Movimenti delle donne: a che punto stiamo?
Era il 1995. A Pechino, oltre 30 mila donne si ritrovarono da tutto il mondo per una Conferenza indetta dall’Onu che ha prodotto il testo politico più rilevante (e tuttora il più consultato) sui diritti femminili: una Piattaforma d’Azione che ha focalizzato 12 “aree critiche” – dai diritti umani all’istruzione, dalla salute ai media, dall’ambiente all’economia – e richiamato tutti i Paesi sulle azioni necessarie per assicurare gli stessi diritti a uomini e donne.A vent’anni da quella pietra miliare, il mondo è profondamente cambiato, ma la parità dei diritti «è ancora lontana dall’essere raggiunta, anche nei Paesi economicamente avanzati, dove per esempio resiste un gap di genere salariale» sottolinea Marina Sangalli, del Gruppo Donne Internazionale della Casa delle Donne di Milano, che sarà fra le relatrici a Milano del convegno internazionale 20 anni dopo Pechino – Le sfide per i movimenti delle donne oggi nel mondo (18 aprile, ore 9.30 – 18.00, Palazzo Marino).
Perché un convegno?Per coinvolgere italiane e donne di molte altre parti del mondo, dai Paesi del Nord Europa al Nord Africa, a un confronto sui problemi ancora aperti, cercando collegamenti e collaborazioni per migliorare la situazione. Ricorrendo i vent’anni della Piattaforma d’Azione di Pechino, le Nazioni Unite hanno stabilito un percorso di valutazione e rilancio degli obiettivi che quel documento conteneva. Sono state indette cinque conferenze regionali che hanno coinvolto molte realtà della società civile. Il lavoro fatto in quei contesti ha offerto una fotografia piuttosto chiara della condizione femminile nel mondo.
La Piattaforma di Pechino è ancora attuale?Più che mai. Gli obiettivi stabiliti a Pechino restano un riferimento universale, piuttosto è necessario richiamare i singoli Paesi alla loro esecuzione, in modo da garantire l’effettività dei diritti alle donne. Poi ci sono macroprocessi molto preoccupanti, che mettono in discussione aspetti fondamentali della vita e della libertà.
Quali sono?Su tutti, la fase di crisi economica mondiale che ha provocato un arretramento delle risorse a disposizione del welfare e una forte disoccupazione: entrambi questi fattori hanno fortemente penalizzato le donne. Oltre a questo, c’è la rinascita dei fondamentalismi, religiosi e non, che si esprimono con una violenta restrizione delle libertà.
Esistono contributi e letture entusiasmanti sull’esperienza di Pechino. Nello spazio di una generazione, l’atmosfera è cambiata, come mai?È vero che non si vive lo stesso clima di entusiasmo e mobilitazione, anche se negli ultimi vent’anni i movimenti femminili hanno grandemente affinato le loro competenze e la capacità di lobbying. La mancanza di nuove leve si avverte in particolare in Europa, dove l’invecchiamento della popolazione riduce la componente giovanile e dove, probabilmente, le ragazze ritengono ormai conquistati e scontati alcuni obiettivi. Ma mai come oggi siamo a rischio di pericolose marce indietro.
In che senso?Anche nel nostro Paese esiste il rischio di un arretramento dei diritti considerati ormai come acquisiti. La crisi economica e la crescente disoccupazione, insieme al venir meno dei servizi sociali all’infanzia costringe sempre più donne a ritornare a casa, assumendo un ruolo tradizionale non per libera scelta ma costrette dalla precarietà economica. In questo caso, è una libertà che viene meno non a causa di un condizionamento culturale, ma a causa dell’impoverimento.
Vent’anni dopo Pechino, si possono cercare alleanze con gli uomini?È fondamentale coinvolgere gli uomini nei percorsi di cambiamento che mirano alla parità. Gli obiettivi devono essere condivisi: non si raggiungono davvero, nella realtà, senza la volontà degli uomini a realizzarli. Basta pensare, ad esempio, al dramma della violenza sulle donne: se non si lavora alla radice, coinvolgendo i maschi in un percorso di riconoscimento e di educazione, non si sconfigge il problema.