Stampa

"Da un anno l'ambasciatore è tornato in Egitto, ma la verità su Regeni non è affatto più vicina"

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Amnesty International è dal primo giorno al fianco della famiglia di Giulio Regeni nella battaglia per scoprire la verità sulla brutale uccisione del giovane dottorando italiano, ritrovato senza vita il 3 febbraio del 2016. Trascorso un anno dal ripristino delle relazioni diplomatiche fra Italia ed Egitto, Amnesty sottolinea che nessun passo è stato fatto in avanti nella ricerca di verità e giustizia per Regeni:

Oggi è il primo anniversario del ripristino di normali relazioni diplomatiche tra Italia ed Egitto attraverso il ritorno dell'ambasciatore italiano al Cairo. La decisione era stata presa dal governo Gentiloni un mese prima, il 14 agosto 2017 (peraltro, quarto anniversario del massacro di piazza al Rabaa, il peggiore della storia recente egiziana: non esattamente una coincidenza opportuna), sulla base di una valutazione quanto meno inesatta e di una previsione apodittica: che, nell'estate scorsa, la magistratura egiziana avesse collaborato con maggiore efficacia (e dunque il fatto dovesse essere in qualche modo "premiato") e che il ritorno dell'ambasciatore avrebbe facilitato la ricerca della verità su mandanti ed esecutori del sequestro, della sparizione forzata, della tortura e dell'uccisione di Giulio Regeni.

"Passi avanti" e "verità più vicina", queste dunque le frasi-chiave.

Purtroppo, a un anno di distanza le indagini non hanno visto nessuno sviluppo significativo. Il materiale messo a disposizione - con grave ritardo - da parte della procura del Cairo alla procura di Roma non ha infatti consentito di identificare alcun elemento utile alle indagini. L'ultima beffa: la recente consegna di immagini delle telecamere di sorveglianza che avrebbero forse potuto, se consegnate in tempo e soprattutto complete, far capire qualcosa sugli ultimi momenti trascorsi il 25 gennaio 2016 al Cairo da Giulio, prima di essere inghiottito dalla macchina repressiva delle forze di sicurezza egiziane.

Ma non basta. Negli ultimi 12 mesi quella macchina repressiva ha funzionato a un regime ancora più sostenuto, con arresti di difensori dei diritti umani, introduzione di ulteriori leggi liberticide e d'impunità e, da ultimo, con la persecuzione di Amal Fathy, attivista per i diritti delle donne e moglie del direttore della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (l'Ong che fin dall'inizio ha deciso di fornire consulenza legale alla famiglia Regeni). Amal è oggetto di due inchieste con accuse ridicole. Un chiaro segnale d'intimidazione per chi continua, anche in Egitto, a cercare la verità per Giulio Regeni.

"Intempestiva" e "inopportuna": così Amnesty International definì il 14 agosto 2017 la decisione di rimandare l'ambasciatore italiano al Cairo. E a poco è servito, finora, l'infittirsi di incontri politici. Nelle ultime settimane sono stati nella capitale egiziana i due vice primi ministri italiani e il ministro degli Esteri. Sono tornati con le ennesime promesse del presidente al-Sisi che alla verità si arriverà, perché lui ci tiene. Sarebbe ora di dimostrarlo con i fatti.

Fonte (click per aprire)

Aggiungi commento

I commenti sono soggetti a moderazione prima di essere pubblicati; è altrimenti possibile avere la pubblicazione immediata dei propri commenti registrandosi ed effettuando il login.


Codice di sicurezza
Aggiorna