2015, l'anno delle ali estreme in politica
STRASBURGO - Una mattina di dicembre Marine Le Pen tiene una conferenza stampa nei locali del parlamento europeo a Parigi. Come deputato a Strasburgo ha diritto a utilizzarli. La leader dell’estrema destra francese, in testa su tutti gli avversari nei sondaggi, si presenta con un gruppo di bodyguard che prendono in modo spiccio il posto della sicurezza ordinaria. Le guardie del corpo muscolari fanno parte del codice genetico del Front National. Una forza politica che non riesce a mettere da parte il proprio passato e fatica a essere normale.
La vecchia immagine del Front oggi viene messa in dubbio dall’adesione di una serie di persone omosessuali, tra le quali il vicepresidente e stratega della comunicazione Florian Philippot e il neo acquisto Sébastien Chenu, proveniente dalle fila del partito di Sarkozy e fondatore di GayLib. Entrambi fanno parte dell’entourage più stretto di Marine. C’è una parte di militanti, riviste, associazioni della destra, tradizionalisti cattolici ed ex fascisti, che digrigna i denti. «Tua figlia è circondata da froci e la cosa non mi piace» avrebbe detto secondo Le Monde un vecchio sodale di Jean-Marie Le Pen al fondatore del partito. E sua nipote Marion Maréchal, stella in ascesa a destra di Marine, è d’accordo con lui. Anche se probabilmente si esprime in forme meno volgari.
Storie simili circondano le vicende dell’Ukip, che non è fascista, ma solo xenofobo e non esattamente politically correct. Kerry Smith, un candidato alle elezioni politiche fresco di primarie, si è dovuto ritirare dalla corsa alle politiche quando qualcuno ha diffuso un suo commento nel quale definiva gli omosessuali «disgustose vecchie checche di merda». Pochi giorni dopo, una consigliera del Kent veniva espulsa per aver rilasciato dichiarazioni razziste alla Bbc, mentre il partito veniva investito dalla polemica su un videogioco sviluppato da giovani militanti nel quale il personaggio Farage prendeva a calci degli immigrati.
Il 2015 sarà per l’Europa un anno di consultazioni importanti. La Gran Bretagna vota per il dopo Cameron, in Francia si terranno elezioni locali, la Spagna andrà alle urne per le autonomie in primavera e per le politiche a dicembre. E la Grecia voterà il 25 gennaio dopo lo scioglimento anticipato del Parlamento. Campagna elettorale anche in Svezia, dove il governo socialdemocratico è caduto per via dell’ostruzionismo dei Democratici, che sono un partito giovane, conservatore e nazionalista. I temi del confronto politico saranno ovunque due: le politiche di rigore dell’Europa a guida tedesca e l’immigrazione. In entrambi i casi si tratta di temi imposti, per il modo in cui se ne discute, dalle ali estreme dello schieramento politico – con l’invasione e il pericolo islamico che sono monopolio della sola destra.
Dimentichiamo un momento la paura dell’altro, quella che aumenta in maniera prodigiosa quando le cose vanno male ed è sempre utile per la propaganda. E anche la qualità culturale di certe posizioni in materia di orientamento sessuale o diritti delle donne. Che significato hanno le prossime elezioni per un’Europa governata al centro e in molte periferie da grandi coalizioni o da governi anomali, non tradizionali? Sia la Commissione sia il parlamento sono prodotto dell’alleanza popolare-socialista (con i liberali come ruota di scorta ininfluente, seppur utile per gli ottimi rapporti con i poteri economici): ed è contro questa che si scagliano le ali estreme. Con dosi più o meno forti di populismo.
Si tratta di forme nazionali, alcune più avvezze all’interazione in rete e alle possibilità che questa consente a livello organizzativo, altre più tradizionali: Podemos è diversa da Syriza e l’Ukip è ancora un’altra cosa (parliamo sempre di forme di organizzazione e di base elettorale, non di contenuti).
La Commissione Juncker e il suo piano d’azione sono ritenuti insufficienti e poco ambiziosi anche da molti di coloro che li sostengono. E non basteranno poche centinaia di miliardi per generare quell’effetto moltiplicatore capace di far tornare il sereno nelle economie più disastrate d’Europa.
