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La maternità surrogata: le principali questioni bioetiche

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

di Di Benedetto Matteo, Dott.

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INDICE

La Maternità Surrogata                                                                                              

Questioni Biogiuridiche                                                                                              

Questioni Etiche                                                                                                              

Conclusioni                                                                                                                         

Bibliografia                                                                                                                         

La maternità surrogata

La maternità surrogata (MS), conosciuta anche come gestazione per altri (GPA) o utero in affitto[1], è una tecnica di procreazione assistita in cui una donna, la gestante, porta in grembo un concepito di cui non sarà madre legale. L’espressione indicata viene comunemente utilizzata tanto per il caso in cui la donna gestante mette a disposizione il suo utero dietro corrispettivo, quanto per il caso in cui lo fa a titolo gratuito. Nella maternità surrogata possono essere coinvolte dalle due alle cinque persone. Vi può essere una sola persona, senza partner, che mette a disposizione il proprio seme e ricorre a questa pratica con una donna gestante, utilizzando anche l’ovocita di questa. Vi può essere una coppia uomo-donna che usa il proprio materiale genetico, ovvero quello dell’uomo della coppia e quello della madre gestazionale. Vi può essere una coppia omosessuale composta da due uomini, piuttosto che una composta da due donne. Vi sono cinque persone coinvolte quando sia l’ovocita sia il seme vengono forniti da terzi, l’utero viene messo a disposizione dalla gestante e vi è la coppia che ricorre a tale pratica a cui è destinato il bambino. E’ possibile distinguere tra madre genetica, madre gestazionale e madre sociale, o giuridica, o, ancora, contrattuale. Ancora, il padre genetico e quello sociale possono corrispondere o no. L’espressione maternità surrogata deriva dall’omonimo istituto di diritto civile, la surrogazione, che consiste nella sostituzione del creditore con altra persona[2]; il terzo che paga subentra nelle ragioni del creditore. Ordinariamente l’espressione madre surrogata viene utilizzata al fine di indicare la madre gestazionale[3].

In Italia la maternità surrogata è una pratica penalmente condannata. Infatti, la legge n.40/2004 all’art. 12 comma 6 del capo V dichiara: “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”[4][5].

Anche il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) ha dichiaratamente condannato questa pratica in modo definitivo, quanto meno con riferimento alla maternità surrogata compiuta dietro corrispettivo[6]. Con la mozione intitolata Maternità surrogata a titolo oneroso, datata 18 Marzo 2016, ha ricordato che “il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto”[7] e che “la maternità surrogata è un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione[8]. Il CNB, infatti, ritiene che questa ipotesi di “commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive”, indipendentemente dalla forma del pagamento, sia in “netto contrasto con i principi bioetici fondamentali[9]” che il CNB ha fatto propri.

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Questioni biogiuridiche

I principali problemi biogiuridici sollevati dalla suindicata pratica sono: l’esistenza o meno di un diritto al figlio; la mercificazione del corpo e/o delle sue parti; la donazione del corpo e/o delle sue parti; il possibile conseguente aborto contrattualizzato; l’enforcement contrattuale; la status personale dei soggetti coinvolti; l’applicazione del diritto privato dei contratti alla maternità surrogata.

  1. Si parla di un diritto al figlio, o di un diritto a procreare. Posto che i bambini non sono oggetti di diritto ma soggetti di diritto. Posto che non esiste uno specifico divieto a procreare e che tutti possono liberamente procreare. Si può affermare che il diritto in questione rimanda in via principale alla possibilità di disporre di un essere umano prima del momento della nascita – in questo senso diritto al figlio. Quale è, infatti, l’oggetto del diritto della pratica in esame, se non l’essere umano prima della nascita? Contro chi va fatto valere tale diritto? Il partner? La società? La controparte contrattuale? Le domande sollevate sono molteplici.

