Violenza sulle donne: dove sono finiti i fondi dati alle regioni?
Che fine hanno fatto i 16 milioni e mezzo di euro stanziati lo scorso autunno dal governo per contrastare la violenza sulle donne? Come li stanno spendendo le Regioni? Ci siamo posti i quesiti tre mesi fa, in occasione del lancio della campagna “Donne che contano” della ong ActionAid: una piattaforma opendata per indagare sul destino dei fondi antiviolenza e rendere tutti partecipi dei risultati. Ma le risposte ancora mancano.
Entro il 30 marzo le 20 Regioni italiane avrebbero dovuto presentare al governo l’elenco aggiornato delle strutture antiviolenza e delle attività avviate con quei 16,5 milioni. Pare ci siano stati ritardi e così, a oggi, non conosciamo la modalità di spesa delle risorse previste dalla legge sul femminicidio del 2013. A meno di un mese dalle elezioni in 7 Regioni italiane (Puglia, Campania, Toscana, Liguria, Veneto, Marche e Umbria, al voto il 31 maggio), ActionAid ha concluso la prima fase della sua ricerca, quella sulla trasparenza delle amministrazioni regionali, e il quadro che ne deriva è in chiaro-scuro: «La maglia nera spetta a Sicilia, Calabria, Molise, Friuli e alle Province autonome di Trento e Bolzano», spiega Rossana Scaricabarozzi, responsabile del programma per i diritti delle donne di ActionAid Italia. «Queste Regioni non solo non hanno pubblicato online le delibere per la destinazione dei fondi, ma non hanno nemmeno risposto alle nostre richieste di informazioni via email e Twitter».
Combinando vari indicatori, ActionAid ha elaborato un “Indice di trasparenza” che attribuisce un “voto” da zero a 15 alle varie Regioni. Le 6 “maglie nere” hanno totalizzato uno sconfortante zero, e «nessuna ha ricevuto il punteggio massimo di 15», prosegue Scaricabarozzi, «però 4 sono arrivate a 11, le più virtuose: Emilia Romagna, Sardegna, Lazio e Marche, che hanno adottato delibere molto dettagliate, oltre che facilmente consultabili».
Nel dettaglio, ActionAid ha trovato online le delibere di 12 amministrazioni su 21 (il Trentino Alto Adige è stato scorporato nelle due Province autonome); le richieste ufficiali alle altre 9 Regioni hanno ricevuto 5 risposte, ma solo 3 delibere sono state inviate. «Avvieremo una seconda fase della ricerca, per vedere ciò che effettivamente è stato fatto sulla base dei bandi. Tra un anno speriamo di avere le rendicontazioni per valutare l’efficacia, nel concreto, delle azioni intraprese». Per ora il panorama appare caotico. Puglia e Campania, per esempio, si limitano a creare capitoli di entrata e di spesa per poi rinviare ad altri provvedimenti la decisione sull’uso delle risorse. Anche la Liguria rimanda alle Conferenze dei sindaci, mentre la Lombardia è l’unica a ripartire i fondi per aree d’intervento e non su base territoriale, e a citare i consultori pubblici e privati come strutture da coinvolgere, «con il rischio di distribuire fondi a pioggia», osserva l’esperta di ActionAid, «anche a soggetti non specializzati nella prevenzione e nel contrasto della violenza di genere».
Secondo la ong, è il dipartimento per le Pari opportunità della presidenza del Consiglio a dover dare il buon esempio pubblicando online, in un formato aperto a tutti, le informazioni accurate – che ormai dovrebbe aver ricevuto – sul numero e la tipologia di strutture che in Italia beneficiano dei fondi. Ma sul sito non compare nulla. «Stiamo completando il monitoraggio sulle spese delle Regioni, valutando anche la possibilità di metterlo in chiaro», ribatte la consigliera del governo per le Pari Opportunità, Giovanna Martelli, interpellata da Iodonna.it, «ma ora la nostra priorità è il Piano nazionale antiviolenza, che pure deve passare attraverso un’intesa con le Regioni».
Sul piatto ci sono altri 30 milioni di euro previsti proprio per l’attuazione del Piano, obbligatorio per legge secondo la Convenzione di Istanbul che l’Italia ha ratificato nel giugno del 2013: Giovanna Martelli assicura che il Piano entrerà a regime tra maggio e giugno e regolerà i progetti territoriali, la formazione degli operatori, l’inserimento lavorativo delle donne maltrattate più vulnerabili economicamente, oltre a iniziative culturali rivolte a scuole e media. «Finalmente definiremo un sistema di governo rispetto alle politiche contro la violenza sulle donne», spiega Martelli, «e, all’interno di questo, potremo regolare l’utilizzo dei fondi e il controllo puntuale delle azioni, che finora non c’è stato». La trasparenza, secondo la consigliera, conseguirà naturalmente a tutto questo.
«Il successo della campagna “Donne che contano” sarebbe che nessun ente pubblico ci chiedesse più: Perché devo pubblicare queste informazioni online?», conclude Rossana Scaricabarozzi, «e che tutti, Regioni e governo, considerassero la trasparenza come un’assoluta priorità». Ancora per una settimana si può firmare la petizione di ActionAid per vederci più chiaro sull’uso dei fondi antiviolenza, a questo link. Mentre al sito di “Donne che contano” sono consultabili grafici e mappe.