Elisabetta Canitano porta a teatro i pericoli dell’obiezione di coscienza
Lo spettacolo teatrale “IO Obietto” di Elisabetta Canitano torna in scena il 4 settembre alla Casa Internazionale delle Donne di Roma.
“Io obietto” è uno spettacolo teatrale sull’obiezione di coscienza, scritto dalla ginecologa Elisabetta Canitano. Con esso si affronta in maniera diretta l’influenza della Chiesa Cattolica nel sistema sanitario nazionale.
Portato in scena dalla Compagnia Causa, è diretto da Amandio Pinherio. Sul palco le interpreti sono Chiara David, Natalia Magni, Laura Nardi e Valentina Valsiana.
L’hanno co-prodotto l’Associazione Vita di Donna, la Casa Internazionale delle Donne di Roma, Compagnia Causa e il Teatro Biblioteca Quarticciolo. Qui ha debuttato in prima nazionale lo scorso febbraio. La sottoscritta ha avuto occasione di assistere allo spettacolo a maggio 2018 presso la Casa Internazionale delle Donne. Questa ospiterà la prossima replica il 4 settembre 2018 all’interno della rassegna “Chiamata alle arti”.
Elisabetta Canitano ha scritto il testo ispirandosi alla storia tragica di Valentina Milluzzo. La giovane donna morì nel 2016, per sepsi, nell’ospedale di Catania dopo diversi giorni di ricovero. Uno sconcertante episodio di cronaca, in cui malasanità, omissione di soccorso, obiezione di coscienza si mescolano tra loro.
Altra fonte d’ispirazione è stata l’analoga vicenda di Savita Halappanavar, trentunenne, morta anche lei di sepsi in un ospedale irlandese, dove i medici cattolici si erano rifiutati di intervenire finché non si fosse fermato il battito fetale.
Cosa succede alla donna se tutti i medici sono obiettori? “Io Obietto”, collocandosi tranquillamente nell’alveo del teatro civile, cerca di rispondere a questo interrogativo attraverso l’arte.
La protagonista, Bianca, è incinta di 20 settimane di due gemelli, concepiti con la procreazione assistita e viene ricoverata in ospedale per delle complicanze. Per molti giorni i medici decidono di non intervenire con un aborto terapeutico, visto che sentono ancora i battiti fetali. La frase “ma c’è il battito” diventa un mantra che i medici si ripetono tra loro, così come lo dicono alla paziente, a suo marito, ai suoi genitori.
Così Bianca finisce per trascorrere dieci giorni sul suo letto d’ospedale, con le gambe in alto, come gli dice di fare il primo medico con cui parla, senza più essere visitata.
Bianca parla in rima per raccontare la sua gravidanza, così desiderata. È piena di tenerezza nel suo parlare ai gemelli che aspetta. Tanto è dolce e stringe il cuore il racconto di Bianca, tanto lasciano stupiti e indignati le parole dei medici e degli infermieri.
Il testo di Elisabetta Canitano diventa un’occasione per sciorinare dati sconvolgenti sull’obiezione di coscienza.
In Italia abbiamo il 70% di obiettori di coscienza, in alcune regioni si sfiora il 90%. In Italia l’aborto è garantito dalla legge 194 del 1978. Ma l’obiezione di coscienza è così diffusa da rendere difficile anche nelle strutture pubbliche l’applicazione della normativa.
Sul piano drammaturgico, si sente che l’autrice è un medico e non scrive normalmente per il teatro. Eppure ha fatto delle scelte efficaci per veicolare il suo messaggio di denuncia.
Elisabetta Canitano usa con esito felice l’espediente delle filastrocche in molte parti del testo, anche quando i medici sciorinano i diritti del nascituro e le idee della Chiesa Cattolica. Infatti, Canitano non ha paura di raccontare la storia di Bianca, collegandone gli esiti tragici alla negligenza dei sanitari. Ma, allo stesso tempo, non teme di collegare tale negligenza alle scelte etiche dei medici e non solo, dettate dall’influenza della Chiesa, oltre che dalla loro paura di incorrere in responsabilità nei confronti dei feti.
Risulta efficace l’espediente scenico di far indossare delle maschere alle attrici, che rendono anonimo l’orrore. Anche i medici e gli infermieri non hanno nomi, sono il medico 1, il medico 2, etc. Così come è riuscita la scelta di voler fare interpretare tutti i ruoli, anche maschili, a delle donne. Ha aiutato a focalizzare sul fatto che in queste tematiche il punto di vista della donna è il più importante.
In “IO Obietto” in primo piano ci sono la vita, la salute e i diritti della donna.
La messinscena di “IO Obietto” è un climax di emozioni con un lacerante finale. Non si tratta di temi facili da affrontare. Ma Elisabetta Canitano e la Compagnia Causa hanno saputo mettere in risalto il punto di vista della donna dinanzi all’aborto terapeutico e i pericoli dell’obiezione di coscienza che, se indiscriminata e diffusa, si trasforma da diritto a lesione dei diritti altrui. Fino al diritto alla salute e alla vita.
Al pubblico è andato incontro il regista Amandio Pinheiro, che ha deciso di usare uno stile umoristico, quasi grottesco, che non esisteva nel testo originale. Ha dichiarato di aver “cercato una specie di analogia: far ridere il pubblico “a tutti costi” diventa come preservare la vita “a tutti i costi”, persino con la morte di tutti quanti”.
Spogliandovi di eventuali pregiudizi o preconcetti, vi invito ad assistere ad “IO Obietto”. Per i romani, la prossima occasione è la replica del 4 settembre alla Casa Internazionale delle Donne.
Stefania Fiducia