Ma in Italia c’è violenza ostetrica e ginecologica? “Assolutamente no, siamo tra i Paesi più attenti contro questi fenomeni. Ma non si deve arretrare su sicurezza punti nascita”. Intervista a Rizzotti (Fi)
15 DIC - Il tema della violenza ostetrica e ginecologica è tornato alla ribalta dopo la risoluzione (2306/2019) adottata dal Consiglio d’Europa nell’ottobre scorso. In Italia il dibattito era iniziato con un’indagine Doxa del 2017 che aveva denunciato come 2 mamme su 10 avessero subìto un maltrattamento fisico o verbale durante il parto. Un risultato rispedito al mittente dai ginecologi italiani sostenuti anche dagli esiti di una successiva indagine Aogoi, Sigo e Agui che ridimensionava i dati Doxa dimostrando, al contrario, che il 95% delle donne promuoveva i ginecologi e il 90% consigliava lo stesso reparto ad un’amica. Ne abbiamo parlato con la Senatrice Maria Rizzotti - membro della 12ª Commissione permanente Igiene e Sanità, della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere e membro della Delegazione parlamentare italiana presso l’Assemblea del Consiglio d’Europa - che ha detto la sua anche sulla questione di Punti nascita.
Senatrice Rizzotti, come nasce la risoluzione sulla violenza ostetrica e ginecologica del Consiglio d’Europa e qual è il messaggio che deve arrivare ai ginecologi italiani? Iniziamo con l’affermare che l’Italia attraverso la normativa nazionale e la collaborazione tra società scientifiche e le associazioni dei pazienti, risulta tra i Paesi più attenti a questo tema. E le varie indagini condotte condividono il fatto che le donne italiane sono generalmente soddisfatte della loro esperienza in sala parto, anche se l’informazione e il controllo del dolore devono essere migliorati soprattutto in caso di parto “complicato”. Per quanto riguarda nello specifico la mozione approvata dal Consiglio europeo, questa prende le mosse da un Rapporto della Commissione sulla questione dell’aborto forzato e delle sterilizzazioni che, tuttavia, sono assenti dalla proposta di risoluzione, ma sono anche fortunatamente assenti nel nostro Paese. Per comprenderne meglio lo spirito di questa mozione, va ricordato che il Consiglio europeo si occupa non solo degli Stati membri dell’Unione ma anche di molti altri Paesi aderenti, come ad esempio quelli africani, caraibici quindi con caratteristiche diverse dal nostro sistema occidentale. Si interessa, ad ampio spettro, della tutela dei diritti delle persone, che nei nostri Stati sono difesi da anni e anni di cultura universalistica e solidale. Il fatto che la risoluzione metta in luce un aspetto negativo del trattamento verso le donne in ambito ostetrico e ginecologico, non implica quindi necessariamente che questi fenomeni siano presenti in Italia. Certo, può accadere che nel nostro Paese possano esserci comportamenti magari lesivi di determinati diritti della donna, ma sono comportamenti da ascriversi a singoli, come può avvenire nei casi di mala sanità, non certamente ad una prassi consolidata. Inoltre in Italia non è consentito un atto medico senza un consenso informato. Ricordiamo poi che grazie alla grande professionalità del personale la mortalità infantile in Italia è tra le più basse in Europa, inferiore anche a quella della Francia. Insomma, la mozione non mette in discussione la professionalità di una categoria di specialisti che è tra le più esposte in assoluto a rischio professionale. Perché è così difficile riconoscere la violenza ostetrica per le stesse donne che la subiscono? Il concetto di “violenza ostetrica”, soprattutto in Italia, non è molto conosciuto se non per l’azione e le singole campagne di alcuni gruppi femministi e di alcune associazioni di donne; non è certamente né conosciuto né praticato nei nostri ospedali. Può essere definita in modo generico come un insieme di comportamenti che hanno a che fare con la salute riproduttiva e sessuale delle donne, declinata sia nella scelta della maternità che, all’opposto, nel suo rifiuto. Si parla di abuso fisico diretto e verbale, procedure mediche coercitive o non acconsentite (inclusa la sterilizzazione), mancanza di riservatezza, carenza di un consenso realmente informato, rifiuto di offrire un’adeguata terapia per il dolore, gravi violazioni della privacy, rifiuto di ricezione nelle strutture ospedaliere, trascuratezza nell’assistenza al parto con complicazioni altrimenti evitabili che mettono in pericolo la vita della donna.Se alcuni di questi comportamenti si dovessero mai verificare nei nostri ospedali non è da imputare a un concetto di violenza ostetrica, ma a comportamenti scorretti e devono essere segnalati. Insomma, posiamo affermare che nel nostro Paese le donne sono tutelate… In Italia abbiamo già misure legislative atte a garantire che comportamenti intenzionali siano criminalizzati. A cominciare, come ho sottolineato, dal consenso informato che serve proprio ad evitare che una donna venga sottoposta ad un aborto senza il suo consenso preventivo e informato o ad un intervento chirurgico che può l’effetto di interrompere la sua capacità riproduttiva. Ribadisco pertanto che l’Italia grazie a un lavoro congiunto tra istituzioni, professionisti, operatori sanitari, società scientifiche e associazioni dei pazienti, è uno tra i Paesi più attenti a queste tematiche. Ultimamente in molte Regioni si richiedono deroghe alla chiusura dei punti nascita che effettuano meno di 500 parti annui. Su questo punto c’è stata una ferma posizione dei ginecologi, neonatologi e pediatri, secondo i quali tenerli aperti rappresenterebbe un serio rischio per salute di mamme e bambini. Qual è il suo parere? Ogni riforma comprende fasi di programmazione, attuazione e di verifica. Quindi l’idea di fare una profonda riflessione sulla ponderazione dei rischi, nell’interesse primario delle mamme e dei neonati è sempre indispensabile. Il problema dei punti nascita non può né deve sottostare a logiche politiche o di costi economici, ma deve essere affrontato considerando, prima di ogni altro aspetto, la sicurezza delle donne e dei bambini. Per esempio, il reparto di terapia intensiva neonatale, la presenza h24 in guardia attiva dell’intera équipe che comprende le figure professionali di medico ostetrico-ginecologo, ostetrica, neonatologo/pediatra, anestesista, con le necessarie risorse strutturali e strumentali. Il numero di parti/anno per punto nascita è un elemento indispensabile affinché l’équipe abbia la competenza necessaria, che dipende sia dall’esperienza, sia da un programma di formazione professionale continua ed appropriata. Alcuni standard di sicurezza rimangono imprescindibili da qualunque revisione, tuttavia credo che dobbiamo tenere conto della geografia del nostro Paese. Ritengo che sia indispensabile organizzare la medicina del territorio per seguire i percorsi della donna, considerando sempre il tempo e i disagi causati dalle grandi distanze che una donna può dover affrontare per raggiungere un punto nascita. Ester Maragò15 dicembre 2019© Riproduzione riservata
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