"Basta violenze", la rivolta delle donne kenyote
NAIROBI - Una donna in minigonna in un'affollata fermata di autobus a Nairobi. Poi, forse qualche insulto rimandato al mittente, qualche parola di troppo e parte l'assalto. La giovane viene circondata da decine di uomini che le strappano i vestiti di dosso. La canotta rosa fluo viene tirata fino a lacerarla, lo stesso accade alla gonna. Qualcuno le tira giù gli slip. Mentre la donna urla, e cerca di coprirsi alla men peggio la scena viene filmata e il video finisce su youtube provocando sconcerto e proteste. Ma nonostante il vicepresidente del Kenya William Ruto abbia chiesto l'arresto per gli uomini autori dell'episodio, l'associazione Kilimani Mums, ha contato che solo nell'ultima settimana almeno altre dieci donne in tutto il Kenya abbiano subito lo stesso trattamento. Emulazione probabilmente. Il dato ha provocato la mobilitazione delle associazioni in difesa dei diritti delle donne.
Nei giorni scorsi è stato lanciato l'hashtag #mydressmychoice che ha riempito twitter di commenti e solidarietà alle donne kenyane anche da altri paesi del continente. Mentre lunedì scorso sono state migliaia le donne scese in piazza a Nairobi per chiedere il rispetto dei loro diritti in quella che è stata battezzata la “protesta delle minigonne”. Erano in tante a portarla mentre altre hanno scelto di vestire con una canotta rosa fluo, come quella indossata dalla giovane assaltata. La marcia è arrivata fino alla stazione dei bus dov'è avvenuta la violenza e in tante si sono arrampicate sui matatu, i minivan usati nel trasporto pubblico. Un gesto simbolico, perché secondo i testimoni pare che i primi a strappare i vestiti alla donna siano stati proprio gli autisti di autobus fermi al capolinea.
“Basta, con questa violenza si è andati proprio oltre – afferma Joan Opiyo, una studentessa che ha partecipato alla protesta – non possiamo vestirci pensando se agli uomini per strada andrà bene ciò che indossiamo oppure no. L'unico modo di fermare questi episodi è rifiutarsi di stare in silenzio”.
Ma per quanto la vicenda di questa donna abbia fatto scalpore (forse perché avvenuto non in una periferia squallida e degradata ma in pieno centro, a due passi dai palazzi del potere e dalle ambasciate) ce ne sono altri centinaia che avvengono nei posti più remoti di questo paese e balzano alle cronache solo se si tratta di episodi estremi e scioccanti. Come quello che nel 2013 ha coinvolto una 16enne violentata ripetutamente da sei coetanei, i quali invece che essere portati in giudizio, ricevettero la benevolenza della polizia che li punì imponendogli di tagliare l'erba delle aiuole del paese. L'atteggiamento delle forze dell'ordine sollevò forti proteste nella cittadina al punto da convincere gli agenti a portare l'episodio davanti a un giudice per un processo che oggi è ancora in corso.
In un paese dove nelle zone rurali la parità fra uomo e donna è un concetto sconosciuto i tentativi di emancipazione femminile rompono equilibri secolari. Così una donna che la settimana scorsa è stata aggredita da un vicino di casa in una cittadina poco fuori Nairobi, ed è andata dalla polizia per denunciare l'episodio, è stata violentata per cinque ore dall'agente che l'aveva ricevuta. L'ha portata a casa sua dicendole che aveva i moduli per la denuncia lì e ha abusato di lei. Forse l'episodio sarebbe finito lì. Ma la donna aveva lasciato a casa la figlia di tre mesi. Quando è tornata l'ha trovata morta e così ha deciso di ritornare alla stazione di polizia denunciando la morte della figlia e lo stupro. Ma il secondo episodio non è stato neanche preso in considerazione. Fino a quando un poliziotto dietro anonimato ha chiamato i giornali rendendo noto l'accaduto.
Anche nell'episodio della giovane spogliata, giornali e social network hanno fatto da cassa di risonanza per le proteste. Ma in rete c'è anche chi punta il dito contro lo stile di vita occidentale delle donne africane. “Il problema è che cerchiamo di copiare l'Occidente e queste sono le conseguenze”, scrive Burhan Aweiss su twitter, mentre Gilly Pikemoi aggiunge “sono daccordo nello spogliare donne vestite in maniera indecente. Non si possono provocare gli uomini e poi non avere conseguenze”. Più o meno la stessa “teoria” che i violentatori urlavano contro la donna mentre la denudavano. Un pensiero talmente comune da spingere centinaia di donne a scendere in piazza per gridare tutta la loro indignazione di fronte ad un modo di vivere che le vede spesso, ancora, lontane dal pieno riconoscimento dei loro diritti.