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Luino, "Quanti schiaffi devo prendere, perchè sia violenza?"

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

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Quando comincia la violenza su una donna? E qual è la lunghezza della gonna indossata che autorizzi un uomo a considerarla una preda? A queste provocatorie domande si è cercato di dare una risposta venerdì 2 febbraio scorso durante l’incontro organizzato dall’Istituto Comprensivo di Luino riservato a docenti, genitori e a tutti coloro ai quali stanno a cuore le tematiche relative alla parità di genere.

La serata rientrava nel progetto di sensibilizzazione che nei mesi di febbraio, marzo, aprile e maggio coinvolgerà alcune classi terze della secondaria di I grado e che vedrà impegnate le volontarie dell’Associazione “DonnaSi-cura” in una serie di incontri con 61 ragazzi di Luino, Dumenza e Maccagno con Pino e Veddasca.

L’Assessore ai Servizi Sociali, Caterina Franzetti, e l’Assessore alla Comunità Montana, Simona Ronchi, hanno brevemente introdotto la serata illustrando le tappe che hanno portato alla costruzione della rete che vede i 24 comuni del nostro territorio collaborare attivamente per contrastare la violenza sulle donne con strategie condivise, anche attraverso la promozione di iniziative di prevenzione, dopo la fase di formazione, avvenuta lo scorso anno e finanziata proprio dalla Comunità Montana.

Manuela F., volontaria “veterana” del gruppo di accoglienza luinese ha sinteticamente spiegato la nascita dello sportello di Luino, che, dal novembre 2016 affianca la sede di Travedona Monate e lo sportello di Sesto Calende. Marina G., volontaria d’accoglienza coinvolta con altre tre colleghe nel “Progetto Scuola”, ha spiegato le motivazioni che hanno spinto Donna SI-cura a proporre questa serie di incontri con i ragazzi: È molto importante partire dalla prevenzione, perché nella scuola è prevista l’educazione alla cittadinanza attiva”. Non si tratterà comunque di lezioni frontali, ma attività di laboratorio, con video, questionari, attività di gruppo, role play che, partendo dagli stereotipi di genere, arriveranno all’analisi e riflessione sui comportamenti che, nell’ambito scolastico, possono diventare la premessa per un futuro atteggiamento di violenza psicologica e/o fisica nei confronti delle donne.

La parola è poi stata data a Silvana Milelli, operatrice di accoglienza e consulente dell’Associazione, che ha immediatamente coinvolto l’uditorio in un’appassionata e appassionante analisi del concetto di violenza e della fondamentale importanza dei centri antiviolenza, che si occupano soprattutto di maltrattamenti in famiglia, “mondo sconosciuto che io chiamo il mondo di mezzo”. Missione primaria di questi centri è “seguire le donne, ascoltandole senza giudicarle, costruendo con loro un progetto di uscita dalla violenza e assicurando tutte quelle risorse esterne ed istituzionali che servono per ritrovare la libertà”. Sì, perché la violenza è un fenomeno culturale: “Non si tratta di malattia né di raptus, ma entra nel tessuto sociale e ne fa parte. Ciò che dobbiamo fare è alzare la voce su questo problema facendo capire che cosa si può fare per combatterla”.

Ma per affrontare il problema non si può far affidamento sull’improvvisazione: ci vuole una corretta metodologia, che si fonda su alcune parole chiave, prima fra tutte l’anonimato. Le donne spesso non si rivolgono alle istituzioni per paura di non essere credute, o perché temono di essere allontanate dai figli. “Noi invece lavoriamo al fianco delle istituzioni, ma in silenzio e rispettando i tempi e le scelte delle donne”. Ha proseguito Silvana.

Ma un’altra parola chiave è Potere: la violenza è un abuso di potere da parte di uomini che spesso nella vita lavorativa o sociale hanno un comportamento del tutto normale, ma in famiglia si trasformano. “La violenza di genere è un fenomeno che fa parte di noi tutti, non qualcosa che colpisce solo le classi disagiate, i drogati, le donne che sono culturalmente limitate, anzi: l’80% delle violenze avviene famiglie dai livelli medio alti, dal punto di vista culturale”. Ci sono poi le informazioni distorte o scorrette che provengono dai mass media: “Il fidanzatino, in un raptus, la ucciso la sua ragazza…”. Portarsi una tanica di benzina o un coltello, o dell’acido prima di incontrare la propria ex, è invece qualcosa di sistematico, organizzato, lucido, continuato. Noi purtroppo galleggiamo ancora negli stereotipi di genere, resistono ancora quei falsi concetti tramandati dai proverbi popolari, come “I panni sporchi si lavano in famiglia” o “donne e buoi dei paesi tuoi”; la stessa pubblicità mercifica il corpo femminile, riducendo la donna a puro oggetto.

La donna, per sopravvivere, normalizza la violenza, si colpevolizza e aumenta il livello di tolleranza, perché non può accettare che l’uomo che dice di amarla sia malvagio. Ma anche i bambini, sia maschi che femmine, sono potenzialmente in pericolo, perché facilmente da adulti riproporranno l’esempio di ciò che hanno visto in famiglia. Per fortuna oggi la violenza assistita è diventato un crimine perseguito per legge. Molto è stato fatto, nel corso degli anni, ma altrettanto lungo è il percorso per arrivare ad una parità di diritti: l’agenzia ONU per i diritti delle donne, per dimostrare come il mondo si divida ancora tra sessi differenti, anche online, ha condotto un interessante esperimento: i pubblicitari della UN Women hanno digitato nella stringa di Google frasi come “Le donne devono – dovrebbero –  non possono – non dovrebbero” lasciando al motore di ricerca il riempimento automatico della frase. Il risultato è stato desolante: le donne “dovrebbero stare a casa, essere schiave, stare in cucina e non parlare, hanno bisogno di essere messe al loro posto, essere controllate, essere disciplinate…”

E in Italia? L’abbiamo fatto anche noi, ma vi invitiamo a provarci voi stessi…

(Foto emmepi – nella prima foto la dirigente Raffaela Menditto con la presidente di Donna Sicura Antonietta Luongo, Caterina Franzetti e Simona Ronchi. Nella seconda foto la consulente Silvana Milelli, con Manuela Fiorina e Marina Ghidelli)

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