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Donne contenitori e schiave per difendere i diritti dei Gay. - di Giuseppe Rizzoli

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Fino a poche decenni fa, anche i relativisti duri e puri, avevano l’onestà intellettuale di fermarsi di fronte al dato di realtà, ritenuto l’unico argine ineliminabile alla libera determinazione di ciascuno.

Oggi, con il trionfo (o il delirio?) dell’onnipotente libero arbitrio, anche il reale, il concreto, il tangibile diventa opinabile, indefinibile, mutevole, modellabile. Diventa “queer”.

Questo cancro, purtroppo, non investe soltanto il mondo della cultura, ma invade e deturpa anche il mondo delle relazioni umane, cioè la società civile.

Come è ormai prassi quotidiana, l’ideologia piega ai suoi diktat la stessa scienza e vende menzogne con il marchio doc della contraffazione delle verità.

Non si è più maschio o femmina, ma “generi percepiti”; un bambino non è più una persona con una sua dignità, ma il prodotto di alchimie biologiche e di contratti di compravendita; la donna è diventata un utero da affittare al miglior committente.

Ricordo negli anni ’70 le manifestazioni delle femministe al grido “l’utero è mio” invocando la libertà d’aborto.

Ora siamo passati da quella malvagità – che nega il diritto alla vita di un innocente – ad una malvagità sorella, per cui l’utero è di chi lo compra a suon di dollari.

E guai ad opporsi, come ci insegna il recente atto di perfetta “democratica tolleranza” del Cassero che a Bologna ha sfrattato ArciLesbica perché osa dire che il corpo delle donne non si vende e non si compra! Ritengo che, tutti insieme, dovremmo fare un grande sforzo per cercare di rimettere le cose al loro posto, proprio partendo dal dato scientifico/biologico che – può dispiacere a qualcuno – parla una lingua inequivocabile, uguale per tutti.

Cominciano col dire che ogni nuova vita nasce dall’unione di una donna ed un uomo, la cui complementarietà globale (genetica, ormonale, gonadica, fenotipica, genitale e cerebrale) è lo strumento che garantisce il mantenimento della specie.

Due persone di pari sesso non possono essere “genitori”, perché non sono strutturalmente in grado di “generare”. Ne consegue che il bimbo ha il diritto naturale di avere una madre ed un padre e che questi non possono che essere una femmina ed un maschio.

E, dunque, l’umanità è composta di uomini e donne, maschi e femmine, perché – se così non fosse – il genere umano si sarebbe già estinto da un pezzo. Lo stesso Darwin – che certamente non profumava di sacrestia – affermava che sopravvive e si moltiplica solo chi è il più adatto rispetto all’ambiente: dunque, solo l’ecologia dei due sessi garantisce il mantenimento della specie.

E questa è già di per sé stessa una ragione più che buona per tenere ben distinte la famiglia naturale da ogni tipo di unione (affettiva, sentimentale, emotiva, passionale, erotica) strutturalmente inabilitata alla procreazione. Questo insopprimibile dato biologico inscritto nella natura impone che la cultura non solo ne prenda atto, ma costruisca la società, cioè il mondo delle relazioni, nella prospettiva della difesa e tutela di questa fonte della vita.

Proprio a partire dalla scuola, agenzia di formazione per eccellenza, dopo la famiglia, in tema di educazione alla affettività e al comportamento sociale – quindi, anche sessuale – partendo dal dato dell’identità sessuata del bimbo. Tutti nasciamo con un sesso e nessuno nasce con un “genere” che ha scelto o percepito. Scrivere o dichiarare che un bimbo “biologicamente maschio, fin da quando ha un anno e mezzo, ha manifestato il desiderio e l’esigenza di essere (anche) una bambina” è una grande menzogna, frutto o di inaccetabile ignoranza o, peggio, di colpevole indottrinamento ideologico.