1.1. Secondo alcuni, “l’accordo di surrogazione è pertanto un esercizio del diritto alla procreazione da parte di più soggetti, che determina la costituzione di un rapporto parentale riconosciuto dal diritto già in epoca anteriore al concepimento, e benché la paternità sociale non possa essere assunta dai genitori committenti prima del momento della nascita, costoro hanno già con il feto un legame giuridico, formalizzato dal rapporto contrattuale con la madre surrogata”[10]. Si tratterebbe, quindi, della disposizione del legame parentale nascente dalla maternità biologica da parte della gestante, che lo trasferirebbe in forza di un corrispettivo ai genitori committenti. Altro non si tratta se non di una fictio iuris, che necessita di essere superata in forza di una adesione al dato reale. Ciò di cui si dispone, in realtà, è il bambino stesso, ovvero il concepito[11]. Si osserva che il diritto preminente nel rapporto tra genitori e figli non è quello del genitore ad avere un legame parentale col figlio, ma quello del figlio ad avere il rapporto col genitore. In via esemplificativa, in questo senso, si ricorda che l’adozione è un istituto la cui finalità è quella di tutelare i bambini e offrire loro una soluzione a eventuali mancanze da un punto di vista famigliare e genitoriale. Il genitore, quindi, non può disporre di un diritto – del quale peraltro è non solo discutibile, ma esclusa, la reificabilità e disponibilità – che sta in capo al figlio. Il prezzo di questa lettura invertita del rapporto genitore-figlio, de facto, sarebbe la reificazione del figlio, che da soggetto di diritto diverrebbe un oggetto di diritto. A nulla vale l’argomentazione che tale diritto starebbe sì in capo al bambino una volta nato, ma non in capo al concepito.

1.2. Le fasi dello sviluppo del concepito sono diverse. Il feto è l’ultima fase di sviluppo prenatale dell’essere umano, che prima viene chiamato col nome di embrione[12]; se l’embrione è essere umano, a maggior ragione lo è il feto. In questo senso, osserviamo che si può oggettivamente affermare quanto segue: “è un dato empirico che l’embrione non è un oggetto biologico qualsiasi, ma si tratta, sin dal primo istante, di una forma embrionale di vita umana, con patrimonio genetico, dinamiche differenziative, caratteristiche biochimiche e metaboliche che sono quelli propri ed esclusivi della specie umana[13]. Tale embrione non solo è una forma di vita umana, ma è una vita umana individualizzata, unica e con caratteristiche peculiari date dal patrimonio genetico, una firma umana prima mai esistita e che mai si ripeterà. E’ un individuo appartenente alla specie umana, con processi metaboliti autonomi rispetto a quelli materni e con una “intrinseca tensione a giungere alla pienezza maturativa”[14], seguendo un percorso di sviluppo e crescita già scritto e individuato. L’embrione è caratterizzato da quella “qualità fondamentale della vita che è l’autorganizzazione, secondo l’idea che sia da considerarebiologicamente vivo ciò che si autocostruisce, ciò che si automantiene, ciò che è autofinalizzato, che è fine a se stesso e non per altro[15]. Inoltre, risulta necessario specificare che l’essere umano è autorganizzato e autofinalizzato non solo dallo stadio embrionale, ma già da quando è zigote[16]. Vi è chi prova ad argomentare che l’essere umano prima della nascita non sia un essere umano, ma altro. Tuttavia, bisogna osservare che in natura esiste un numero limitato di possibilità: “oggetti inanimati, oggetti animati vegetali, oggetti animati animali e, nell’ambito degli animali, essere identificabili necessariamente con una specie ben precisa”[17]. Essendo pacifico che l’embrione[18] non appartiene al regno degli oggetti inanimati e che non appartiene neanche a quello degli oggetti animati vegetali, rimane l’opzione degli oggetti animati animali. Non è stato in alcun modo dimostrato che esso appartenga ad altra specie, anche perché altrimenti si svilupperebbe in qualcosa di diverso rispetto a un essere umano. Non è stato dimostrato che vi è un cambiamento di specie al momento della nascita. Vi è una perfetta continuità esistenziale e biologica tra l’essere che vive nella gestante e quello che vive al di fuori di essa dopo il parto. Salvo salti logici o negazioni concettuali del fatto, rimane un’unica inevitabile strada da percorrere: “ammettere che il concepito d’uomo è, per l’appunto, un essere umano”[19]. Ciò, quindi, vale per ogni concepito, indipendentemente dalla fase di sviluppo in cui si trova.

1.3. Vi sono situazioni di diritto in cui l’essere umano viene considerato alla stregua di un oggetto, degradando de facto la sua condizione da soggetto a oggetto, come per esempio nel caso dell’aborto; tuttavia, queste costituiscono casi eccezionali e non estendibili per via analogica e, comunque, non è una condizione reificata che viene posta dalla legge, ma che può essere semmai dedotta dall’assetto normativo della fattispecie in questione e a questa circoscritta.

