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Sita Chhaudry, la donna nepalese che da schiava è diventata attivista

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Sita Chhaudry è un’attivista politica nepalese che lotta per i diritti umani: alle spalle non ha un’educazione formidabile, ma un passato a dir poco difficile, che l’ha vista venduta come schiava dai suoi stessi genitori ripetutamente da quando era piccola.

La prima volta è accaduta quando Sita aveva da poco compiuto 10 anni, come riporta Kate Hodal in un articolo del Guardian: la piccola veniva impiegata dalle famiglie di ricchi possidenti terrieri come kamlari, cioè una lavoratrice domestica schiavizzata che pulisce pavimenti, cucina pasti e si occupa dei bambini. Il tutto per un compenso annuo di poco più di 40 euro.

In quelle case sparse per tutto il paese, Sita veniva spesso percossa, pativa la fame e lavorava per turni di 12 ore. Per trovare famiglie di casta inferiore abbastanza povere da essere disposte a vendere bambine come lei i possidenti percorrono anche distanze molto lunghe, e non sempre le giovani sono impiegate come kamlari, a volte diventano Badi, ovvero prostitute.

Sita Chhaudry ha raccontato che il processo di acquisto avveniva ogni anno a gennaio, in occasione del Maghi, una festa della comunità Tharu (quella cui appartiente la donna) che celebra l’inizio del nuovo anno in preparazione del raccolto. I potenziali compratori arrivavano per contrattare con famiglie locali sui contratti, le tariffe e i requisiti necessari, e così a 10 anni Sita scoprì che il suo primo lavoro sarebbe stato occuparsi di un bimbo appena nato in una famiglia benestante.

La mia infanzia è stata traumatica.

Commenta la donna, ora trentenne. “Mi svegliavo alle 4 di mattina e passavo tutto il giorno lavorando nel terrore di quella famiglia - temevo mi avrebbero sgridato o picchiato, mi preoccupavo di quali avanzi di cibo mi avrebbero lasciato mangiare, o in quale spazio all’aperto mi avrebbero potuto permettere di dormire, perché non potevo nemmeno entrare in casa loro”.

Quando andavo a dormire, avevo sempre la paura di ciò che potevo aver fatto di sbagliato quel giorno, o gli errori che avrei potuto commettere quello seguente.

La sua vita, adesso, è cambiata completamente: grazie ad una sentenza della corte suprema, Sita è infatti stata liberata dalla schiavitù qualche anno fa, e da poco è stata eletta alle prime elezioni locali in Nepal da 20 anni a questa parte.

Come commenta Kate Hodal, si tratta di un incredibile traguardo, visto il sistema profondamente patriarcale e semi-feudale del paese, e ancora di più se si tiene in conto che la donna non ha mai frequentato la scuola, non sa scrivere o leggere. Ma questo non la ferma: nei cinque anni in cui manterrà la carica vuole dar prova del valore della sua comunità Tharu nonché delle donne nella società nepalese.

Anche se non ho ricevuto un’educazione, ne ho passate tante nella vita - e questa è un’opportunità enorme per me, per le donne, e per le minoranza come noi.

Così ha commentato il risultato politico la donna nella sua casa a Saathbidggha, una comunità di 30 abitazioni costituita interamente di ex-schiave come lei. “Abbiamo molti più problemi che non solo la povertà o i monsoni. Voglio individuare tutte le questioni difficili - dalle infrastrutture scadenti nelle scuole al sostegno agli anziani - e lavorare per risolverle”.

In questi anni si fa sempre più forte la voce delle donne nella nazione himalayana che cercano di ottenere eguaglianza e rappresentazione in tutti gli ambiti cui è stata loro negata per secoli. Poiché i mariti, i figli ed i padri spesso lavorano all’estero (pare che un terzo del PIL deriva proprio dai soldi inviati dall’estero, il tasso più alto nel mondo), le donne di questo paese sono state spinte verso l’indipendenza economica e sociale. costrette a badare a se stesse, alle loro finanze ed alle loro comunità. È significativo che nel maggio 2017 ben 20mila donne abbiano partecipato al primo turno di elezioni, e molte di loro al di sotto dei trent’anni.

Ora che le figlie di Chhaudry vanno a scuola e mangiano regolarmente, la donna si sente orgogliosa del traguardo raggiunto, e non porta rancore nei confronti dei genitori.

Non posso biasimarli per ciò che è successo, perché tutti lo facevano.

Ed ha continuato: “Non esisteva l’idea della pianificazione familiare né la contraccezione, e la maggior parte delle famiglie Tharu anzi mettevano al mondo più bambini così da ottenere più soldi dalla loro vendita annuale”. Per generazioni, infatti, bambine Tharu anche di soli sei anni venivano vendute o cedute dalle loro famiglie per “ripagare” i debiti che la famiglia aveva con le famiglie di possidenti di casta superiore. I ragazzini invece venivano costretti a lavorare come pastori o contadini all’interno del sistema di lavoro vincolante.

