Interruzione volontaria di gravidanza: il diritto di essere madre
20.10.2018 – 08.30 – La scoperta di esser rimasta incinta per una donna è un punto di non ritorno. Da quel momento si è consci di esser responsabili di un altro essere umano, di averne in mano totalmente l’avvenire e che la propria vita ne sarà totalmente caratterizzata nel presente e nel futuro. Le opzioni a quel punto sono due: o si parte alla caccia di vestitini e scarpine oppure si inizia a pensare al futuro proprio e della creatura che si ha in grembo.
Per ragioni economiche, per ragioni familiari o addirittura del contesto sociale nel quale una donna vive, la scelta può ricadere sull’interruzione volontaria di gravidanza. Una scelta che non è mai facile. Ma di cosa si tratta esattamente?
È facoltà di ogni donna, entro i primi 90 giorni di gestazione, rivolgersi presso una struttura sanitaria o un consultorio per avere le informazioni necessarie e successivamente procedere all’aborto tramite metodo farmacologico o chirurgico.L’interruzione volontaria di gravidanza (IGV) è regolamentata dalla legge 22 maggio 1978, n.194, “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, che definisce tutti i casi in cui vi si può ricorrere ma i cui fini, ben chiari, sono espressi nell’articolo 1 : “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.”
All’articolo 5 si delinea più marcatamente il ruolo dei consultori familiari, i quali devono garantire i necessari accertamenti medici e cercare di trovare le soluzioni per rimuovere i problemi posti che porterebbero all’interruzione di gravidanza mettendo in grado la donna di far valere i propri diritti di lavoratrice e madre e aiutandola nel periodo pre e post parto. Considerando il dato nazionale del 1982, dove sono stati registrati ben 234.801 casi di IGV, potremmo constatare una diminuzione del fenomeno rilevante, di fronte a numeri che sono però ancora importanti. In totale, nel 2016, dati del Ministero della Salute, le interruzioni volontarie di gravidanza in Italia notificate sono state 84.926, confermando una diminuzione del fenomeno rispetto all’anno precedente. In Friuli-Venezia Giulia gli aborti sono stati 1.436 rispetto ai 1.488 del 2015.
In quarant’anni sono state effettuate 5.814.635 interruzioni volontarie di gravidanza nelle strutture sanitarie italiane. Parliamo, quindi, di circa sei milioni di bambini. Le serie storiche dei dati rielaborati dall’Istat rilevano dei tassi standardizzati di abortività in aumento per le donne con un basso titolo di studio a differenza delle donne con un livello di istruzione elevata che, a quanto si può dedurre, possono, probabilmente, compiere delle decisioni più consapevoli sui comportamenti e scelte sessuali.La Legge 194 entrò in vigore in Italia a seguito di un lungo e articolato scontro in linea con il cambiamento culturale in atto in quel periodo, in cui il ruolo della donna e i suoi diritti venivano ridiscussi e difesi dai movimenti radicali e femministi. Essi lottavano per l’abolizione degli art. 545 e segg. del codice penale italiano, che consideravano reato qualsiasi forma di aborto. Contrari alle posizioni “abortiste”, la Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale Italiano – la posizione, quella del Movimento Sociale Italiano, in linea con i principi e valori storici della destra italiana a difesa della famiglia e della vita.
A leggere i dati sopra, le preghiere di Sua Santità Papa Giovanni Paolo II rivolte all’allora segretario del MSI, Giorgio Almirante: ”Continuate il vostro combattimento contro l’aborto in conformità alla dottrina della Chiesa e continuate a combattere contro la decadenza dei valori morali in Europa”, durante un’udienza generale del Papa in Piazza San Pietro, come riporta un articolo di Repubblica dell’11 aprile 1985, pare non abbiano avuto il successo sperato. Ad oggi il dibattito è tornato attuale, dato il quarantesimo anniversario dell’entrata in vigore della legge e le numerose dichiarazioni delle istituzioni politiche e religiose. Papa Francesco ha scatenato molte polemiche affermando che interrompere una gravidanza è come “fare fuori una persona affittando un sicario”, mentre le posizioni politiche sono diverse e si mescolano con le posizioni ufficiali dei partiti e di quelle personali e dei legittimi credo religiosi dei singoli attori.
Una delle posizioni che si possono citare è quella del più giovane ministro, donna, della storia delle Repubblica italiana con delega alla gioventù, Giorgia Meloni. Una posizione che arriva post rivoluzione del Sessantotto, dove faceva da padrone il credo de: “l’utero è mio e me lo gestisco io”, in un clima sociale moderno dove si sente più fortemente il bisogno di autodeterminazione della donna – autodeterminazione di donna lavoratrice e madre.Nel 2010, intervistata da Skytg24, nelle vesti da ministro, Giorgia Meloni affermò la necessità e l’obbligo morale di continuare a lavorare affinché la maternità non diventi una forma di discriminazione: “In Italia viene garantito in tutte le sue forme il diritto di abortire e purtroppo non viene garantito il diritto a mettere al mondo un bambino. È importante dimostrare che la maternità non è affatto un ostacolo. Invece continuiamo, anche nelle forme più evolute di femminismo, a ritenere che la maternità e la possibilità di affermarsi nel mondo del lavoro debbano essere due cose in contrapposizione”. Posizione chiave che l’onorevole, oggi leader di un partito nazionale, e le sue colleghe parlamentari continuano a portare avanti, nonostante gli ostacoli interni ed esterni. Una delle proposte è il “reddito di gravidanza”, un forma di sostegno economico per le cittadine italiane affinché abbiano gli strumenti concreti per compiere le scelte migliori per se stesse, indipendentemente da fattori socio-economici, in linea con i principi dell’art. 1 della legge 194.
La difesa dei diritti delle donne deve includere fortemente la difesa del diritto di essere madre e lavoratrice. Oggi di quella legge si ricorda solo del diritto di abortire. Ci si dimentica che si parlava anche del diritto di essere madre. Senza pregiudizi. Altresì le posizioni anti abortiste che credono che la vita sia da difendere e la morte da scoraggiare non dovrebbero essere viste come posizioni criminali. Si possono non condividere, ma non c’è nulla di liberticida e maligno in questo. Difendere la vita non è una barbarie. A volte nei dibattiti si percepisce un meccanismo duale in cui chi difende il diritto di aborto è come se difendesse un fattore di emancipazione della donna, mentre gli “anti” vengono derisi e appuntati con l’epiteto di “fascisti e retrogradi”. Per non dir peggio.
L’esser un paese civile passa attraverso la difesa della vita e dei diritti di tutti. Anche di chi ancora non può gridare, forte forte, “voglio vivere”.
Nicole Matteoni
Post scriptum. Mi ricordo del mio secondo colloquio di lavoro a 19 anni, quando mi chiesero se avessi intenzione di rimanere incinta e io (a quell’età, figuriamoci, pensavo a studiare e a uscire con gli amici) risposi: “No, non ho intenzione di rimanere incinta prima dei 30”. Una domanda che a quel tempo mi sembrava ridicola ma che oggi, ripensandoci, mi fa salire una profonda amarezza.