1.4. L’unica via che rimane da percorrere a chi ritiene reificabile l’essere umano – condizione necessaria per avanzare l’esistenza di un ‘diritto al figlio’, poiché il concepito va considerato alla stregua di una res – è quella della separazione del concetto di persona dal concetto di essere umano. Tuttavia, questo implica la discussione e l’adesione a differenti modelli etico-filosofici – i quali comunque implicano differenti conseguenze giuridiche –, non la disputa di questioni giuridiche scientificamente fondate[20].

Vi è poi la questione relativa alla mercificazione del corpo[21] e delle sue parti. Prendendo in considerazione la dimensione gestazionale e mettendo da parte il figlio e i rapporti familiari che lo legano a colei che lo ha concepito, si pone l’attenzione sulla possibilità da parte della madre biologica – quella che porta in grembo il bambino – di vendere la propria capacità gestazionale[22], affittando il proprio utero e, in realtà, di fatto, tutto il proprio corpo e non solo, visto che il periodo di gestazione porta mutamenti non indifferenti nella quotidianità e nell’esistenza della madre, per il lasso di tempo della gestazione. Si sostiene che ciò costituisce una conquista della tecnica, in quanto darebbe maggiore compimento alla capacità di autodeterminazione delle persone. Tuttavia, non si tratta di semplice lavoro svolto che vede giustamente corrisposta una retribuzione, ma di una vera e propria messa a disposizione del proprio corpo, con conseguente compressione della libertà e lesione della dignità della donna[23]. Si va ad alterare e ledere, o esporre al rischio di lesione, l’integrità psico-fisica della donna. Senza scomodare la tecnica, una analoga formula giuridica di compressione della libertà e lesione della dignità delle persone in quanto tali è già stata proposta e conosciuta nella storia del diritto e risponde al nome di schiavitù. A quanti obiettano che la schiavitù era permanente mentre questa forma di compressione della propria libertà e della propria dignità è temporanea, si ricorda che la schiavitù ha conosciuto anche forme temporanee e contrattualizzate[24], con le quali i servitori si impegnavano a servire il padrone per un determinato periodo di tempo e a determinate condizioni, comprimendo le proprie libertà e la propria dignità in maniera del tutto analoga rispetto alla maternità surrogata. Avendo la nostra società progredito fino al punto di abolire la schiavitù, almeno con riferimento a quella occidentale e a quella italiana, una lettura costituzionalmente orientata della normativa vigente e del nostro ordinamento attuale non potrà che favorire coloro che ritengono contrari alla dignità e alle fondamentali libertà di ognuno eventuali tracciati giuridici atti, di fatto, a tornare indietro in questo percorso[25].

La donazione del corpo e delle sue parti, con riferimento all’utero[26], è un’altra questione controversa sollevata dalla maternità surrogata. In particolare, si fa riferimento alla donazione di organi inter vivos[27]. La donazione per essere tale deve essere caratterizzata dalla gratuità e dalla donatività[28], dove con gratuità si intende l’assenza di un corrispettivo e con donatività l’idea del sacrificio personale per il benessere altrui, “di sopportare una diminuzione della propria integrità fisica per tutelare e salvare la vita o l’integrità fisica altrui[29]”. La dimensione della gratuità è ordinariamente assente; anche laddove il pagamento viene proposto sotto la forma di risarcimento o rimborso spese, queste non sono altro che fictio iuris atte a permettere il pagamento di una prestazione che altrimenti non si potrebbe porre in essere o non potrebbe costituire l’oggetto di un contratto. Anche laddove sussista l’elemento della gratuità, si registra l’assenza dell’elemento della donatività. Non vi è una diminuzione della propria integrità – se così si vuole inquadrare lo stato di maternità – in funzione della salvezza o della tutela dell’integrità fisica o della vita altrui, ma solo al fine di soddisfare i desideri di altri. La finalità è solo soddisfare il desiderio di avere figli di persone differenti dalla propria[30]. Nel bilanciamento da porre in essere, ciò non è sufficiente al fine di permettere una tale compressione della dignità della donna. I desideri dei singoli valgono meno del diritto all’integrità fisica della donna e della sua dignità; ciò è e sarà a maggior ragione vero quando in tale bilanciamento verranno valutati anche tutti gli altri diritti che risultano interessati e toccati dall’utilizzo di tale pratica.

