Abortire a Taranto. Chi decide sul corpo delle donne?
Oggi è difficile tracciare una geografia dei diritti in Italia. Un Paese in cui la precarietà si riflette nelle diverse sfere della vita sociale, permeando la complessità dei diritti conquistati nella storia, le relazioni e talvolta l’essenza stessa della vita. Sicuramente Agamben e Bauman hanno ragione di suggerire che il legame tra l’individuale ed il collettivo, nelle razionalità politiche contemporanee, è fondamentale per assicurare un quadro di garanzie atto a sostenere la confluenza di molteplici soggettività. Il rapporto tra la vita biologica dell’individuo e i diritti della collettività si pone cruciale all’interno di un tema delicato e sempre spinoso come l’obiezione di coscienza, il diritto di scelta della donna e quindi la salute pubblica intesa come bene comune.
“A causa dell’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza, l’Italia viola i diritti delle donne che, alle condizioni prescritte dalla legge 194 del 1978, intendono interrompere la gravidanza”. Con tale pronunciamento, il Comitato Europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa si è espresso in data 4 Marzo 2014 in merito al ricorso presentato nel novembre 2012 dall’International planned parenthood federation european network (Ippf). Ma è davvero così?
Questo articolo non vuole avere la pretesa intellettuale di fornire una matrice statutaria al tema in questione, peraltro fenomeno dinamico e in continua evoluzione, ma tenta di fotografare la contemporaneità attraverso un’indagine presso il presidio ospedaliero Santissima Annunziata nella città di Taranto. Il nostro lavoro è iniziato un paio di settimane fa. Su tre presidi ospedalieri pubblici soltanto il Santissima Annunziata è attrezzato per soddisfare le richieste di IVG (interruzione volontaria di gravidanza). Attualmente su 15 ginecologi in servizio soltanto uno non è obiettore e su 28 ostetriche delle quali il 50% strutturate, solo 5 non sono obiettrici. Parlano i numeri: lasciando da parte il nostro impianto etico e valoriale di riferimento, è in atto una fortissima sproporzione in relazione sia l’utenza (numero di richieste di IVG), sia alle strutture pubbliche adibite a svolgere queste delicatissime operazioni. Dalle interessanti conversazioni con due ostetriche non obiettrici, assistenti dell’unico ginecologo non obiettore all’interno del Santissima Annunziata, emerge un aspetto interessante: qualche mese fa, l’ASL di Taranto bloccò la proposta di attrezzare Martina Franca per le IVG. È sempre la stessa ASL a stabilire il numero di sedute per l’aborto: stimiamo una media di 8 sedute al mese con un carico di 14 donne, in rari casi raggiungendo un picco di 21 interventi a settimana. Secondo le ostetriche intervistate si tratta di un numero piuttosto elevato a fronte delle sedute disponibili. Sembra che le politiche economiche messe in atto dall’ASL di Taranto seguano più una logica di ottimizzazione dei costi, rispetto alla resa di un servizio efficiente volto a garantire una maggiore qualità del sistema sanitario all’interno del territorio ionico. Dalla fotografia che prende forma è chiaro che l’elevato carico di pazienti appare eccessivo. In alcuni casi si giunge ad indirizzare donne a Brindisi e Bari per il rischio di sforamento dei tempi (considerando gli accertamenti clinici, gli esami, la lista d’attesa e “l’invito a soprassedere per sette giorni dalla richiesta di IVG” previsto dalla legge). Il ginecologo P. fa presente un ulteriore tratto della questione: “Noi, come Santissima Annunziata, copriamo il nord della Calabria e parte della Basilicata. C’è l’ospedale di Cosenza, ma per chi risiede nel nord della regione, Taranto risulta più facilmente raggiungibile. Inoltre anche a Matera vi è una struttura attrezzata, ma molte donne di Pisticci, Policoro e dintorni, vivono questa scelta con vergogna. Preferiscono l’anonimato a Taranto, per palesi freni culturali”.
