L’uguaglianza di genere nei rapporti commerciali non è un orpello ma norma della Unione Europea
Una buona nuova: i diritti umani, le norme sociali e ambientali entrano a pieno titolo negli accordi commerciali con tanto di sanzioni nel caso le indicazioni non siano rispettate. Una misura importante: la strada per lo sviluppo delle donne e per la sostenibilità non è fatta solo di buone intenzioni ma deve essere incentivata e sostenuta con azioni concrete.
Il 13 marzo è stata approvata la Risoluzione del Parlamento europeo sull'uguaglianza di genere negli accordi commerciali dell'UE che si basa sulla constatazione di quanto poco le questioni di genere e i diritti delle donne sono considerate nelle valutazioni d'impatto sulla sostenibilità degli accordi commerciali mentre potrebbero essere uno degli strumenti per promuovere ed estendere i diritti umani, l’uguaglianza di genere, la protezione ambientare e gli standard di lavoro decente. Il fatto che si badi poco all’uguaglianza di genere ha due riflessi importanti: uno sul fronte umanitario, l’altro su quello strettamente economico. Da un canto contraddice infatti alcuni principi guida: l'uguaglianza di genere è un obiettivo universale previsto da strumenti internazionali quali la Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (1948) e la convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (CEDAW, 1979). Dall’altro l' emancipazione delle donne potrebbe accrescere il PIL mondiale di 28 miliardi di dollari statunitensi entro il 2025 ed è fondamentale tanto da una prospettiva economica quanto da una prospettiva sociale e di eliminazione della povertà, dato il ruolo delle donne nelle comunità.
Accanto a ciò la Risoluzione affronta un altro aspetto importante dell’ampio concetto di sostenibilità delle azioni commerciali: i servizi pubblici (è il caso dell’accesso all’acqua, i servizi sociali, l’accesso all’educazione e alla formazione, l’accesso alla salute, inclusa quella sessuale e riproduttiva) devono restare tali e non essere inclusi nelle trattative commerciali.
Per cogliere meglio la portata delle decisioni prese in seno Ue abbiamo chiesto un commento a Eleonora Forenza relatrice insieme a Malin Bjork della proposta di risoluzione.
Al di là delle dichiarazioni di intenti, quali sono le azioni concrete previste? «Questo Rapporto chiede un cambio di rotta alla Commissione europea e al Consiglio europeo. Il Parlamento europeo chiede che ci siano clausole vincolanti e dunque sanzionabili qualora vi siano inadempienze per quanto riguarda i diritti umani, diritti delle donne e diritti del lavoro nei trattati di commercio. La questione delle sanzioni è stato uno degli aspetti più critici in fase di negoziazione. Inizialmente si sarebbe preferito ci si riferisse ai diritti umani e del lavoro senza che vi fossero clausole vincolanti a essi collegate. Per noi si trattava invece di un aspetto centrale. Si richiede inoltre che in ogni trattato tra Unione europea e paesi non UE sia inserito uno specifico Capitolo di Genere in cui vengono messi a fuoco gli ambiti del commercio internazionale che più intrecciano i diritti delle donne con tanto di dati e valutazioni sul possibile impatto dei trattati sulla quotidianità; di fatto un obbligo a rendere la politica commerciale sensibile alle questioni di genere»
Perché le questioni del commercio internazionale sono così strategiche per l’uguaglianza e i diritti? «All’inizio di questa legislatura la politica commerciale dell’Ue era giustamente definita “gender blind” cioè cieca di fronte alle questioni della discriminazione di genere; negli anni abbiamo lavorato molto per sviluppare invece un approccio “gender sensitive” e cioè attento alle norme sociali e ambientali, ai diritti umani e alla responsabilità delle imprese. Questo Rapporto fa un altro passo in questa direzione. Gli accordi commerciali e di investimento hanno infatti conseguenze diverse sugli uomini, sulle donne e sulle persone LGBTQI a causa delle disparità strutturali tra i generi prodotte dalla società. L'uguaglianza di genere è ben lontana dall’essere raggiunta in ogni paese e questo stato di cose è aggravato dal fatto che donne lavorano in settori diversi e più deboli dell'economia svolgendo un ruolo importante anche nell'assistenza informale e non retribuita».
E sul fronte dei nuovi accordi commerciali, quale intravvede essere la situazione rispetto ai diritti umani? «Bisogna prestarvi attenzione. I nuovi accordi commerciali - tra l'UE e il Canada (accordo economico e commerciale globale), il TTIP (partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti) e il TiSA (accordo sugli scambi di servizi) hanno conseguenze ancora più importanti sui diritti umani. Il loro ambito di applicazione è più ampio rispetto agli accordi precedenti e sono sottoscritti dall’Europa in prima persona»
22 marzo 2018 (modifica il 22 marzo 2018 | 22:34)
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