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Sport, decisione storica: le atlete italiane diventano professioniste

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

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Sara Gama, Giorgio Chiellini, Andrea Barzaghi

La giornata dell’11 dicembre 2019 sarà ricordata come quella di una svolta storica: finalmente e concretamente le tante donne che vivono di sport, campionesse e non solo, potranno farlo da “professioniste” e non solo da “dilettanti” come prevede l’unica e obsoleta legge che regola il lavoro nello sport in Italia, datata 1981. Infatti la commissione Bilancio del Senato ha appena approvato l’emendamento alla manovra finanziaria che equipara le donne ai colleghi maschi, estendendo le tutele previste dalla legge sulle prestazioni di lavoro sportivo, e per promuovere il professionismo nello sport femminile introduce un esonero contributivo al 100% per tre anni per le società sportive femminili che stipulano con le atlete contratti di lavoro sportivo.

Non solo le calciatrici

Un passo avanti enorme, per nulla scontato fino a pochi mesi fa, ma che, da oggi in poi, toglie ogni alibi possibile alle società sportive, in primis quelle calcistiche, che sono, economicamente, le più forti. Il grande passo in avanti non riguarda solo il calcio, forte della visibilità ottenuta dai mondiali di Francia 2019, ma tutte le atlete a cui la vecchia legge del 1981 non riconosce il diritto allo status di professioniste. Perché l’emendamento con cui il Governo apre al professionismo femminile non riguarda solo i quattro grandi sport di squadra (calcio, basket, volley e rugby), ma le atlete di tutti gli sport. Lo scivolo fiscale di tre anni è appetibile per le società e adesso sta alle singole federazione dare alle tesserate lo status di professioniste.

Una battaglia etica

«Ormai  in gioco una battaglia etica, morale, che tocca i diritti fondamentali, quelli della Costituizione: chi vive di sport deve avere gli stessi diritti e le stesse tutele degli altri lavoratori e delle altre lavoratrici: ogni categoria lavorativa può avere regole diverse, ma c’è uno zoccolo duro di diritti che non si discute e che, invece, nello sport manca», commenta Maddalena Boffoli, avvocato del lavoro esperta di pari opportunità tra i promotori del convegno “L’importante e pareggiare”, che si è tenuto a Milano il 2 dicembre scorso proprio sul tema del professionismo femminile e a cui hanno partecipato alti dirigenti sportivi, Fieg, Uefa, rappresentanti delle istituzioni e atlete come la capitana della nazionale Sara Gama. «Non ci sono solo grandi campioni famosi, c’è tutto un mondo di atleti e di atlete che aspetta alcune tutele di base: i contributi per la pensione, la maternità, la malattia… il welfare, insomma». Sara Gama, che ha scelto di lasciare la Francia per tornare a giocare in Italia, e che è una delle “sportive simbolo” di questa battaglia di parità ha ricordato di recente che gli unici due anni di contributi versati sono stati quelli in cui ha giocato in Francia. La situazione italiana è diventata ormai un’anomalia insostenibile nel panorama internazionale (basti pensare alla popolarità del calcio femminile in Brasile) e che rischia di provocare una fuga di talenti sportivi italiani verso paesi dove si sentono più tutelati. Calcio in testa.

Il passaggio al professionismo sia sostenibile

«Questa battaglia per la parità nello sport e il provvedimento deciso oggi sarà un grimaldello anche per tutte le altre categorie sportive in cui il professionismo non è riconosciuto né agli uomini né alle donne» prosegue Bolaffi. «Per troppo tempo l’aspetto giuridico dello sport è rimasto ingabbiato in regole obsolete: la classificazione tra professionisti e dilettanti è aberrante e anche quella legge cambierà ma un passo alla volta. Intanto dobbiamo fare in modo che si innesti un circolo virtuoso a vantaggio degli atleti e delle società: tenere viva l’attenzione sul tema, fare in modo che le tv e i media in genere seguano sempre di più, per esempio, le partite di calcio femminile. Aumentando l’interesse (come è successo per i mondiali di Francia), aumenterà il giro di denaro: si faranno più partite, più tornei, arriveranno più sponsor e più ragazze si avvicineranno allo sport. Il cammino verso il professionismo deve essere, insomma, sostenibile dal punto di vista economico altrimenti la nostra battaglia diventa inutile».

Intanto il governo ci mette del suo e lancia un segnale: «gli 11 milioni stanziati nella Finanziaia sono un tesoretto ampio per le coperture economiche necessarie» ha detto Katia Serra, responsabile per il calcio donne dell’Assocalciatori al Corriere della Sera. Ma questo è solo un primo step».

 

 

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