Reggaeton malato di sessismo, l'America Latina prova a ribellarsi
È il re indiscusso dell’estate. Per radio e televisione, in discoteca, nei bar di tutto il mondo, e addirittura in sagre e feste popolari, il reggaeton porta quel tocco latino e sensuale che d’immediato fa pensare al caldo, alle spiagge, al sesso e ai Caraibi. Il ritmo nato in Portorico però non è associato solamente a immagini idilliache e a donne voluttuose, ma anche a diverse polemiche e proteste che, dovute ai messaggi violenti e maschilisti dei testi di molte canzoni, da anni cercano di proibirne la diffusione.
«ESPRESSIONI DENIGRANTI». Fra gli ultimi casi, la richiesta fatta da parte della Segreteria delle donne dello stato messicano di Coahuila di vietare questo tipo di musica nelle scuole elementari e medie, per il fatto che «la maggior parte delle canzoni di reggaeton contengono espressioni denigranti verso il genere femminile».
La titolare della segreteria, Luz Elena Morante, ha dichiarato che trasmettere assiduamente questa musica a eventi, feste e attività degli studenti costituisce una forma di incitamento alla violenza contro le donne.
AMERICA LATINA MASCHILISTA. Tema sensibile in Messico e in America Latina, poiché, secondo dati della commissione dell’Onu per i diritti delle donne, a livello internazionale è questa la zona dove si commette il maggior numero di delitti contro il sesso femminile. È la regione dove sono assassinate più donne, 60 mila all’anno: qui si trovano infatti 14 dei 25 Paesi del mondo con i maggiori indici di femminicidi.
CANZONI UNA VOLTA NAZIONALISTE. Nato come una sfida dei musicisti portoricani al rap americano, il raggaeton all’inizio presentava contenuti contestatari e fortemente nazionalisti, che lanciavano messaggi a favore dell’indipendenza dell’isola dagli Stati Uniti. Basti pensare al gruppo Calle 13.
Negli ultimi anni, i testi si sono fatti maggiormente provocanti, con frasi sessuali e aggressive, video spinti e il “perreo”, la forma di ballarlo con procaci movimenti dei fianchi e le natiche. Per questo motivo già altri Paesi avevano cercato nel passato di proibirlo, come Guatemala, Equador e Perù.
MUSICA OSTEGGIATA ANCHE ALTROVE. Ma la violenza di genere, fisica e psicologica, non è un problema esclusivo dell’America, dato che a livello internazionale ne è vittima una donna su tre, e il reggaeton è osteggiato anche in altre parti del mondo.
L’Istituto basco per i diritti delle donne ha reso pubblica una playlist di 300 canzoni “consigliate” per i festival estivi, disponibile su Spotify, che promuovono l’autonomia, il rispetto e l’uguaglianza fra i sessi, e dal quale sono stati esclusi pezzi che oggettificano il corpo della donna e fomentano la violenza di genere.
DESPACITO, RIPRODUZIONI RECORD. Nella lista non appaiono molti grandi hits dell’estate, come Vente pa ca di Ricky Martin, Súbeme la radio di Enrique Iglesias, Me enamoré di Shakira e il tormentone dei tormentoni, Despacito. La canzone dei portoricani Luis Fonsi e Daddy Yankee, che ha fatto il giro del mondo, è il pezzo più riprodotto nella storia delle piattaforme di streaming, ha reso noto la sua casa discografica Universal Music, con 4 miliardi e 600 milioni di ascolti.
Un altro successone escluso dalla lista è Cuatro babys, del colombiano Maluma, che mesi fa aveva già fatto scandalo, tanto che, dalla Spagna, era stata promossa una petizione su Change.org per vietarne la riproduzione.
«DONNE DESCRITTE COME CORPI». Laura Pérez, promotrice della petizione che attualmente ha raggiunto le 92 mila firme (contro 765 milioni di riproduzioni del video della canzone su YouTube), dice che il testo e il video «fanno apologia della violenza contro le donne, le quali sono descritte come semplici corpi senza valore, intercambiabili e assolutamente disponibili al servizio del desiderio sessuale illimitato degli autori».
«SOLO PER SODDISFARE L'UOMO». Le ragazze, canta Maluma, «mi danno sempre quello che voglio. Scopano quando glielo dico io», per cui, scrive Pérez, «la figura della donna è rappresentata come un ente senza capacità di decisione, che esiste unicamente per soddisfare le necessità fisiche di un gruppo di ragazzotti virili e pieni di soldi».
Altre iniziative cercano di combattere questo problema con creatività. Per esempio in Messico, dove per strada e nei mezzi pubblici le molestie sessuali sono all’ordine del giorno, Larousse ha intrapreso una campagna informativa con cartelli appesi nelle vie e nelle metropolitane di alcune grandi città.
IL MESSAGGIO: "UN NO È UN NO". “Bon-bon è un dolce spugnoso fatto con lo zucchero. Non una donna”, “Un no è un no”, “La gonna è un abito femminile che non bisognerebbe aver paura di usare”, sono alcune delle frasi proposte dalla multinazionale dei vocabolari.
Un’inchiesta dell’Onu per i diritti delle donne riferisce che nove donne su 10 sono state vittime di violenza sessuale nella metropolitana di Città del Messico. Per questo a marzo del 2017 l’organizzazione ha pubblicato un video, divenuto immediatamente virale, che mostra le reazioni della gente nel vedere un pene falso fissato alla seggiola di un vagone. L’obiettivo era evidenziare il disagio e lo sdegno provocati dalle molestie sessuali.
IN MESSICO UCCISE 5 RAGAZZE AL GIORNO. Ma il problema assume dimensioni gravi e arriva ad estremi tali, che nemmeno le canzoni di reggaeton più spinte e violente riescono a descrivere. In Messico, uno fra i cinque Paesi con maggior numero di femminicidi in America Latina, in media sono uccise cinque donne al giorno (solo fra il 2000 e il 2014 le vittime sono state più di 26 mila).
Una delle ultime è Mariana Baltierra, uccisa a Ecatepec, Estado de México, uno dei comuni nel Paese più letali per le donne: finora nel 2017 ne sono state uccise 15, e 59 nel 2016 secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica (Ine).
STUPRATA, UCCISA E SQUARTATA. Il caso di questa ragazza di 18 anni ha però indignato la città di un milione e mezzo di abitanti (dove secondo l’Ine il 96% di loro si sente insicuro), perché è avvenuto in pieno giorno, nel quartiere in cui viveva Mariana e per la brutalità e accanimento con cui è stato commesso: l’assassino, un vicino di 28 anni, l’ha trascinata con la forza all’interno della macelleria in cui lavorava, e lì l’ha stuprata, ammazzata e, prima di scappare, le ha inciso il ventre con un coltello, spargendone le viscere sul pavimento.
«CI TRATTANO COME "CAGNE"». La polemica è aperta: il reggaeton solo è uno specchio della realtà che esiste in America Latina o riproduce e incita alla violenza? Secondo l’attivista colombiana Lineyl Ibáñez, promotrice della campagna “Usa la ragione” che denuncia i testi di questo genere musicale, «siamo oggetto continuamente di un bombardamento di frasi violente e aggressive a scapito delle donne, e ciò diventa un’abitudine, una cosa normale. È normale quindi che gli uomini ti trattino come una perra (letteralmente “cagna”), che ti prendano per i capelli, e che ti minaccino di poter fare di te quello che vogliono, che ti picchieranno o che ti stupreranno».