Voltairine De Cleyre: l’anarchica che si batteva per le donne
L’anarchica statunitense Voltairine De Cleyre (1866-1912)
Suo padre aveva dato il suo contributo, fosse solo per averla chiamata Voltairine, da Voltaire (certo lui era convinto che al terzo parto sua moglie Harriet Elizabeth gli avrebbe “dato” un maschio). Eppure, davvero a sorpresa, Hector De Claire, nel 1880, spedì la figlia, quando le fu affidata, in un istituto religioso dell’Ontario.
L’esperienza tra le religiose
Voltairine De Cleyre (dal nome americanizzato del padre) aveva allora 14 anni e della sua breve, difficile e tormentata esistenza (sarebbe morta nel 1912), quei tre anni tra le suore rimasero tra i più bui e dolorosi. Ne uscì in piena rivolta contro la Chiesa, arrabbiata con il padre, che pure era di orientamento socialista (anche la madre veniva da una famiglia anti-schiavista), ma con un buon bagaglio di studi, frutto della sua inesauribile curiosità intellettuale. Da quel momento, ossia dal 1883, o poco dopo, prese avvio l’intensa e coraggiosa vita di una grande intellettuale anarchica, una lucida e preveggente paladina dei diritti delle donne, vittima prima di persecuzioni anche feroci e poi del doppio oblio, come anarchica e come donna.
Il manifesto dell’omaggio reso a Voltairine dopo la sua morte, il 23 giugno 1912.
Dimenticata a lungo
Oggi non la ricorda praticamente nessuno. Tra le tante e spesso grandi intellettuali anarchiche, forse soltanto Emma Goldman è riuscita a superare il muro dell’oblio. Eppure, nella sua epoca, Voltairine fu forse altrettanto famosa. E non solo tra i circoli anarchici e progressisti. Adesso un bel libro viene a colmare questa lacuna anche in Italia: si intitola Voltairine De Cleyre. Un’anarchica americana, è edito da Elèuthera ed è curato da Lorenzo Molfese. Raccoglie alcuni suoi scritti. E vien da chiedersi perché a scuola non si studiano mai queste pioniere della libertà e della pace.
La morte in miseria
L’introduzione di Normand Baillargeon e Chantal Santerre permette di ripercorrere anche la scomodissima vita di Voltairine, sempre sull’orlo della miseria. Nel 1902 fu anche quasi uccisa (abbastanza inspiegabilmente) da un suo seguace, Herman Helcher, che le sparò ma che lei perdonò subito. Alla fine morì di meningite settica, e soprattutto di stenti. Nonostante questo, nonostante una salute sempre precaria e una situazione economica ancor più precaria, dedicò tutta la vita al riscatto degli ultimi. E delle donne.
Un manifesto moderno che riprende una frase di Voltairine De Cleyre
La denuncia del capitalismo
Se oggi le teorie anarchiche sul futuro della società (lei sperava in un naturale ritorno a un’agricoltura di sussistenza come quella dei pionieri americani) ci appaiono piuttosto strampalate e troppo generose sull’animo umano (Voltairine era del tutto convinta che, cessato lo stato di necessità, gli uomini non avrebbero commesso più alcun crimine), la sua analisi della società americana e soprattutto quella della condizione femminile sono di grande attualità. Voltairine non soltanto vedeva benissimo quanta schiavitù e quanti falsi bisogni creasse il capitalismo e quanto ipocrita fosse la pretesa delle istituzioni di “difendere la libertà” reprimendo le opposizioni.
La libertà di essere o non essere madri
Ma soprattutto denunciava la schiavitù perenne delle donne e la falsità delle teorie “positiviste” e perfino di alcuni “progressisti” che si andavano sostituendo alle credenze religiose e politiche antiche nel riaffermare la “naturale” inferiorità della donna. Voltairine è stata lucidissima nell’individuare nel matrimonio una forma di prostituzione e di vendita del proprio corpo e della propria mente in cambio di un “mantenimento” che le donne avrebbero potuto (e oggi possono) procurarsi da sole. Denunciò in modo chiaro le trappole della presunta “ onorabilità”, l’assurdità di leggi che privavano le madri di tutti i diritti sui figli e le mogli di qualsiasi diritto su se stesse. Sostenitrice della “libertà della maternità” e della “libertà dell’amore”, rivendicava per tutte le donne gli stessi diritti umani e civili degli uomini. E faceva notare che solo una maternità consapevole avrebbe limitato l’alta mortalità infantile e che quindi l’idea secondo la quale, se le donne avessero potuto lavorare, le nazioni sarebbero scomparse era pura ipocrisia: le donne autonome avrebbero fatto meno figli, ma li avrebbero fatti sopravvivere.
Non puntava al voto
Curiosamente (ma in linea con le idee anarchiche) non rivendicava il diritto di voto: nel suo mondo ideale, nessuno avrebbe delegato a nessun altro il diritto di decidere per sé. Credeva invece, fermamente, nella cultura come strumento di riscatto dai pregiudizi, come mezzo principe per uscire dalla miseria e dalla sottomissione. Voltairine sapeva che gli uomini, di loro iniziativa, non avrebbero mai concesso la libertà alle donne: era alle donne che toccava rivendicarla e pretenderla. Senza violenza, perché Voltairine era anche una convinta sostenitrice delle battaglie non cruente.
«Rivendichiamo i nostri corpi ora!»
I passi interessanti del libro edito da Elèuthera sono molti. Citiamo una sola frase: «La questione dell’anima è ormai vetusta, rivendichiamo i nostri corpi ora! Siamo stanche delle vostre promesse, Dio è sordo e la sua Chiesa è il nostro peggior nemico. Essa è la forza morale (o immorale) che si nasconde dietro la tirannia dello Stato». Per Voltairine solo un movimento spontaneo di donne avrebbe spezzato le catene e restituito loro la dignità. Sarebbe accaduto. Aveva ragione lei.
3 luglio 2017 (modifica il 3 luglio 2017 | 22:41)
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