Il prezzo cui venivano vendute le bambine come kamlari equivaleva al 20% del reddito annuo di una famiglia. E nonostante le famiglie acquirenti avessero il dovere di nutrire, accogliere in casa ed educare le giovani, molto spesso questo non succedeva, ed anzi gli abusi sessuali, mentali e fisici erano fenomeni comuni.

Spesso però le famiglie non avevano scelta. Kate Hodal racconta di Falki, una ex schiava sessantenne che ha dovuto vendere le sue cinque figlie nel sistema kamlari per evitare che anche il resto della famiglia vivesse in totale povertà, ed è una decisione che continua a rimpiangere anche oggi.

La donna ricorda infatti di come la più giovane delle figlie, a 14 anni, si fosse tolta la vita, ma la famiglia che la ospitava non solo non aveva voluto indagare, ma fece sapere alla madre che la giovane stava male, e solo dopo un lungo viaggio la donna arrivò nella città, scoprendo la verità nell’obitorio dell’ospedale locale. “La famiglia continuava a dire che non l’avevano mai toccata, che era solo depressa. Ma come posso sapere se è stata stuprato o uccisa?”.

Anche se tutte le forme di lavoro schiavistico sono state bandite ufficialmente nel 2000, ancora cinque anni fa il paese è stato scosso da proteste quando la polizia non ha investigato adeguatamente la morte sospetta di una kamlari dodicenne, bruciata viva nella casa in cui lavorava. Si ritiene che ci siano ancora centinaia di ragazze che vivono in condizioni di schiavitù ancora oggi, e molte siano proprio nelle abitazioni di politici prominenti e uomini d’affari importanti, secondo le stime dell’organizzazione Nepal Yout Foundation.

२०१८.०४.२३ (From left to right) Thakuri Bhauji, Durpathi Bhauji,Sitarani Bhauji, Kamala, Archana baini, Junmaya Baini, Hastakala and Jamuna Baini. Life is not easy here, but at the end of the day, you're happy in every possible way. This photograph is so special for me not only because I clicked it, this shows the life of women from two different time. एक समूहलाई फोटो खिच्छु है म भन्दा लजाएर बस्न मन्नुभयेको थिएन, अनि अर्को समूह क्यामेरा देख्ने बितिकै आये जति सबै पोज दिन तयार हुनुहुन्थ्यो. एक समूह धेरै नै इमानदार, कर्मनिष्ठ,मायालु तर घरको चार कोठामै सिमित हुनुहुन्छ भने अर्को समूह पनि उतिकै इमानदार,मायालु तर अर्को समूह भन्दा संसार अलि कम संसार बुज्नुभएको हुनुहुन्छ. P.S: They are my beautiful bhauji and baini from Small Village named Takiya of Bardiya, West Nepal. #Tharucommunity #Bardiya #Westnepal #sangsangai #peace #nepalphotoproject #routineofnepalbanda #photoktm

A post shared by pradip khatiwada (@k.pradip__) on Apr 22, 2018 at 7:14pm PDT

Il villaggio di Saathbidggha in cui vive Sita Chhaudry è purtroppo un esempio del fallimento del governo nel programma di reintregrazione delle kamlari in società: ad alcune di loro era infatti stata concessa della terra e materiali di costruzione perché potessero ricominciare da zero con le loro vite una volta libere, ma senza educazione o esperienza e pochissime possibilità di trovare lavoro, questi progetti non hanno avuto il successo sperato.

Saathbidggha in particolare sorge accanto ad un fiume, dove i monsoni allagano tutto costringendo gli abitanti a evacuare la zona. Il rappresentante di un’organizzazione non governativa incaricato di insegnare proprio alla comunità si Sita come gestire queste calamità dice che il programma governativo ha causato tanti problemi quanti quelli che sperava di risolvere.

Sita Chhaudry è di fatto la leder di questa realtà sociale ed incaricata di monitorare il sistema di allarme per le alluvioni. Ora passa le sue giornate a badare ai figli, organizzare riunioni nella comunità ed imparare a far politica. Lo fa in totale autonomia, mentre il marito, anche lui un tempo intrappolato nello stesso sistema di lavoro schiavistico, si guadagna da vivere al confine con l’India come chef.

Non possiamo far altro che essere forti. Siamo solo donne qui, tutti gli uomini sono in India o in città lontane, e noi siamo una comunità strettissima.

Dice Chhaudry, mentre Kamala, un’altra ex-kamlari descrive così la donna: “Pensate ad un primo ministro di un paese, ecco cos’è lei per la nostra comunità”. Al che, ci racconta la Hodal, Sita ride e ricorda: “Quando ero piccola, vedevo le donne in TV e pensavo che se solo avessi avuto l’opportunità, sarei stata una di loro. Ora il mio sogno sta diventando realtà”.

Sita è protagonista di un cambiamento epocale, e auguriamo ogni successo a questa donna straordinaria.

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