Violenza contro le donne, una nuova consapevolezza: il coraggio di una dodicenne
«Possessione da sacro fuoco di #Metoo», l’ha chiamata l’avvocato di Harvey Weinstein venerdì, quando l’ormai ex produttore si è consegnato alla polizia di New York che l’ha arrestato con l’accusa di aver stuprato due donne. Una definizione carica di disprezzo, e il primo passo di una strategia difensiva che mirerà probabilmente a dimostrare come quel movimento abbia «confiscato» — parole sue — il caso. Vista la mole di accuse contro Weinstein c’è da dubitare che ci riesca, ma su una cosa l’avvocato ha ragione: il movimento #Metoo ha un ruolo in questa vicenda.
Difficilmente senza quel risveglio globale di consapevolezza, Weinstein sarebbe finito in un’aula di tribunale. È un risveglio che riguarda in generale i diritti delle donne: le denunce delle attrici di Hollywood sono state sì rese più potenti dalla macchina di sogni che è l’industria dello spettacolo, ma hanno trovato vasta eco nell’esperienza delle donne degli Stati Uniti, d’Europa e di molte parti del mondo. Se quella scintilla ha potuto accendere un «sacro fuoco» è perché le donne, quasi ovunque, erano pronte.
Lo conferma su un piano solo apparentemente lontano il voto in Irlanda. Il referendum popolare ha spazzato via a grandissima maggioranza le restrizioni costituzionali che da 35 anni rendevano illegale l’aborto. Fino a quando non è arrivato, nessuno nella cattolicissima Irlanda, si aspettava questo risultato così schiacciante. Ancora più di quello sul matrimonio per tutti nel 2015. Succede così con i cambiamenti epocali: maturano sotto la cenere per anni per poi divampare, improvvisamente visibili a tutti. In questi mesi c’è stata a volte una sensazione di fastidio o stanchezza accompagnata anche da critiche agli «eccessi» del movimento #Metoo. Le resistenze sono scontate, così come sono scontate alcune esagerazioni. Però, almeno nelle democrazie avanzate, qualcosa è cambiato e sta davvero cambiando: è diventato più difficile negare alle donne il controllo sul proprio corpo, ignorare il sessismo quotidiano, accettare come un male inevitabile le molestie sul lavoro e fuori, e soprattutto negare a priori la credibilità di chi le denuncia, come spesso è successo in passato.
Sono trascorsi solo due anni da quando emersero le violenze ripetute su una adolescente di Melito di Porto Salvo, in Calabria, da parte dell’ex ragazzo e degli amici di lui. Di quella storia orribile sconvolse anche la reazione omertosa del paese e persino dei genitori di lei, reticenti fino all’ultimo a rivolgersi alle autorità. Nessuno credette alla vittima e un prete del posto arrivò addirittura a insinuare che la bambina violentata in realtà si «prostituiva».
Lo stupro denunciato nei giorni scorsi in Campania ricorda molto quella vicenda: anche qui c’è una violenza nata all’interno di una relazione, quando il ragazzo più grande ha coinvolto altri e insieme hanno stuprato una dodicenne. Ma le analogie finiscono qui.
Oggi la vittima ha trovato il coraggio di parlare con i genitori che l’hanno accompagnata a fare denuncia. Le indagini faranno il loro corso, ma quello che conta è che la vittima intanto è stata creduta, che una bambina di 12 anni ha potuto trovare la fiducia per chiedere giustizia: se è accaduto è anche perché c’è una nuova consapevolezza. È una svolta importante. Di fronte alla quale abbiamo tutti il dovere di ricordare e proteggere il coraggio di chi dice no alle violenze subite. Se c’è una cosa che ci ha insegnato il movimento #Metoo è che la forza di chi denuncia dipende anche da quanto gli altri sono disposti ad ascoltare.
26 maggio 2018 (modifica il 27 maggio 2018 | 00:12)
© RIPRODUZIONE RISERVATA