Legge 40, parla Nicola Surico, medico cattolico La norma limita ancora i diritti delle donne
Ma secondo un medico di primo piano, per anni presidente della società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), oggi direttore della clinica ginecologica della facoltà di medicina di Novara, la vittoria della scienza contro l'oscurantismo non è ancora totale. La "legge 40" limiterebbe infatti «ancora fortemente i diritti alla salute delle donne». Perché? «Perché uno degli aspetti cruciali di quella legge è rappresentato dall’articolo di apertura, in base al quale si assicurano “i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”», spiega Nicola Surico, che è lui stesso cattolico e obiettore di coscienza: «È la prima volta che un’istituzione statale non religiosa afferma che l’embrione è un soggetto, alla pari degli altri; riconosce nella cellula fecondata un “cittadino”, della cui tutela si assume la difesa».
La definizione dell'embrione come cittadino ha chiare conseguenze mediche, spiega il professore, perché «Da questa previsione discendono tutta una serie di norme che limitano fortemente il diritto alla salute della donna», tanto che «uno dei temi più discussi dalla comunità scientifica in questo momento, a proposito di legge 40, è quello dell’abolizione del divieto di ricerca sugli embrioni».
Un divieto che è ancora un ostacolo enorme. Soprattutto in Italia, sostiene Surico, dove «Affrontare questi temi è indispensabile per ovviare al problema del calo delle nascite. Dovremmo rendere accessibile per tutte le donne, nelle migliori condizioni di tutela della salute, le tecniche di procreazione medicalmente assistita».
Lei dice che queste tecniche dovrebbero essere "accessibili a tutte le donne". Ma se l’OMS riconosce l’infertilità e la sterilità come malattie, i nostri Livelli essenziali di assistenza (Lea) in ospedale non lo fanno. Perché?«I motivi sono la severa regolamentazione derivante dall’applicazione delle direttive europee, i costi organizzativi e di qualificazione del personale, oltre a quelli di adeguamento delle strutture e della strumentazione in continua evoluzione»
Insomma, il problema sono i soldi. Eppure ci sono già regioni che garantiscono queste cure.«Oggi le tecniche di procreazione medicalmente assistita non rientrano nel piano sanitario nazionale, ma sono a carico delle Regioni. Alcune hanno inserito queste prestazioni nei Lea regionali, altre no, e questo ha dato luogo al fenomeno del turismo interregionale verso le città in cui in strutture pubbliche e convenzionate i costi sono quasi interamente coperti dal SSN».
Cosa comporterebbe l'inserimento dell'infertilità nei Lea nazionali?«Permetterebbe a tutte le coppie condizioni di accesso uniformi con oneri a carico del sistema sanitario pubblico. Ogni Regione dovrebbe disporre di almeno un centro di elevata condizione strutturale ed organizzativa, in grado di offrire non solo la completezza del percorso terapeutico, ma di produrre un numero di procedure proporzionato al bacino di utenza e tale da giustificare gli investimenti necessari per realizzare questa tipologia di strutture»
È giusto quindi, secondo lei, che sia lo Stato a farsi carico dei costi ?«Sì, penso sia giusto che il Sistema Sanitario Nazionale si faccia carico, nei limiti del possibile, di questo onere in quanto si tratta di un diritto all’essere madre che non può essere negato».
Facciamo un passo indietro. Che tipo di malattie sono l’infertilità e la sterilità? «Sterilità ed infertilità riguardano circa il 15% delle coppie e rappresentano, quindi, un problema comune e diffuso. Una coppia viene considerata sterile se entro un anno di rapporti sessuali completi, regolari e non protetti non sia stata in grado di ottenere una gravidanza; viene, invece, considerata infertile quando è incapace di condurre la gravidanza fino all’epoca di vitalità fetale».
Cosa cambia quindi fra queste due condizioni?«Non sempre la sterilità esiste dal primo tentativo di concepimento: è possibile che una coppia non sia mai stata in grado di concepire (sterilità primaria), oppure ce ne sono altre che, pur avendo già figli, non riescono a concepirne altri (sterilità secondaria). Non va poi tralasciata la cosiddetta “sterilità idiopatica” che non ha una causa organica, fisica, ma che probabilmente è legata ad una componente psicologica. In molti casi le componenti somatiche e quelle psicologiche sono inseparabili»
Ci sono anche altre cause?«Sicuramente un fattore sociale determinante è la ricerca del primo figlio in età sempre più tardiva. Il periodo di massima fertilità è per la donna intorno ai 25 anni di età, per poi andare incontro ad una forte riduzione dai 35 anni in poi. A questo si aggiunge la diagnosi mancata o tardiva di una eventuale patologia, lo stress, gli stili di vita (alcol, fumo, droghe), le malattie a trasmissione sessuale, gli inquinanti ambientali».