Si osserva ora la problematica della possibile clausola di aborto contrattualizzato, la quale, in realtà, si può considerare come rientrante in una questione generale più grande: che fine fa il concepito in esubero o non corrispondente a quello ‘ordinato’? Tale questione è forse inscindibilmente connessa a quella dell’enforcement contrattuale, o esecuzione forzata del contratto. Può succedere che vi sia un figlio in esubero: ho ordinato un bambino ma la gestante aspetta due gemelli. Non ne voglio due ma uno solo. Che fine fa il secondo? Ancora: non solo non voglio il secondo, ma non voglio che vi sia un legame parentale nascosto nel mondo che possa emergere e portare a situazioni incresciose, perché il primo figlio potrebbe addossarmi la responsabilità di averlo separato, magari per lungo tempo, dal gemello. Sarà la gestante, che non voleva avere figli ma solo portarne in grembo per altri, a dover crescere il secondo? Ancora, vi è stato uno scambio di materiale genetico e il concepito in arrivo ha caratteristiche genetiche che non desidero per la mia prole, come per esempio la pelle di colore scuro, avendo noi coppia che ha commissionato il bambino la pelle di colore chiaro, piuttosto che malformazioni genetiche. Non voglio un figlio con sindrome di down piuttosto che altri disturbi o malformazioni. Chi si dovrà fare carico dei figli indesiderati? È possibile prevedere una clausola di aborto obbligato? Ancora, e se fosse la donna gestante a decidere di voler abortire perché non vuole più portare avanti la gravidanza? È possibile portare avanti una esecuzione forzata del contratto, in un senso, obbligare a portare avanti la gravidanza, o nell’altro, forzare l’aborto? È possibile chiedere un risarcimento danni alla parte inadempiente?

4.1. La soluzione tradizionale della prima giurisprudenza in materia, relativa ordinariamente a casi in cui la madre gestazionale decideva di ricorrere all’aborto[31], è che la decisione relativa all’aborto spetta esclusivamente alla donna gestante e che ogni normativa in senso contrario, che prescriva il consenso dei genitori committenti, sia invalida[32]. La stessa posizione è sostenuta in forza di queste ragioni: è la gestante a subire le conseguenze e i pericoli della gravidanza, perché tramite gli accordi di surrogazione essa rinuncerebbe solo ai propri diritti genitoriali e non a quelli sulla propria persona e sul proprio corpo, perché così come la gestante può ordinariamente abortire indipendentemente dal parere contrario del marito e questo non può a lei imporre l’aborto, così i genitori contrattuali non possono né impedirle né obbligarla ad abortire[33]. Si osserva quanto segue con riferimento a questa posizione: la prospettiva adottata è unicamente quella della madre, con riferimento ai suoi diritti genitoriali, ma non vi è alcun riferimento al diritto del figlio, il soggetto più debole del rapporto fattuale, a vivere con i propri genitori. Si dà per assunto che è possibile cedere i diritti genitoriali senza considerare il corrispettivo diritto del figlio. La conseguenza logica di questa impostazione è quella della degradazione del figlio da soggetto a oggetto di diritto; essendo scientificamente dimostrato che si tratta di un essere umano, non si comprende perché non debba godere di eguali diritti e, anzi, essendo la parte debole del rapporto, non si comprende perché i suoi diritti non debbano prevalere, posto che il diritto non ha lo scopo di tutelare unicamente le ragioni di chi è più forte, ma di superare i rapporti di forza naturali in favore del prevalere di chi sta dalla parte del diritto e, storicamente, di tutelare chi individualmente risulterebbe più debole e soccombente in natura o in una società anarchica e senza regole. Ancora, ci si riferisce ai diritti ‘sul proprio corpo’ della gestante, senza considerare che quello al suo interno è a tutti gli effetti il corpo di un altro essere umano. Ancora, può essere fallace l’analogia con la fattispecie ordinaria di aborto, perché lì viene considerata madre la gestante, mentre nella misura in cui questa ceda i propri diritti genitoriali e venga riconosciuta come madre quella contrattuale, allora la madre sarà quest’ultima e, se è la madre in quanto madre a poter decidere, sarà questa a poter esercitare il supposto diritto.

