Aborto In Polonia: i pro-vita chiedono il divieto quasi totale
"In base alla nuova legge un dottore che, cercando di salvare la vita di una donna, provocasse involontariamente la morte del feto, rischierebbe una condanna al carcere fino a tre anni."
Nelle strade della Polonia si combatte una battaglia per il futuro. La stessa che ha vissuto Maria, dentro di sé, da sola, alcuni anni fa, dopo essere finita vittima di uno stupro di gruppo. Rimasta incinta, ha deciso di abortire. È stata la decisione più difficile della sua vita, dice: “Però era la mia battaglia personale, con i miei pensieri e i miei sentimenti. Quel che mi stava accadendo non riguardava la chiesa, i miei genitori o i miei amici, perché non erano nella posizione di aiutarmi. È stato un periodo molto difficile per me”.
“I bambini spesso muoiono fra atroci sofferenze. Puoi fermare questo crimine firmando la petizione per una legge che protegga la vita di ogni bambino”: è lo slogan degli antiabortisti che vogliono modificare il compromesso raggiunto tra la Chiesa e lo Stato negli anni Novanta. La legge in vigore consente l’aborto solo in caso di pericolo di vita per la madre, gravissima malformazione del feto e stupro. Il nuovo testo lo ammetterebbe solo per salvare la vita della madre.
Marius Dzierzawski, della Fondazione per il diritto alla vita, mostra alle sue spalle la gigantografia di un feto sanguinante: “Grazie a manifesti come questo, che si possono vedere in decine di città in Polonia, l’atteggiamento del pubblico è cambiato. La gente vede che l’aborto non è un male minore ma un crudele omicidio. Di conseguenza ci sono sempre più polacchi convinti che la vita di ogni bambino vada protetta fin dal concepimento”.
I movimenti pro-vita ricordano che sotto il comunismo le donne potevano sì abortire liberamente, ma a volte erano spinte a farlo. Come è successo alla famiglia di Fryderyk Migaczewski, che racconta: “All’epoca mia madre faceva l’insegnante. La minacciarono di ostacolare la sua carriera se avesse avuto un terzo figlio. Allora abortì. Sarei potuto essere io”.
Migliaia di polacchi sono scesi in piazza per opporsi al progetto degli antiabortisti, ma chiedono di più. Per l’attivista Karolina Wieckiewicz già la legge esistente è una farsa. Ha istituito un numero verde per aiutare le donne che abbiano problemi ad avere un aborto legale e ha creato un movimento su Facebook per contrastare la campagna dei pro-vita. “Le donne vengono umiliate, – dice -, le loro decisioni vengono contestate. Non viene dato loro il diritto di decidere se vogliano mettere termine a una gravidanza, e incontrano continui ostacoli se decidono di farlo. Spesso vengono ingannate: se la gravidanza minaccia la loro vita o la loro salute, questi fatti vengono nascosti, così come vengono tenute nascoste gravi malformazioni del feto, oppure le procedure diagnostiche vengono protratte, e alla fine la madre scopre queste gravi malformazioni troppo tardi per interrompere la gravidanza”.
Maria segue on line le vicende legate alla campagna, ma dice di non voler essere coinvolta, e di non voler dare consigli alle donne che pensano di abortire: “Dovrebbe essere solo la donna a decidere, come è successo a me. In caso di malformazione del feto, la decisione dovrebbe essere presa da entrambi i genitori. Non dovrebbe essere coinvolto nessun altro”.
Maria è stata fortunata, perché ha incontrato un ginecologo che si è preso cura di lei. Il professor Romuald Debski è fortemente critico nei confronti della campagna, ed è convinto che una legge più severa sarebbe molto pericolosa sia per i pazienti sia per i medici. Perché, spiega, “In base alla nuova legge un dottore che, cercando di salvare la vita di una donna, provocasse involontariamente la morte del feto, rischierebbe una condanna al carcere fino a tre anni. Sarebbe la fine della diagnosi e della terapia prenatale. Smetteremmo di essere dei veri ginecologi, perché i dottori non vorrebbero rischiare di essere condannati per aver cercato di salvare la vita di una donna”.
Maria conclude: “Penso ancora molto a quei momenti, mi chiedo se le cose sarebbero potute essere diverse. Ma penso che non sarei stata capace di crescere il bambino. Non ero pronta, non era il momento giusto”.