Ciascun Paese andrà al voto in un clima d’incertezza. Con la sinistra socialdemocratica (e democratica) in difficoltà: incapace di fare un discorso diverso da quello che sostiene a Bruxelles (le riforme, il pareggio e, a seconda dei casi, più o meno flessibilità nei patti), si trova costretta in un’alleanza europea che la penalizza e le rende difficile usare parole alternative. La debolezza interna di Hollande non aiuta, poniamo, Renzi. «I risultati delle elezioni europee e le condizioni di alcuni Paesi hanno contribuito a cementare la grande coalizione che governa a Bruxelles» racconta a pagina99 un funzionario della Commissione. «Prima i liberali permettevano di dividersi su certe questioni, passando da un voto con la sinistra sui temi etici a uno con popolari e conservatori sulle questioni economiche. Oggi la Grosse Koalition a sostegno di Juncker è l’unica maggioranza possibile nell’aula di Strasburgo».
È dalla rottura di questi equilibri costringenti che si crea lo spazio per la crescita dei partiti di destra e di sinistra.
«Assumiamo che voi condividiate il senso comune globale su cos’è necessario per l’Eurozona: più investimento pubblico e ristrutturazione del debito. E poi chiediamoci per chi votereste se foste cittadini europei» scriveva a fine novembre Wolfgang Munchau sul Financial Times. La risposta è semplice, rivelava poi l’analista tedesco: la Linke in Germania, Syriza in Grecia e Podemos in Spagna. E il Movimento cinque stelle in Italia, aggiungiamo noi, con una differenza: nessuna delle forze della sinistra europea chiede di uscire dall’euro, come nessuna fa approvare al proprio parlamento una mozione sull’immigrazione con forti tratti populisti di destra.
E proprio qui sta il punto interessante della crescita di consenso dei partiti di sinistra nei Paesi più colpiti dalla crisi: offrono delle ricette alternative che non presuppongono l’uscita dall’euro. «Siamo europeisti, sappiamo che le nostre proposte richiederanno tempo e pensiamo a politiche simili a quelle intraprese negli Stati Uniti dopo il crollo delle borse» spiega a pagina99 Dimitrios Papadimoulis, vicepresidente del parlamento europeo e deputato di Syriza. Il suo partito è impegnato in una campagna rivolta ai piani alti del potere europeo, per spiegare come non ci sia nulla da temere in caso di vittoria di Tsipras. E Podemos, in vista del voto delle autonomie e delle elezioni nazionali, ha voluto presentare una proposta economica meno roboante di quella usata nella campagna per le europee. Obiettivo dichiarato di queste forze è occupare lo spazio lasciato dai partiti socialisti dei rispettivi Paesi – in maggioranza uno, all’opposizione l’altro.
Lo spazio c’è e non è destinato a restringersi. Tolta la Francia, nei Paesi più aggrediti dalla crisi e colpiti dalle politiche di austerity è la sinistra che cresce. Nel nord Europa che sente scricchiolare le fondamenta del welfare sono invece i vari neo-nazionalismi ad avere il vento in poppa. Fatto sta che i sondaggi assegnano alla Spd poco più del 20% e il Labour, che sembrava destinato a una passeggiata di salute, si trova a dover fare i conti con l’Ukip e con l’emorragia dei voti in Scozia, una delle sue roccaforti storiche.
I bastioni istituzionali della politica, siano essi media, analisti o partiti, tendono a minimizzare il boom delle ali, spiegandolo come una rivolta anti-politica destinata a defluire. Improbabile che abbiano ragione. Quasi tutti i Paesi d’Europa assistono a sconquassi del panorama politico. Dove prima che altrove sono emersi fenomeni di cosiddetta anti-politica, come in Olanda, questi sono ancora vivi e vegeti, rendendo complicata la formazione dei governi e propiziando la nascita di grandi coalizioni. Il compito dei media e della politica tradizionale dovrebbe essere di registrare le novità – per esempio un governo greco a guida Tsipras – e ragionare su quali risposte dare alla mancanza di senso dell’Europa nell’età della crisi. Proprio la Grecia potrebbe rivelarsi un test dirimente. E fornire alla discussione politica argomenti diversi da quelli di xenofobi e No euro.