Per migliorare la vita di un bambino è necessario cambiare quella della madre
Ciò che misuriamo influenza ciò che facciamo. Per questo il progresso di un Paese andrebbe calcolato attraverso indicatori economici e sociali sulle condizioni di vita dei soggetti più fragili, come bambini, adolescenti e donne. È quello che fa il WeWorld Index, lo studio proposto dall’omonima organizzazione non governativa intendendo il concetto di “inclusione” non solo nella sfera economica, ma anche in quella sociale: sanità, educazione, lavoro, cultura, politica, informazione, sicurezza, ambiente.
Una particolare attenzione è dedicata all’educazione, perché è una condizione necessaria per l’inclusione complessiva nella società: se nei Paesi a reddito medio-basso tutti potessero completare la scuola secondaria, i poveri passerebbero da 780 a 380 milioni.
L’Africa subsahariana e l’Asia meridionale continuano a essere le aree più critiche. Qui sono concentrati i 100 Paesi (su 171) in cui sono registrate forme insufficienti, gravi o gravissime di esclusione. Centrafrica, Ciad, Mali, Sud Sudan e Repubblica Democratica del Congo occupano il fondo della classifica. Clifford, per esempio, ha 4 anni e vive in una contea del Kenya (Migori) in cui il 26,4% dei bimbi soffre di malnutrizione cronica e il 9% è sottopeso. Il minore presentava i segni di questo “killer silenzioso” che è l’alimentazione insufficiente: «Era talmente debole da non riuscire neanche a gattonare, aveva perso l’appetito e piangeva tantissimo», racconta Florence Atieno, l’operatrice sanitaria di WeWorld che lo ha salvato. «Ho svolto», continua, «degli incontri con la madre per suggerirle come prendersi cura dei figli e preparare dei pasti nutrienti. Come nel caso di Clifford, lavoriamo su segnalazione delle scuole, con visite domiciliari allo scopo di insegnare pratiche nutrizionali, igieniche e sanitarie da utilizzare a casa».
Riguardo alle classifiche dell’Index, rispetto al 2015 cambia invece la posizione al vertice, dove l’Islanda sostituisce la Norvegia, che era al primo posto negli ultimi tre anni; seguono Svezia, Danimarca, Slovenia e Finlandia. Nel 2018, per la prima volta, è stato calcolato il WeWorld Index medio dell’Ue: sono sopra la media europea tutti i Paesi più popolosi, eccetto Polonia, Spagna e Italia. Male Grecia, Romania, Ungheria e Croazia, mentre migliorano gli Stati dell’Est rispetto alla rilevazione precedente.
Un giusto sviluppo è un problema anche degli Stati ricchi. Sull’Italia, che si trova solo alla 27a posizione, vi è un dato illuminante: se entrambi i genitori hanno frequentato l’università, il 68% dei giovani si laurea; se padre e madre non hanno un diploma di scuola superiore, solo l’8% ottiene il titolo accademico. Esiste poi un rapporto diretto tra la povertà economica e quella educativa: chi è povero è maggiormente escluso dall’istruzione.
Il rapporto individua cinque grandi barriere che impediscono l’accesso a un’educazione inclusiva. Sono la scarsa nutrizione dei minori che blocca o limita la partecipazione a scuola, la migrazione che interrompe i percorsi scolastici, le discriminazioni di genere, radicate in norme e consuetudini culturali, la violenza che permea le relazioni sociali e la povertà educativa che si trasmette in modo ereditario dagli adulti ai bambini.
Mense, corsi di recupero per migranti, contrasto dei matrimoni precoci, investimenti per evitare la dispersione scolastica possono abbattere queste barriere. È a partire da questa analisi che WeWorld progetta i propri interventi. Nello Stato indiano di Karnataka, il 40 per cento dei migranti (spesso stagionali) ha meno di 18 anni, portando a un’altissima dispersione scolastica, soprattutto nei casi in cui i genitori coinvolgono i figli nel lavoro nei campi. Inoltre è difficile continuare gli studi in mancanza della guida dei genitori quando i bambini sono lasciati nei villaggi d’origine alle cure di nonne e zie. Ecco la risposta della Ong: «Abbiamo attività integrative e di supporto durante la pausa estiva nelle scuole della regione di partenza e negli ostelli governativi durante i mesi della migrazione. Nelle regioni di destinazione facilitiamo la disponibilità di insegnanti della lingua dei migranti e di adeguati testi scolastici».
In diversi Stati la discriminazione di genere limita la capacità di accesso all’istruzione per molte bambine e ragazze. In Nepal soffrono soprattutto coloro che provengono da famiglie molto povere, che vivono in zone rurali, o che appartengono alle caste inferiori. Oltre un terzo delle ragazze si sposa prima dei 18 anni, una su dieci prima dei 15. Il matrimonio precoce libera le famiglie di una persona da sfamare ed è anche un modo per controllare la sessualità delle ragazze ed evitare relazioni prematrimoniali.
Per questo WeWorld propone la metodologia “sister for sisters” (sorella per sorelle): alcune ragazze che hanno concluso le scuole superiori offrono un supporto nello studio alle più giovani, per evitare l’esclusione dal percorso scolastico. Rashila, per esempio, a 15 anni è stata costretta dalla famiglia a sposare un uomo più grande di lei che non amava e non conosceva. Non ha però rinunciato al sogno nel cassetto: riuscire a diplomarsi. Il marito non la sosteneva e lei ha venduto anche la collana che le aveva regalato la nonna per comprare i libri. Ha avuto un figlio cinque giorni prima del suo esame finale, ma, dopo tre anni di soprusi e stenti, ha deciso di cambiare la sua vita, tornando a casa della madre e riuscendo a diplomarsi. Così Rashila ha poi iniziato a lavorare con WeWorld, divenendo “mentore-sorella” di quattro ragazzine a rischio che frequentavano la scuola saltuariamente e con scarsi risultati. È anche riuscita a creare una relazione ottimale con i genitori, al punto da evitare che le obbligassero a sposarsi.
Invece dal Brasile, che nell’ultimo Index ha visto un netto peggioramento rispetto a tre anni fa, arriva la dimostrazione che nelle città la violenza diffusa diventa una barriera all’istruzione. Non è un fenomeno nuovo nella storia carioca, ma è aumentato nell’ultimo decennio. Spiegano da WeWorld: «I giovani brasiliani interiorizzano una cultura della violenza presente nei contesti urbani in cui vivono, che spesso c’è anche nelle loro famiglie». In effetti, quasi un terzo delle donne brasiliane dichiara di aver subìto violenza fisica o sessuale dal proprio partner almeno una volta nella vita: «I bambini crescono quindi in ambiti dove le relazioni si basano su rapporti di forza. E anche se questa ineguale distribuzione di potere tra uomini e donne non sfocia sempre nella violenza fisica, la cultura machista si riflette nella loro vita scolastica sotto forma di aggressività, incapacità di relazioni diverse da quella conflittuale con i pari e gli insegnanti, incidendo sul loro rendimento e frequenza a scuola». Anche qui una storia concreta, quella di Paula, che a soli 7 anni aveva già alle spalle un vissuto di maltrattamenti e abusi. Paula andava sempre meno a scuola finché smise del tutto. Si è scoperto che la sua realtà era di violenza quotidiana: il padre picchiava e abusava della madre tutti i giorni. Un’esperienza che lasciava segni indelebili nella bambina. «Siamo riusciti a intervenire in tempo», spiega Marco Chiesara, presidente di WeWorld. «Oggi stanno entrambe bene. Paula è di nuovo a scuola. E sta pure migliorando molto il suo rendimento».