Miriana Trevisan: siamo stati indifferenti per anni, davanti al dolore delle donne non possiamo più far finta di niente
Comincia a conquistare terreno il messaggio che è stato gridato, spiegato, sezionato dalla scienza, dai filosofi, dalle femministe, giornalisti, opinionisti e intellettuali. Il messaggio comincia ad ancorarsi come le radici che scelgono di farsi strada sfondando il cemento dell’omertà, stabilizzandosi in un terreno ricco di humus composto da ribellione, paura e rivendicazioni. Intanto ora raccogliamo scioccati il frutto di un’educazione distorta che ci siamo autoinflitti (anche noi donne, donne che scelgono di crescere e lasciar crescere la loro piantina d’appartamento come un bonsai anche se potrebbe essere quercia, occupandosi di delegittimare le confessioni e i dolori delle altre): ora la violenza fisica e psicologica contro le donne è evidente. Il frutto evidente è questa società terrorizzata dal cambiamento necessario per i diritti delle donne ma soprattutto per il diritto al lavoro.
Abbiamo per anni seminato indifferenza e ora ci scandalizziamo se le confessioni e le violenze non sono più solo argomento da centri antiviolenza o ci scandalizziamo scoprendo che il nostro più caro amico abbia creato dolore verso un altro essere umano approfittando della sua posizione. Eppure era una persona per bene. Eppure ha avuto la mia stessa educazione. Si cerca di rimettere il coperchio ma la verità è pronta: dunque serviamo la cena della libertà o continuiamo con finta tranquillità a cuocere il sugo senza pensare se i pomodori sono cresciuti al di sopra delle falde acquifere inquinate? E così serviamo il cibo ai nostri figli senza prestare attenzione a cosa mangiano mentre il seme della superficialità prende piede e crea una piaga nella società?
Assuefatte al dolore perdiamo di vista i diritti. Allenate all’apparenza perdiamo di vista il senso profondo delle radici (che non diventeranno sistemi stabili e così ci crolleranno addosso). Ora noi ci ribelliamo, cercando un nemico, mentre il nemico si è stabilito da tempo a casa nostra, nella nostra cultura. Ci sentiamo vivi solo esercitando un potere su qualcosa o su qualcuno invece di riuscire a essere semplicemente padroni di noi stessi. Eppure solo con responsabilità condivise la società diventa uno spazio libero di espressione. Chi sono i fragili? Peccatori da abbattere o sono un’espressione creata per non guardare negli occhi il dolore? Pensiamo davvero di essere figli del peccato originali? L’originale lo voglio costituire io partendo dal seme della mia famiglia: un capitale che si possa esprimere nelle sue peculiarità.
Ora mi spingo oltre, vado nella mia intimità (visto che va di moda): ho avuto intorno a me donne e uomini che per eccesso di protezione alcune volte mi hanno rimproverata di vedere un mondo che non esiste. Ma io fin da piccola sono sempre stata ribelle, mi sono spesso trovata sospesa tra due mentalità: tra coloro che avevano pregiudizi sulle mie scelte lavorative (velina, valletta) e quelli che avevano pregiudizi sulla mia predisposizione al perdono. Per loro le mie risposte erano illuse: “Non vedi che hai intorno solo figli di puttana che ti sfruttano?”, mi dicevano e io rispondevo “Non vedi che c’è qualcuno che all’interno di un sistema vuole comunque esprimersi con l’arte di un sorriso che faccia compagnia agli anziani; oppure non vedi le sarte che si entusiasmano quando riescono a realizzare un vestito tagliato ad arte?”. Io voglio indossare quel vestito e quel sorriso, non voglio nascondere nulla di ciò che trovo bello. Non mi interessa ora fare la guerra la maschio. Non è questo il punto. L’ambiente che mi circonda non toglie nulla alla mia libertà e il mio lavoro non giustifica e non provoca nessuno se nell’occhio di chi guarda c’è ammirazione piuttosto che possessione ossessiva.
Sono libera nel mio entusiasmo di vedere anche nel male un pizzico di bene e non voglio farmi convincere che sia inutile e nemmeno che io sia fragile come una foglia. Io mi sento una quercia stabile che si veste e che si esprime ogni giorno con colori diversi e viene attraversata dalle stagioni senza paura di spezzarsi. Gli uomini sono preoccupati per le nostre denunce, quindi hanno paura. Le donne sono preoccupate delle ritorsioni, quindi hanno paura. Si tratta di paure che devono trovare un equilibrio di cui siamo dotati e di cui dobbiamo fare buon uso. La paura ci porta forse ad essere più lucidi ma non per forza ad essere aggressivi. Spero che queste emozioni siano utili a un’evoluzione, non mi interessa che ci si sbilanci completamente dalla parte delle donne ma almeno che si trovi un equilibrio scevro da pregiudizi e divisioni e che invece sfoci in una discussione leale e scorrevole. Ora sicuramente le donne parlano più forte. Sbilanciamo il patriarcato per bilanciarci e non per distruggerci a vicenda. L’equilibrio tra generi potrebbe avere una risposta equa e solidale.