata ad una proposta di legge per la tutela dei diritti delle partorienti, è attiva già dal 1972 ed è stata rilanciata in questi anni su Facebook dove ha raccolto le testimonianze di migliaia di donne. In Ungheria, è emerso in parallelo un movimento chiamato "La Rivoluzione delle Rose".
In Francia, la questione è stata presa a cuore da varie personalità e movimenti femministi che hanno avuto grande esposizione mediatica nel 2017. Una relazione commissionata da Marlène Schiappa, segretario di Stato per l'uguaglianza di genere, è prevista per la metà del 2018.
Effetto domino di atti medici
"La maggior parte delle donne non è consapevole di come saranno trattate", dice a euronews Lahaye. Alcune di loro vivranno bene perché la realtà corrisponde all'immagine mentale che hanno di partorire stese supine, gambe all'aria, sfruttando l'epidurale con i medici intorno che incoraggiano 'Spinga, spinga signora".
"Ma un'altra parte delle futuri madri potrebbe vivere un brutto momento al rendersi conto che tutto questo non è ciò di cui ha veramente bisogno. Nel momento del parto, avranno bisogno di essere rispettate e benvolute, con gentilezza ed empatia. E invece si sentiranno abbandonate e umiliate, subendo ogni tipo di divieti e ingiunzioni"
Il libro di Marie-Hélène Lahaye mostra come gli ospedali siano organizzati secondo quello che lei stessa descrive come un "modello fordista di standardizzazione", che porta ad un effetto domino di atti medici che, a volte, possono arrecare complicazioni. Queste, a loro volta, devono essere risolte con nuove procedure mediche.
"Ad esempio, un protocollo dice che il collo dell'utero deve espandersi ad una velocità di 1 cm all'ora. Se non è così, ogni ora la vagina viene sollecitata manualmente con l'introduzione delle dita di un'ostetrica nel canale. E se questo non bastasse, viene iniettata l'ossitocina sintetica. Secondo l'ultimo rapporto dell'INSERM (Institut national de la santé et de la recherche médicale), questo non è un fenomeno marginale. L'iniezione di ossitocina provoca dolore e quindi la conseguenza è l'epidurale. Così le donne si ritrovano immobilizzate davanti ai medici. L'iniezione di ossitocina, che produce contrazioni, aumenta anche il rischio di emorragia durante il parto e quindi di complicanze. Inoltre aumenta il rischio di sofferenza fetale e, a cascata, di parto cesareo o di estrazione strumentale".
Anche le ostetriche sono soggette a questo sistema "fordista" e devono correre da una donna all'altra. "Si ritrovano a dover fare accelerare il parto di una donna, rallentando quello di un'altra per consentire all'équipe medica di essere disponibile al momento dell'espulsione del bambino e garantendo così una buona rotazione delle sale parto".
"I medici considerano ancora la donna come nel XIX secolo"
Marie-Hélène Lahaye spiega di aver iniziato a scavare nel problema della poca empatia da parte della "scienza", sottolineando che in molti casi non vengono osservate "raccomandazioni che hanno 10, 15 o 20 anni" come quelle dell'OMS, stilate nel 1997, o del Collège des gynécologues et ostétriciens français (CNGOF) sull'episiotomia del 2005. "Ho potuto constatare questo meccanismo patriarcale di dominio medico sui corpi delle donne ed è evidente che siamo su un terreno femminista".
Dice ad euronews che "i medici continuano oggi a concepire le donne che partoriscono come nel XIX secolo: una cosa fragile, debole, incapace, che non pensa, un utero in movimento con tutta una serie di malattie specifiche come l'isteria. È davvero la stessa cosa; non ci siamo spostati da quei tempi".
"Quando il professor Israel Nisand dice che le donne non capiscono le informazioni e non sono in grado di dare il loro consenso libero e informato per assenza di sufficiente sangue nel cervello - diretto verso il grembo materno - questo è un genere di discorso da XIX secolo". (qui la risposta di Nisand, presidente della CNGOF)
Per Marie-Hélène Lahaye, la risposta femminista a questo stato di cose è porre fine all'infantilizzazione delle donne che, anche gravide e partorienti, "rimangono persone adulte e responsabili, dotate di ragione e discernimento, capaci di prendere decisioni volontarie e che meritano rispetto".
"Più che di una legge, avremmo bisogno di slancio politico".
Il termine violenza ostetrica, sotto il quale è emerso il dibattito, viene dal Sudamerica. Venezuela, Messico e Argentina hanno legiferato in merito nel 2007 e nel 2009. Lahaye, avvocato, ricorda che in Francia esistono già diversi diritti che tutelano le donne incinte e partorienti: la legge Kouchner sul consenso dei pazienti, il diritto a ricevere adeguate informazioni sul trattamento e gli aspetti penali relativi alle mutilazioni genitali femminili.
A suo parere, più che una legge, si tratta di dare uno "slancio politico" in vari ambiti diversi. Cita, tra l'altro, la formazione delle future ostetriche e ostetriche francesi, molto più tecnica e meno pratica che in Belgio: "non hanno mai partecipato ad un parto naturale".
E altrove in Europa?
In Francia, spiega Marie-Hélène Lahaye, il fatto che le ostetriche abbiano una "visione del parto come l'ennesima operazione chirurgica - con un una paziente che dorme e dove i gesti chirurgici più si ripetono, meglio sono controllati" - ha in parte favorito la concentrazione di grandi centri di maternità "medicalizzati".
Una situazione contraria a quella del Belgio, dove la densità di popolazione è molto più elevata e dove i piccoli ospedali per la maternità e le case di parto hanno potuto continuare a vivere e offrire modelli più fisiologici.
In Inghilterra, l'influenza anglosassone della medicina medico-paziente co-costruita migliora il dialogo con le donne: il Paese da questo punto di vista è in prima linea. Il problema riguarda piuttosto la situazione dell'NHS e del settore sanitario e l'accesso alle cure.
In Svezia, un paese in cui i giovani genitori possono beneficiare di un congedo parentale vantaggioso, il problema è trovare un posto dove partorire. Le restrizioni di bilancio negli ospedali sono tali che un partoriente può dover recarsi in diversi reparti di maternità a metà travaglio prima di trovare un posto... con il rischio di partorire "per la strada".
In generale, spiega Marie-Hélène Lahaye, più si va al sud in Europa o nell' ex blocco orientale, più forte è la medicalizzazione. In Polonia o in Romania "la logica del bene comune prevale sul principio di scelta degli individui, e quindi delle donne". In Grecia, la situazione è diventata paradossale nel bel mezzo della crisi: mentre il servizio pubblico era allo sbando, "il tasso di cesarei, che costano fino a 5.000 euro, è rimasto fermo al 40%."