La mancata realizzazione della maternità secondo lei lede la salute di una donna o di una coppia?«La diagnosi di infertilità è spesso un momento fortemente traumatico e destabilizzante. Nella donna vi è un’importante identificazione sociale nel ruolo di madre: rappresenta la morte del proprio sé biologico. Un figlio può essere il coronamento di un sogno, che arricchisce inestimabilmente la vita di una persona. Per questo la coppia va tutelata ed aiutata ad elaborare in qualunque caso l’esito, restituendo ai partner gioia, serenità e capacità di amarsi ancora, a prescindere dalla possibilità procreativa».
Le donne che desiderano una maternità e non possono ottenerla parlano della procreazione medicalmente assistita come di una “cura”. È proprio o improprio secondo Lei?«Nella vita di ogni individuo la procreazione rappresenta una tappa fondamentale e spesso diventa un vero e proprio obiettivo di vita. Medicalizzare troppo presto il concepimento, ad esempio nel caso di una coppia molto ansiosa, potrebbe non essere più una “cura” ma potrebbe creare un disagio psicologico e nuocere allo stesso progetto. Occorre sempre tenere a mente che il percorso di procreazione medicalmente assistita, con il suo rituale complesso, l'alta frequenza dei controlli, il grande numero di variabili, l’incertezza della riuscita e le aspettative che vengono a generarsi contribuiscono a creare sentimenti di continua speranza e frustrazione».
Insomma, è un percorso difficile, doloroso.«Assolutamente sì. Inoltre, l'attenzione ossessiva ai propri processi corporei, indotta dalle cure, genera paure e tensioni. Fondamentale è prospettare sempre alla coppia la possibilità di ricorrere a procedure di adozione o di affidamento come alternativa alla procreazione medicalmente assistita».
C'è abbastanza informazione secondo lei su questi temi?«Oggi l’attenzione sui problemi di infertilità e sterilità è sicuramente maggiore, anche se viene spesso sottolineata la funzione miracolistica delle tecniche di procreazione assistita. Fa clamore, ad esempio, la donna over 50 che diventa mamma ma si pone poca attenzione alla normale realtà della fecondazione assistita e cioè ai percorsi lunghi e dolorosi delle coppie per arrivare ad un risultato che non è per nulla scontato».
E prevenzione?«Conoscere è sempre il primo passo per prevenire: alcuni comportamenti e scelte di oggi possono tutelare la fertilità futura. È ormai dimostrato che alcuni fattori incidono negativamente sulla fertilità, sia maschile che femminile, soprattutto se protratti nel tempo. In molti casi si può intervenire inizialmente solo mediante una adeguata informazione e la promozione di corretti stili di vita».
Per esempio?«Servirebbero ad esempio campagne di informazione sulle malattie sessualmente trasmesse e protocolli di sorveglianza clinica. Importante è anche far conoscere quei fattori personali che incidono soprattutto sull'infertilità causata da disfunzioni della funzione ovarica: disturbi del comportamento alimentare, squilibri del peso, esercizio fisico in eccesso, assunzione di alcol e droghe, fumo e stress».
Quanto pesano su queste malattie la morale, la religione e i costumi sociali? Quanto secondo lei il desiderio di maternità può definirsi naturale nel senso di biologico, necessario?«La gravidanza può diventare un simbolo di potenza, soprattutto in alcune culture che valorizzano la maternità come l'essenziale realizzazione femminile. La morale cattolica ritiene che le tecniche di procreazione artificiale siano moralmente illecite. Detto questo, bisogna aggiungere che questo giudizio etico-religioso deve essere mediato in sede politica, perché le leggi devono prendere in considerazione diversi punti di vista e trovare un giusto equilibrio».
Lo Stato dovrebbe, secondo lei, imporre dei limiti alle tecniche di fecondazione artificiale? Se sì, quali? E perché?«La fecondazione assistita non può essere considerata una forma di delirio di onnipotenza, ma deve essere vista quale realmente è: un’opportunità che oggi la scienza è in grado di offrire. Forse non possiamo parlare del diritto di avere un figlio, ma possiamo rivendicare il diritto di tentare di averlo con gli strumenti che la scienza medica mette oggi a disposizione e alle migliori condizioni di garanzia e di salvaguardia della salute delle donne, dei bambini che nascono e degli uomini coinvolti nelle procedure di PMA».
Un ennesimo divieto della Legge 40 è appena stato smantellato... che conseguenze ci saranno?«L'illegittimità della norma che vietava la fecondazione eterologa non provoca alcun vuoto normativo in quanto sono identificabili più norme inerenti che possono essere applicate; tuttavia sono necessarie linee guida specifiche che regolamentino questo tipo di procedure».