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Violenza contro le donne, la femminista: «Il caso Weinstein segna una nuova epoca. È l’ora della rivolta»

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

PARIGI «Ho scritto il mio libro “Sul consenso” 10 anni fa e adesso viene pubblicata una riedizione con un nuovo epilogo, che ho voluto dedicare al “rifiuto del consenso”. Quel che mi interessa è la dimensione politica, non quella psicologica né quella morale. Forse “consenso” è una parola arcaica, troppo complessa, che andrebbe sostituita con “volontà”, più legata all’autonomia di decisione della donna». La filosofa francese Geneviève Fraisse, femminista e studiosa della parità uomo-donna, pensa che il caso Weinstein sia ormai una questione non più individuale ma politica.

Ci sarà e un prima e un dopo Weinstein?

«Credo di sì, stiamo assistendo a una rivolta delle donne che non accettano più il sistema di potere che è esistito finora. Lo scandalo di cui fu protagonista Dominique Strauss-Kahn a New York nel 2011 ha aperto la strada alle denunce che vediamo oggi, anche se apparteneva a un’altra epoca».

Che cosa c’è di diverso nel caso Strauss-Kahn?

«Quell’episodio ci riporta all’Ottocento, al borghese che sale nella camera della donna di servizio per esercitare quel che crede essere un suo diritto, o che aggredisce la donna delle pulizie nella camera di un albergo. La sfera è ancora quella domestica, privata. Poi ci sono stati in Francia i casi del politico Denis Baupin, accusato da alcune assistenti parlamentari, e anche un anno fa quello del fotografo David Hamilton accusato prima da Flavie Flament e poi da altre donne di violenze quando le vittime erano ancora bambine, e che poi è morto suicida. Da Baupin in poi, e in particolare adesso con il caso Weinstein, siamo in un’altra sfera rispetto a DSK, il punto adesso è il luogo di lavoro. Cambiano la natura e il numero delle denunce».

Perché le denunce delle attrici contro Weinstein sono diverse?

«Dalla cameriera Nafissatou Diallo in poi, le donne che si ribellano sono sempre di più e sempre più in alto nella gerarchia sociale. Inoltre, dimo-strano che stiamo entrando in una nuova fase della lotta per i diritti delle donne. Dai primi dell’Ottocento in poi le donne hanno combattuto per i di-ritti politici, economici e famigliari. Oggi possiamo andare al lavoro, a scuola, in Parlamento. L’uguaglianza con gli uomini non è ancora completa ma quella fase può dirsi conclusa. Ora se ne apre un’altra. Il caso Weinstein non arriva a caso, perché nel XXI secolo la questione centrale della lotta femminista è il corpo delle donne, anche se era già presente nella battaglia per l’aborto: dalla fecondazione assistita alle madri surrogate alle molestie sessuali, il corpo è centrale».

Nel suo libro lei contesta anche il termine di discriminazione.

«Dopo l’esclusione delle donne dalla sfera pubblica c’è stata la discriminazione, cioè separare giudicando, e adesso assistiamo alla dequalificazione. Donne e uomini non sono della stessa qualità. Nel mio lavoro di ricercatrice e filosofa per esempio io sono squalificata, perché mi occupo di queste questioni. Godo di un rispetto personale, ma il fatto di essermi dedicata al rapporto tra i sessi a lungo mi ha fruttato un atteggiamento ac-condiscendente. «Sì, pubblica molto rispetto alla media dei ricercatori, sì è conosciuta a livello internazionale, ma è una militante». Sono stata anche parlamentare europea, e due anni fa un amico che conoscevo dagli anni Sessanta mi ha detto “devo farti una domanda, da un sacco di tempo: il po-sto al Parlamento europeo l’hai avuto perché sei andata a letto con il capo del partito, vero?”. Non gli ho rivolto mai più la parola. Questo è squalificare».

Come mai giudica superata la nozione di «consenso», dopo averle de-dicato un’opera?

«Perché è molto complessa, e non sempre ci aiuta. Chi commette una violenza su una donna dice ”non ha detto né sì né no, quindi era d’accordo”, invocando una specie di consenso tacito. L’università della California ha sviluppato il concetto di “consenso affermativo”, cioè acconsentire non è più “non dire no” ma ”dire chiaramente sì”, il che sarebbe stato utile in Francia qualche settimana fa, quando un uomo di 28 anni è stato prosciolto dall’accusa di violenza sessuale su una bambina di 11 anni perché lei non aveva esplicitamente detto di no. Ma quando nel diritto del lavoro si ipotizza un licenziamento consensuale, questo fa ridere perché quale consenso paritario può esistere tra un datore di lavoro e il suo dipendente? Allo stesso modo, c’è la donna che acconsente a mettersi il velo perché ha paura di essere picchiata dai fratelli, quella che acconsente a prostituirsi perché non ha altri mezzi per vivere o perché minacciata dal protettore… Il consenso ha il difetto di non tenere in conto dei rapporti di forza. Un’attrice che sale nella camera di un produttore sicuramente si interroga, la sua carriera è in gioco. Non mi sento di scagliarle addosso le pietre, il problema è il sistema di potere e gli abusi che ne conseguono».

Che cosa pensa del diluvio di testimonianze che arrivano in questi giorni?

«Credo che non si tornerà indietro. Molte donne oggi raccontano delle molestie e aggressione che hanno subito negli anni, e la vergogna potrebbe davvero cambiare di campo, come hanno sempre chiesto le femministe. Quando avevo 10 anni, un pomeriggio mentre andavo alla posta, un uomo si è avvicinato fingendo di chiedermi la strada e invece si è masturbato da-vanti a me. Sono tornata a casa e che cosa ho fatto? Non ho detto niente. Eppure non avevo alcuna colpa, vivevo in una famiglia di intellettuali che mi avrebbe ascoltata. Ma non ero pronta e sentivo che il rapporto di forza non era a mio favore. La colpa e la vergogna erano su di me, non su quell’uomo. Mio padre era femminista, eppure avevo interiorizzato di trovarmi dalla parte sbagliata. Le cose stanno cambiando, ed è un bene».

26 novembre 2017 (modifica il 26 novembre 2017 | 15:31)

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