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Legge 194 a rischio: aborto, minacciati i diritti delle donne

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

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27.09.2018 – 08.30 – Sono molte le libertà acquisite che anche con l’appoggio di questo governo stanno venendo seriamente messe a rischio, e una di queste riguarda proprio il diritto delle donne a poter scegliere del proprio corpo. Leggi che erano state votate dagli italiani dopo lunghi anni di lotte e innumerevoli vittime, come anche quelle contro il razzismo, l’omofobia e il fascismo, stanno venendo messe duramente in discussione e lentamente decostruite, anche attraverso pericolosi percorsi di silenzio-assenso. Come questo sia possibile, a pochi decenni dalla conquista delle stesse, sarebbe da capire e da combattere attraverso l’istruzione e l’informazione. Stiamo tornando indietro, questo è certo se ci mettiamo ad analizzare i nostri ultimi cinquant’anni. Come ben la storia ci ha insegnato, tutti i proibizionismi applicati hanno sortito un effetto contrario.

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Sono passati già quarant’anni dall’approvazione della legge 194 del 22 maggio del 1978, che dopo anni di combattimenti politici depenalizzava (attraverso un referendum) l’interruzione volontaria di gravidanza per le donne italiane, e che garantiva l’assistenza psicologica e sanitaria per tutte coloro avessero avuto bisogno di percorrere quella strada. Le donne che hanno meno di cinquant’anni sono dunque cresciute con la certezza di poter determinarsi liberamente su questo tema, dandolo talvolta per scontato. Purtroppo attualmente la questione è ancora aperta nel nostro bel paese, e come una ferita mal chiusa, dolente. I cosiddetti ginecologi obiettori di coscienza infatti, sono stimati essere in Italia intorno al 70% (con otto regioni in cui la percentuale sale e oscilla tra l’80 e il 90%) e ad oggi viene messa continuamente in discussione la ragion d’essere di tale diritto, che oramai si credeva acquisito. Oltretutto sussiste anche il discorso del resto del personale medico eventualmente coinvolto nella pratica dell’interruzione (infermieri, paramedici, anestesisti e via dicendo), che sostiene a propria volta l’obiezione di coscienza.

Secondo alcune rilevazioni questi dati metterebbero l’Italia quasi sullo stesso piano di paesi image in cui l’aborto è vietato del tutto o permesso solo in alcuni casi: parliamo di paesi europei come Malta in cui vige il pieno divieto di legge, o Polonia, dove è permesso solo in tre situazioni (pericolo di vita per la madre, gravissima malformazione del feto o stupro). Nel resto del mondo gli stati in cui l’IVG (entro le 12 o 14 settimane di gestazione) non è libera sono purtroppo ancora molti, anche se pian piano si sta andando verso un lieve miglioramento; ad esempio tra il 2000 e il 2017 sono 27 gli stati che hanno modificato (dando più libertà) le loro leggi in materia, e quest’anno in Irlanda c’è stato un referendum che ha votato in maggioranza per la legalizzazione.

Il punto focale di queste stime sulla situazione italiana tuttavia, secondo la presidente di Laiga, Silvana Agatone, rivela un dato di fatto sconcertante: «… il 40% degli ospedali italiani è ufficialmente fuori legge, ma in realtà le strutture che operano senza rispettare la 194 sono molte di più e sono in continuo aumento negli anni». (qui l’intervista completa)

Questa situazione di obiezione di coscienza generalizzata fa dunque sì che spesso una donna che ha determinato di non mandare avanti la sua gravidanza, rischi di vedersi negata la prestazione che lo stato italiano dovrebbe garantirle, e che si trovi così costretta a spostarsi in altri comuni o regioni, ovviamente solo nel caso in cui abbia la possibilità di farlo entro i termini previsti dalla legge. Il passo immediatamente successivo, ma sul quale image non ci sono numeri certi, è il passaggio all’aborto clandestino, pratica che come è noto mette gravemente a rischio la vita stessa delle donne. La legge italiana garantisce la possibilità di fare obiezione di coscienza, d’altra parte dovrebbe anche garantire l’accesso a un servizio come quello dell’IVG. Da anni si denuncia questa situazione ma nulla è cambiato: nel 2014 è stato vinto un primo ricorso contro il governo. Subito dopo Laiga e Cgil hanno proposto un secondo ricorso; anche in questo caso il governo ne è uscito sconfitto ma non è stato preso alcun provvedimento.

In quale altro modo invece in Italia verrebbe di continuo messa in dubbio la validità della legge 194, come dicevamo sopra? Per esempio attraverso delle mozioni anti-IVG presentate da alcuni comuni, mascherate da sensibilizzazione sui rischi di tale intervento. Abbiamo il caso di Verona, ma senza voler andare troppo lontano nel tempo e nello spazio possiamo parlare proprio di Trieste: questo mercoledì 26 settembre nelle stanze del Consiglio Comunale (I Commissione consiliare), avrebbe dovuto venir discussa la mozione 109/18 dal titolo “Informare le donne dei danni alla salute provocati dall’aborto”, annullata anche in seguito all’annuncio del presidio di protesta di Non Una Di Meno, che ha poi invitato i cittadini a un’assemblea pubblica alla Casa Internazionale Delle Donne.

Vien ora da chiedersi, vogliamo percorrere la via del silenzio-assenso e lasciare che un diritto come quello dell’aborto, al qualche chi ne ha bisogno può fare appello, ma che non obbliga nessuno ad accostarvisi se non vuole, venga gradualmente eliminato? Vogliamo lasciare che questo accada, lasciando ancora una volta che qualcuno decida al posto delle donne a proposito di come desiderano amministrare le proprie scelte di vita e il proprio corpo?

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