Da Roma a Bruxelles, la Casa internazionale delle donne porta la sua battaglia in Europa
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Da Roma a Bruxelles, la Casa internazionale delle donne porta la sua battaglia in Europa
Le attiviste romane difendono la loro sede a rischio chiusura chiedendo sostegno al Parlamento Europeo
Pubblicato il 31/08/2018
Ultima modifica il 31/08/2018 alle ore 12:23
roma
Da Roma all’Europa portandosi dietro l’altra metà del cielo capitolino. La battaglia della Casa internazionale delle donne per difendere la sua sede di via della Lungara a Trastevere a rischio chiusura arriva fino a Bruxelles. Dove sbarcherà lunedì prossimo 3 settembre presso la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere del Parlamento europeo.
E’ stata l’europarlamentare Eleonora Forenza a scrivere una “Lettera di supporto agli spazi di libertà delle donne” che sarà pubblicata alla fine dell’incontro e indirizzata al Presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani oltre che al al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte e alla Sindaca della Capitale Virginia Raggi. «Il Parlamento europeo è l’istituzione europea più avanzata e sensibile alle questioni di genere -spiega Forenza che accoglierà in Belgio le attiviste romane che un mese fa avevano ricevuto la notifica di revoca della convenzione per l’assegnazione dello spazio-. Ma non si possono costruire realmente politiche attraversate dall’integrazione della dimensione di genere senza il riconoscimento dell’autorevolezza e dell’autonomia dei luoghi, delle case politiche delle donne».
Alla riunione saranno presenti anche le rappresentanti di un’altra realtà della Capitale a rischio sgombero ovvero Lucha y Siesta, attiva dal 2008 nel quartiere dell’Appio Tuscolano.
«In una Europa drammaticamente segnata da una diffusa violenza contro le donne, e sempre più attraversata da razzismi e nazionalismi, proprio gli spazi delle donne, che da sempre praticano internazionalismo e cooperazione, autodeterminazione e sorellanza, sono sotto attacco - sottolinea l’europarlamentare-. Mentre il movimento femminista “Non Una di Meno attraversa il mondo, il Governo italiano e alcuni Enti locali, come il Comune di Roma, provano a chiudere gli spazi, fisici, politici e di libertà delle donne. Siamo qui a dire che non lo permetteremo. Si tratta di una violazione dei principi fondativi dell’Unione europea ed è necessario e doveroso che le istituzioni europee si esprimano chiaramente sulle minacce di chiusura».
La storia della Casa internazionale delle donne, dal via del Governo Vecchio a
Trastevere
La storia della Casa delle donne romane parte da lontano e muove i primi passi in un altro luogo carico di significati, nel cuore della Città Eterna fra piazza Navona e San Pietro. Palazzo Nardini al numero 39 di via del Governo Vecchio, la strada famosa anni fa per i suoi negozietti di abiti usati oggi accalcata di localini e boutique di tutto un po’. Negli anni Settanta si concentrava lì il fermento della parte romana del Movimento di liberazione della donna che occupo’ lo stabile nel ’76 trasferendovi le attività iniziate nel consultorio autogestito, con tanto di centro antiviolenza e varie attività politiche e sociali. Un crocevia di suggestioni e significati che lo scorso giugno al grido di “Roma Sogna” è stato occupato da gruppi e associazioni di artisti per scongiurare le vendita a privati di questo storico palazzo quattrocentesco. Lo stabile prende il nome dall’arcivescovo di Milano, Stefano Nardini, che alla metà del XV secolo fu nominato governatore di Roma (da qui il nome della strada) dal papa Paolo II e vi abitò fino al suo trasferimento, nel 1755, a Palazzo Madama. Quindi venne recuperato come Pretura per poi diventare la prima sede della Casa delle Donne e successivamente abbandonato a se stesso.
Da quella esperienza di quasi cinquant’anni fa e dal successivo sgombero a metà degli anni Ottanta prende le mosse il trasferimento a Trastevere nella attuale sede del Buon Pastore. Struttura seicentesca nata come primo reclusorio carmelitano per laiche, poi trasformata in monastero, che per lungo tempo ha rappresentato il luogo esemplare della subalternità femminile all’ordine sociale e simbolico della Controriforma. Per oltre tre secoli infatti vi furono recluse donne per lo più giovanissime e povere, imputate di trasgressione dall’ortodossia cattolica (dopo il 1876 di disubbidienza alle leggi dello Stato) . Ad esse venivano imposti percorsi di “pentimento individuale e collettivo, attraverso la mortificazione dei corpi e annullamento dell’identità”.
Dal Centro femminista separatista alle nuove sfide
Qui a partire dal 1987 prenderanno vita un consultorio, un centro antiviolenza, un auditorium, con i lavori di ristrutturazione a carico delle attiviste. L’edificio, infatti, versava in uno stato di profondo degrado dopo il trasferimento degli istituti di rieducazione, ai tempi dell’assegnazione da parte della Giunta capitolina alle femministe dell’epoca, per l’esattezza al Centro Femminista Separatista.
Le chiavi vennero consegnate simbolicamente due anni prima del trasloco effettivo, nel 1985. Come si legge nella presentazione della struttura sul sito della Casa internazionale “il lavoro intenso delle donne del movimento femminista romano sui temi della sessualità, del separatismo, del lesbismo, le iniziative culturali e politiche, si intrecciano con il dibattito nel paese sulla legge sulla violenza sessuale e con le scadenze internazionali sull’auto determinazione delle donne. Il movimento femminista deve anche misurarsi con le molte resistenze politiche”. Fino ad arrivare al 1995 quando l’allora sindaco di Roma Francesco Rutelli istituisce una commissione per l’assegnazione del complesso Buon Pastore e approva il progetto di restauro grazie ai fondi per Roma Capitale e per il Giubileo.
Nel 2001 vengono consegnate ufficialmente le chiavi del complesso al consorzio Casa Internazionale delle Donne da parte della giunta comunale presieduta dal sindaco Veltroni e “si conclude finalmente una lunga fase del movimento femminista romano per il quale si apre una nuova stagione politica e culturale”. E un’altra se ne dovrebbe aprire la prossima settimana a Bruxelles come si augurano le attiviste romane che sperano in un Parlamento europeo che possa esprimersi a sostegno delle libertà civili e democratiche, in difesa degli spazi delle donne».
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