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Wonder Woman e gli altri: quando lo scontro di civiltà passa dai super eroi

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Le messe al bando (o all’indice) di libri e film - purtroppo - non sono precisamente una novità nella storia del genere umano. Il che costituisce una conferma inequivocabile della bontà della massima secondo cui «uccide più la lingua della spada» - e se l’eterna tentazione e pratica della censura viene calata sul risiko mediorientale, la miscela, come ovvio, si rivela particolarmente esplosiva.

Nei giorni scorsi, il ministero dell’Economia e del Commercio del Libano, che da tempo attua una politica di boicottaggio dell’export di Israele, ha deciso di vietare ufficialmente la proiezione nelle sale di Wonder Woman, ultima variazione cinematografica sul tema della supereroina creata nel 1941 dallo psicologo harvardiano William Moulton Marston (1893-1947). Film e arance, insomma, pari sono – e, anzi, nel primo caso c’è l’aggravante del fatto che, come dichiarato nel gergo ministeriale a metà tra il burocratese e il linguaggio bellico, i «tentativi nemici di infiltrazioni nei nostri mercati» vogliono prendere i cittadini islamici libanesi non per la gola, ma per la testa. E il Libano in questa decisione si trova in “buona” (meglio, cattiva) compagnia della Tunisia, dove un tribunale ha stabilito il blocco della programmazione della pellicola sulla base della denuncia del Movimento del popolo, una formazione politica nazionalista.

Il “problema” per questi politici arabi della pellicola (statunitense) della regista Patricia “Patty” Jenkins, naturalmente, è la protagonista. Ovvero Gal Gadot, ex Miss Israele ed ex top model piuttosto patriottica, che ha prestato due anni di servizio militare e non ha risparmiato le dichiarazioni pubbliche, anche via social, contro Hamas e i suoi ripetuti attacchi nei confronti dei civili. Lanciata come un missile (anche in termini di popolarità) nel cosiddetto “Universo espanso” delle storie della Dc Comics, l’amazzone Diana-Gadot si trova di fronte la contraerea di alcune nazioni islamiche.

Verosimilmente anche perché la “versione di Jenkins” sposa in pieno il sottotesto – e l’ipertesto – del fumetto originario inventato da Marston, teorico di un “originale” femminismo e al centro (sostiene la storica Jill Lepore nel suo The Secret History of Wonder Woman, Alfred Knopf, 2014) di un esperimento poligamico e scambista di “famiglia allargata” con la moglie, una ex allieva e assistente (nonché nipote di Margaret Sanger, una delle massime esponenti del movimento politico delle donne nel Novecento, e pioniera del controllo delle nascite) e una bibliotecaria suffragetta con la passione per il bondage. E, di sicuro, l’interpretazione di Gadot è quella di una supereroina appunto “femminista”, idealtipo di una donna indipendente e fortissima anche quando dall’edenica isola natia sbarca nella Londra del primo conflitto mondiale, portando con sé una mentalità anti-guerrafondaia e una sorta di visione russoviana del genere umano, popolato a suo avviso di individui innocenti (e “buoni selvaggi”) che venivano traviati da qualche fattore esogeno.

Come il feroce dio della guerra Ares reincarnatosi nel generale Erich Ludendorff, uno dei componenti dello Stato maggiore guglielmino, e idolo delle destre ipernazionaliste e pangermaniste. Diana-Gadot, quindi, come icona femminile che entra in totale rotta di collisione con il modello di patriarcato maschilista dominante nel mondo arabo (che non sarebbe appunto piaciuto all’antimachista Marston).

E, dunque, siamo di fronte a un nuovo capitolo dello scontro delle civiltà – per dirla alla Samuel Huntington – combattuto su un piano che punta non alla conquista della terra (così determinante in Medio Oriente), bensì dei cuori e delle menti delle giovani generazioni. Più assimilabile, dunque, a un episodio delle cultural wars, e fortunatamente incruento seppure aspro (e sgradevolmente inaccettabile, come lo sono tutte le forme e decisioni censorie).

Le nazioni arabe combattono Israele per interposto surrogato (e sostituto) di nemico, che in questo caso è l’Expanded Universe dei film ricavati dalle storie a fumetti di superoi della Dc Comics, contrastati quale progetto espansionistico dell’Occidente. Perché al centro della nuova guerra (culturale) mondiale, da qualche tempo a questa parte, troviamo le lotte per il controllo e la produzione dei contenuti che vengono consumati dal pubblico globale; e, in particolare, i prodotti della cultura mainstream, quella che irresistibilmente «piace a tutti» e ha colonizzato l’immaginario popolare della nostra postmodernità (o post-postmodernità), come ha raccontato bene il giornalista e massmediologo francese Frédéric Martel nel suo libro omonimo (Mainstream, Feltrinelli, 2010).

L’egemonia culturale a stelle e strisce si è così frantumata in un centrifugato che vede l’anglosfera detenere sempre una posizione dominante in virtù del suo modello di cultura di massa, ma con una platea affollata da altri soggetti (dalla Bollywood indiana alla Nollywood nigeriana, da Al Jazeera alla musica leggera coreana del K-pop), che ne riprendono stilemi e paradigmi rideclinandoli secondo le specificità e peculiarità locali (che si tramutano così in glocali). E si tratta di una battaglia planetaria che vede quali player e attori centrali le grandi media company internazionali, ma nella quale si sono inseriti, giocando un ruolo rilevante, anche vari regimi autocratici e democrature, dalla Russia (con il suo cartone animato, e merce immateriale da esportazione mondiale, Masha e Orso) ai governi arabi e ai loro mezzi di comunicazione. E difatti, a proposito della lotta senza quartiere ingaggiata contro la Wonder Woman considerata una campionessa dello Stato ebraico, il Medio Oriente arabo si trova alle prese (suo malgrado) da un po’ di tempo con la sfera fumettistica, potentissima officina di immaginari.

Dc Comics si è inventata un supereroe arabo-americano, Simon Baz “al-Shuja’a” («il coraggioso»), che dopo essere stato un terrorista si redime e finisce per collaborare con il gruppo di vigilantes galattici delle Lanterne Verdi. In epoca Obama erano stati lanciati, in nome del politicamente corretto e del dialogo multiculturale, alcuni tentativi narrativi di stemperare la tensione, con personaggi come The 99 (i supereroi arabi più famosi), che collaboravano con Superman, Batman e Wonder Woman, mentre un disegnatore e imprenditore giordano, Suleiman Bakhit, ha partorito dei “supermen” e delle “wonder women” anti-Califfato.

Una pagina di “guerra delle civiltà” che forse si dovrebbe combattere pacificamente moltiplicando le proposte di cultura pop positive e cooperative, quelle portatrici di visioni che ampliano la valorizzazione dell’individuo e dei suoi diritti, delle donne e delle minoranze. Perché un fumetto è per sempre (o quasi).

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