Per quanto concerne l’utenza, la nostra indagine trae dati interessanti al Centro Donne presso il Padiglione Vinci attiguo all’ospedale, nel quale dopo 15 giorni dall’aborto si effettua l’esame del Beta HCG (per verificare l’assenza di tracce dell’ormone della gravidanza). In questa struttura sono archiviate tutte le richieste di IVG firmate dai medici di base: una fonte preziosa per delineare un quadro sulle caratteristiche sociali delle pazienti. L’utenza risulta piuttosto eterogenea: donne di diversa estrazione, provenienza e cultura scelgono liberamente, consapevolmente e talvolta spregiudicatamente di sottoporsi ad aborto. Dalle giovanissime under 20 residenti in quartieri emarginati che versano in situazioni di degrado sociale (in particolare Paolo VI e Salinella), alle straniere, fino ad arrivare alle più adulte del centro di Taranto e della provincia. Un elemento degno di nota riguarda donne (generalmente di mezza età, sposate con figli) che ricorrono per la seconda e talvolta terza volta ad aborto volontario, concependo tale strumento come dispositivo regolatore della prole a carico. Oltre alla sproporzione in termini numerici dell’organico ospedaliero (1 ginecologo, 5 ostetriche e pochissimi anestesisti non obiettori di coscienza), il quadro è critico confinando Taranto ai margini della periferia nella geografia dei diritti: il dato sopradescritto denota anche una serie di complessità a carattere culturale e sociale. Attività di alfabetizzazione sessuale risultano ardue e dagli esiti incerti, spesso ostacolate da un background talmente radicato da risultare inespugnabile e quindi fonte di comportamenti riproduttivi in antitesi al buonsenso. Continuando la nostra conversazione, l’ostetrica B. ricorda quando prestava servizio in alcuni distretti sanitari della città, affermando quanto le attività di sensibilizzazione su prevenzione e profilassi, sia nelle scuole, sia nei quartieri a rischio, si attestassero al 10%, per poi ridursi quasi del tutto. Si tratta di una percentuale bassissima in relazione al numero di richieste di IVG pervenute ogni settimana.
Nonostante questi dati sconcertanti sono rassicurata su un altro fronte. Il ginecologo e le ostetriche intervistati mi garantiscono che all’interno del Santissima Annunziata non si sono mai verificati casi di inadempienza al proprio dovere da parte di medici obiettori. Infatti in relazione all’art. 6 della legge 194, che prevede che lo status di obiettore non esonera il medico dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento o nel caso di emorragia spontanea, pazienti in stato di bisogno hanno sempre ricevuto le dovute cure. Seppur il rapporto tra personale pro-life e non obiettori sia fortemente inadeguato, è doveroso sottolineare questo aspetto, differentemente da ciò che avvenne nel 2010 presso l’ospedale Pertini di Roma. In quell’occasione Valentina, protagonista della tragica vicenda, fu ricoverata grazie all’unica ginecologa non obiettrice, ma dopo 15 ore di dolori e sofferenze atroci per indurre l’espulsione del feto, si trovò da sola. La ginecologa in questione non era più in servizio. Tutti gli altri si dichiararono obiettori rifiutando di prestare soccorso alla donna, lasciata sola in bagno ad abortire assistita dal marito.
Il quadro tracciato ci lascia un sapore amaro. Se non fosse per i pochissimi medici non obiettori del Santissima Annunziata (sarebbe poi interessante indagare le motivazioni dei professionisti dichiarati pro-life nel sistema pubblico, ma non obiettori nel privato), Taranto confermerebbe la sua posizione ai margini nella geografia dei diritti civili. Ampliando il nostro orizzonte di pensiero, è evidente che è in atto una battaglia politica sul corpo delle donne. Quest’offensiva si impegna su un doppio piano: dal basso, con la presenza sproporzionata dei no-choice negli ospedali e nei consultori (e a Torino di recente anche nei luoghi della formazione) e dall’ alto nelle istituzioni europee e statali. La proposta di legge del governo conservatore spagnolo, la bocciatura da parte del Parlamento Europeo della Risoluzione Estrela, l’esempio della Grecia (fra le pesanti limitazioni del welfare dovute alle politiche di austerity, l’interruzione volontaria di gravidanza é stata eliminata dalle prestazioni gratuite e garantite dal sistema sanitario nazionale) gettano i semi di un conflitto, rendono il corpo delle donne un campo di battaglia. E ora con le elezioni politiche Europee, si apriranno nuovi scenari (quali?) o semplicemente si stanno già aprendo e diffondendo intorno a noi?!