L’identità di sé, la consapevolezza della propria personalità non si struttura prima degli otto/dieci anni e l’interesse sessuale non prima della pubertà! Ci possono essere singole eccezioni? Certamente sì, e proprio perché tali va dedicata ad esse un’attenzione speciale che – partendo dall’identità sessuata – abbia di mira la costruzione di una personalità armonica e coerente con la propria sessuazione.

E’ innaturale camminare a quattro zampe? No, anzi l’ominide quasi certamente utilizzava il quadrupedismo per muoversi più velocemente. E se un bimbo “scegliesse” si camminare carponi perché lo preferisce, non cercheremmo tutti di aiutarlo (ovviamente senza nessun tipo di violenza) a modificare questo suo atteggiamento?

Tutti noi, ma proprio tutti, durante i primi anni dello sviluppo della personalità, abbiamo vissuto un arco di tempo in cui abbiamo di gran lunga preferito affettivamente ricercare e condividere un’amicizia del nostro stesso sesso: si tratta di una tappa di passaggio del percorso strutturante. Oggi si corre il rischio (o la determinazione consapevole e colpevole!) di considerare questa tappa transeunte, come una determinazione strutturale che va assecondata e incentivata.

Magari anche utilizzando trattamenti di blocco farmacologico della pubertà, in attesa che il soggetto possa meglio “autodeterminarsi” nella propria scelta affettivo/sessuale.

Lasciamo la parola all’American College of Pediatricians (2017): “la pubertà non è una malattia. Cercare di bloccarla è dannoso…. E si configura come una vera violenza su minore. Chi crede di essere ciò che non è, al meglio ha un pensiero confuso e va aiutato”.

Gli fa eco il DSM V: il 98% dei maschi e l’88% delle femmine con confusione di genere, accettano il loro sesso dopo la pubertà! E’ gravissimo frantumare l’unità della persona e imporre una educazione scolastica di sessualizzazione precoce, quando il bimbo non ha le competenze cognitive per recepire messaggi verso i quali, peraltro, non ha alcun interesse.

Spesso, si sostiene che l’educazione sessuale nella scuola, già a partire dalla scuola primaria, è necessaria per evitare eventi dannosi, dalle malattie sessualmente trasmesse (MST), alle gravidanze precoci, alle violenze o discriminazioni di genere. Anche questo è falso, perché i dati concreti ci descrivono un quadro ahimè ben diverso.

Uno studio delle Università di Nottingham e di Sheffield, in Inghilterra, porta dati inequivocabili sul fatto che l’educazione sessuale precoce (che spesso si tratta di semplice genitalità!) sta provocando un aumento delle gravidanze nelle adolescenti, un aumento degli aborti e un aumento del “sesso a bassa età”.

I Paesi Scandinavi, dove ogni cosiddetto “tabù” sociale è stato abolito da anni, e ove l’autodeterminazione è dogma indiscutibile e che, in quanto tali, dovrebbero essere la quint’essenza della felicità individuale, sono i più grandi consumatori di antidepressivi, hanno il triste record dei suicidi e del consumo di eroina in Europa, con il più alto numero di aggressioni sessuali (53 stupri/100.000 abitanti), e vantano il più alto numero di bambini confusi circa il loro sesso.

Se solo di usasse un po’ di buon senso, almeno due considerazioni andrebbero fatte.

La prima di carattere generale: una società senza regole, che corre dietro a tutti i capricci dei singoli, garantendo libero spazio ad ogni perversione, non può che essere destinata alla distruzione.

La seconda proprio di semplice buon senso: vi sembra che l’Italia abbia qualcosa da imparare o da imitare da questi “paradisi” dei diritti civili? Allora diventa categorico per ciascuno di noi accogliere l’appello del filosofo inglese di metà ‘700: “Il male vince ogni volta che i buoni cessano di combattere” (E. Burke).

A cura di Massimo Gandolfini, medico, psichiatra, portavoce del Family day

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