Lo studio Eige Mutilazioni genitali femminili: una realtà anche in Italia
Cala del 3% il numero delle minori a rischio mutilazioni genitali femminili nonostante la crescita dei flussi migratori (+27%). Ma fra le oltre 76mila ragazze tra 0 e 18 anni originarie dei Paesi che le praticano, una su quatto è a rischio
Sembra una buona notizia ma non lo è: perché se è vero che è diminuito del 3% il numero delle minori a rischio mutilazioni genitali femminili (MGF) che vivono in Italia, è anche vero che le cifre sono ancora molto elevate. Sono infatti più di 18mila le bambine e le adolescenti residenti in Italia che ogni anno rischiano di essere vittime di mutilazioni genitali che ne compromettono irreversibilmente la salute fisica e psicologica. Spesso non sono solo esposte al rischio, ma ne sono proprio vittime, nonostante le MGF, le procedure di rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o di altre lesioni, siano riconosciute in campo internazionale come una violazione dei diritti delle donne e una forma di abuso sui minori.
In Italia una su quattro
Significa che in Italia quasi una donna su quattro, delle 76040 ragazze di età compresa tra 0 e 18 anni originarie di paesi praticanti Mgf (di prima e seconda generazione), corre un alto rischio di subire mutilazioni genitali (cioè il 24%, pari a 18,339); mentre quasi una su sette (il 15%, cioè 11382) corre un rischio basso. I numeri sono ancora importanti, benché in diminuzione rispetto al 2011 quando le minori considerate ad alto rischio erano il 27%. Un calo che si registra nonostante una maggior presenza in Italia di bambine e adolescenti provenienti da paesi praticanti Mgf, (nel 2011 erano in tutto 59720, cioè il 27% in meno rispetto alle 76040 di oggi). Per quando riguarda l’Italia, lo studio stima che siano le bambine e le adolescenti di origine egiziana (di prima e seconda generazione) quelle che maggiormente rischiano di subire Mgf (sono in tutto 11425); seguono poi quelle provenienti dal Senegal (1517), dalla Nigeria (1145), dal Burkina Faso (883), dalla Costa D’Avorio (811) e dall’Etiopia (724). Un fenomeno dalla portata devastante che investe anche il 9% delle richiedenti asilo in Italia, provenienti per lo più da Nigeria e Somalia.
Lo studio dell’Eige
I dati atroci che qui vi anticipiamo (che saranno disponibili in italiano nel prossimo autunno) provengono dall’ultimo studio condotto dall’Eige, l’agenzia dell’Unione europea con sede in Lituania che dal 2010 si adopera per rendere l’uguaglianza di genere una realtà all’interno e all’esterno dell’Ue. L’agenzia ha effettuato tre studi sull’argomento: il primo studio, del 2012, ha delineato la situazione delle mutilazioni genitali femminili nell’Ue; il secondo studio, del 2015, ha stimato il rischio Mgf in Irlanda, Portogallo e Svezia. Il terzo studio, del 2017-2018, si è concentrato su Belgio, Cipro, Francia, Grecia, Italia e Malta.
Una pratica illegale in tutta l’Ue
In tutti gli Stati membri dell’Unione Europea le mutilazioni genitali femminili sono perseguibili in quanto fattispecie generica o specifica di reato. I dati raccolti dall’Eige mostrano che le comunità residenti in Italia siano ben consapevoli di questo e che, per superare il limite dell’illegalità, tendano a far praticare le Mgf all’estero, in occasione di viaggi nel Paese d’origine. Eppure, in forza del principio di extraterritorialità che vige in 25 ordinamenti europei, tra cui l’Italia, i genitori sono perseguibili anche in caso di mutilazione commessa all’estero. Poiché anche in alcuni di questi Paesi (come l’Egitto) la pratica è illegale, le famiglie fanno ricorso sempre più spesso a un medico, non sempre e non solo per assicurarsi la pratica in condizioni igieniche più sicure, quanto per sottoporre allo specialista la valutazione circa lo sviluppo dei genitali delle loro figlie (secondo quanto riferito, se il medico dovesse dire che i genitali sono eccessivamente sviluppati si riterrebbe di non poter evitare il taglio).
Le motivazioni alla base delle Mgf
Secondo gli ultimi dati raccolti dall’Eige tra le comunità residenti in Italia, le Mgf continuano ad essere esercitate come strumento di controllo sociale della sessualità femminile. Per giustificare la loro pratica si tende ad addurre argomenti religiosi, ma non vi è alcun obbligo in proposito nelle società cristiane, animiste e musulmane. Nel contesto dell’emigrazione, inoltre, si rivelano spesso un mezzo per mantenere un legame con il Paese di origine e preservare la supposta identità culturale. Le donne egiziane contattate dall’Eige hanno raccontato, ad esempio, come spesso siano le nonne a sollecitare la pratica. Le Mgf svolgono ancora un ruolo attivo nella costruzione culturale dell’identità di genere e nella formazione dell’appartenenza etnica, oltre che nella definizione dei rapporti tra i sessi e tra le generazioni. Secondo i ricercatori dell’Eige, “sebbene alcune comunità sembrino essere orientate verso l’abbandono della pratica delle Mgf, questo non significa necessariamente che sia scomparso il desiderio di proteggere la purezza femminile e di controllare le pulsioni sessuali delle donne”. Lo dimostra anche il fatto che tra le donne nigeriane residenti in Italia si stia diffondendo una tecnica di massaggio per ridurre la crescita del clitoride, come forma alternativa di controllo sulla sessualità. In ogni caso, che si effettui un’asportazione parziale o totale della clitoride e/o di tutte le labbra; un’infibulazione o altre manipolazioni (che variano molto da un’etnia all’altra), si tratta di una questione che va affrontata nella sua complessità, a partire dall’analisi del contesto sociale ed economico in cui vengono attuate. Il ché non giustifica mai, in nessun caso, queste pratiche violente, ma ci allontana dalla tentazione di definirle esclusivamente come una feroce stravaganza esotica.
Uno sguardo all’Europa
Se da noi, come detto, l’Eige stima che le bambine e le ragazze che corrono il rischio di essere vittima di Mgf siano una percentuale compresa tra il 15% e il 24%, in Belgio sono una percentuale compresa tra il 16% e il 27%; in Francia tra il 12% e il 21%; a Cipro tra il 12% e il 27%; a Malta tra il 39% e il 57%; in Grecia tra il 25% e il 42%. In tutti e sei gli Stati membri dell’Ue oggetto dell’ultima ricerca dell’Agenzia Europa, la volontà di controllare la sessualità femminile è stata menzionata come un fattore decisivo nella pratica delle mutilazioni genitali femminile.
5 ottobre 2018 (modifica il 5 ottobre 2018 | 19:33)
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