Afghanistan, minacce e attentati contro le donne che difendono i diritti umani
In un nuovo rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha accusato il governo afgano di aver abbandonato le donne che difendono i diritti umani, nonostante gli importanti risultati che cercano di raggiungere a fronte di una crescente violenza, fatta di minacce, aggressioni sessuali e omicidi.
Il rapporto, intitolato “Le loro vite in gioco”, illustra come importanti sostenitrici dei diritti delle bambine e delle donne (dottoresse, insegnanti, avvocate, poliziotte e giornaliste) siano state prese di mira non solo dai talebani ma anche dai signori della guerra e da rappresentanti del governo. Le leggi che dovrebbero proteggerle sono mal applicate o non lo sono affatto, mentre la comunità internazionale sta facendo ben troppo poco per alleviare la loro sofferenza.
Nel suo rapporto, Amnesty International descrive casi di donne che, per aver difeso i diritti umani, hanno subito attacchi mentre erano alla guida delle loro automobili o si trovavano in casa e sono state vittime di omicidi mirati. In alcuni casi, a essere presi di mira sono stati anche i loro familiari. Molte, nonostante i continui attacchi, continuano a portare avanti il loro lavoro, nella piena consapevolezza che non sarà fatto nulla contro i responsabili degli attacchi.
“Negli ultimi 14 anni, donne provenienti da ogni parte della società e impegnate a difendere i loro diritti umani, hanno lottato per ottenere importanti risultati. Molte hanno pagato il loro impegno con la vita. È vergognoso che le autorità afgane le abbiano abbandonate a sé stesse, in una situazione come quella attuale che è più pericolosa che mai” – ha dichiarato da Kabul, dove ha presentato il rapporto, Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International.
Da parte internazionale vi sono stati importanti investimenti in favore delle donne afgane, destinati anche a rafforzare i diritti delle donne. Ma buona parte di essi non sono stati costanti e sono stati destinati a progetti specifici. Inoltre, buona parte degli aiuti finanziari si sta prosciugando.
Sebbene i talebani siano responsabili della maggior parte degli attacchi contro le donne che difendono i diritti umani, rappresentanti di governo e potenti comandanti locali sostenuti dalle autorità risultano sempre più implicati nelle violenze e nelle minacce contro le donne.
Come ha commentato una donna che difende i diritti umani, “le minacce ora arrivano da tutte le parti ed è difficile identificare i nemici: possono essere i tuoi stessi parenti, agenti della sicurezza, talebani, esponenti politici”.
Attraverso interviste a oltre 50 donne che difendono i diritti umani e a loro familiari in tutto il paese, Amnesty International ha individuato uno schema costante in base al quale le autorità ignorano o rifiutano di prendere sul serio le minacce contro le donne. Le indagini sono poche, ancor meno le incriminazioni e le condanne. In molti casi, coloro che hanno denunciato la violenza o gli attacchi sono andate incontro a nuovi rischi, come ulteriori minacce o la riprovazione per non aver taciuto.
Nessuna donna che abbia un ruolo nella vita pubblica è al sicuro dalle minacce e dalla violenza: attiviste per i diritti umani, esponenti politiche, avvocate, giornaliste, insegnanti. Persino le donne impiegate nelle forze di polizia non sono al riparo dai sempre più numerosi episodi di bullismo e di molestie sessuali, quasi sempre impuniti.
Nella provincia orientale di Laghman, la dottoressa Shah Bibi è la direttrice del dipartimento per gli Affari femminili e continua a portare avanti la sua azione per rafforzare la protezione dei diritti delle donne nonostante numerose minacce di morte l’abbiano costretta a trasferirsi in un’altra provincia.
“Ogni giorno, quando esco di casa, penso che non ci tornerò viva. I miei bambini sono terrorizzati quanto me dai possibili attacchi dei talebani” - ha raccontato Shah Bibi.
Najia Sediqi e Hanifa Safi, che avevano preceduto Shah Bibi nello stesso incarico, sono state assassinate a distanza di sei mesi nel 2012. I loro parenti hanno raccontato ad Amnesty International come, anche in quei casi, le minacce di morte non fossero state prese in considerazione dalle autorità, nonostante le due vittime avessero ripetutamente chiesto di essere protette. Nessuno è stato portato di fronte alla giustizia per il loro assassinio.
Nonostante esista un quadro legislativo per la protezione delle donne, buona parte del quale si deve proprio alle instancabili campagne delle attiviste per i diritti delle donne, le leggi sono applicate male e risultano spesso meri impegni scritti sulla carta.
L’importantissima Legge sull’eliminazione della violenza contro le donne del 2009 è applicata in modo disomogeneo e ha determinato solo un limitato numero di condanne. Le ricerche di Amnesty International hanno fatto emergere una mancanza di volontà politica da parte delle autorità afgane, che ha comportato la carenza di fondi e l’assenza di sostegno per gli organi e i funzionari governativi incaricati della protezione delle donne.
Oltre a ciò, il rapporto di Amnesty International evidenzia come la violenza contro le bambine e le donne sia comunemente accettato come un fatto “normale” della vita.
Il rapporto di Amnesty International si conclude con una serie di richieste: la protezione, specialmente per le donne che vivono nelle zone rurali, è fondamentale e dev’essere garantita in modo non discriminatorio; occorrono procedimenti giudiziari, usando le leggi a disposizione; la cultura delle molestie nelle istituzioni pubbliche va stroncata, così come devono essere contrastate le abitudini che favoriscono gli abusi.
“Il governo afgano sta chiudendo gli occhi di fronte alle minacce assai concrete che le donne che difendono i diritti umani stanno subendo. Queste coraggiose persone, molte delle quali svolgono soltanto il loro lavoro, sono un baluardo nei confronti dell’oppressione e della violenza che sono parte integrante della vita quotidiana di milioni di donne in tutto il paese. Il governo deve assicurare che queste donne siano protette, non ignorate” – ha dichiarato Horia Mosadiq, ricercatrice di Amnesty International sull’Afghanistan.
Mentre dal 2001 i governi della comunità internazionale hanno finanziato con milioni di dollari vari progetti per i diritti delle donne, l’approccio complessivo non è stato sufficiente. I progetti hanno privilegiato obiettivi a breve termine e sono stati attuati senza consultare le stesse attiviste per i diritti umani.
Col ritiro delle truppe internazionali giunto quasi alla fine, anche questi precari risultati rischiano di essere annullati.
L’Unione europea, insieme ad altre missioni diplomatiche presenti in Afghanistan, ha recentemente lanciato un programma che, una volta operativo, offrirà misure protettive di emergenza e assicurerà monitoraggio costante sui difensori dei diritti umani. Tuttavia, questa strategia dev’essere ancora testata e resta da vedere quanto avrà successo una volta avviata.
“L’Afghanistan va incontro a un futuro incerto e si trova nel momento più delicato della sua storia recente. Non è questo il momento per i governi della comunità internazionale di fare un passo indietro. Occorre invece continuare e rafforzare l’impegno e il governo afgano, a sua volta, non può proseguire a ignorare i suoi obblighi in materia di diritti umani” – ha concluso Shetty.