4.2. In senso contrario, vi è chi sostiene quanto segue: nel “caso della […] anomalia del feto, […] ritengo che il potere giuridico di decidere debba essere riconosciuto alle persone committenti, in quanto sono costoro che saranno responsabili per la cura del bambino dopo il parto. Più in particolare, suggerisco che il contenuto del diritto alla privacy – vale a dire l’allocazione del potere decisionale – venga determinato tenendo conto dei rapporti sociali in gioco[34]”. La conseguenza di questa impostazione, è che nel caso in cui i committenti decidessero di ricorrere all’aborto e la surrogante decidesse di non accettarlo, o si apre alla possibilità della esecuzione forzata del contratto[35], o, quantomeno, si evidenzia che la responsabilità del nascituro resterà in capo alla gestante, avendo questa violato il rapporto contrattuale che la lega ai committenti, i quali, tra l’altro, non dovranno corrisponderle quanto pattuito. Non è da escludere, in questo caso, la possibilità di un risarcimento a favore dei committenti, posto che sono configurabili ipotesi in cui uno di questi o entrambi saranno anche i genitori genetici del nascituro. Una impostazione del genere, laddove avallata nella parte relativa alla possibilità di esecuzione forzata del contratto, configurerebbe la maternità surrogata come una vera e propria forma di servitù volontaria, perché per via contrattuale la madre rinuncia ai diritti sul proprio corpo; ciò sarebbe a maggior ragione vero qualora si aderisca all’impostazione che considera configurabile la possibilità di una esecuzione forzata del contratto qualora la donna non accettasse la richiesta di abortire. Inoltre, non può che emergere lampante la riduzione del concepito a mera res, oggetto di diritto. Il diritto alla vita di quest’ultimo non è neanche preso in considerazione e vale meno del diritto dell’acquirente di non dover ritirare e tenere un prodotto con conforme a quello ordinato. Si tratta di pura mercificazione non solo del corpo, ma dell’uomo in quanto tale. A seconda dell’impostazione a cui si aderisce[36] sarà da configurarsi in maniera differente il diritto al risarcimento del danno per inadempimento contrattuale. Se i genitori contrattuali si prenderanno la responsabilità di un bambino che avrebbero voluto vedere abortito, laddove si renda configurabile la possibilità per loro di chiedere per contratto l’aborto, allora la gestante dovrà risarcirli e essi potranno non pagarle quanto dovuto per inadempimento contrattuale; qualora invece si consideri come non configurabile non sarà per loro possibile chiedere il risarcimento né non pagare il corrispettivo[37]. Si dovrà considerare anche l’aborto posto in essere dalla gestante contro la volontà dei genitori contrattuali; se essi non hanno voce in capitolo con riferimento all’aborto potranno solo non pagarle il corrispettivo previsto dal contratto, se invece stava in capo a loro la decisione relativa all’aborto non solo non dovranno pagare il dovuto, ma potranno anche pretendere il risarcimento.

Si pone ancora l’attenzione sulla questione dell’enforcement contrattuale, cioè della possibilità di porre in esecuzione forzata il contratto. Può esservi il caso in cui la gestante non vuole portare avanti la gravidanza, nonostante la volontà contraria dei genitori contrattuali, e il caso in cui la stessa vuole portare avanti la gravidanza, nonostante la volontà contraria di questi. Messa da parte la questione del risarcimento, che sarà più o meno esistente e più o meno rilevante a seconda che sussista o meno il diritto di chiedere l’esecuzione del contratto e a seconda delle disposizioni contrattuali, ci si sofferma sulla possibile esecuzione del contratto in forma specifica, che si sostanzierebbe nel primo caso nell’impedire alla gestante di praticare l’aborto e nel secondo caso nell’obbligarla a sottoporvisi.

5.1. Vi è chi sostiene la prevalenza della volontà dei genitori contrattuali su quella della gestante, poiché l’interesse contrattualizzato di quest’ultima è di breve termine, mentre quello dei primi ha carattere duraturo[38]. Vi è chi sostiene che la possibilità di ricorrere all’esecuzione forzata del contratto sia una garanzia degli interessi e delle risorse economiche di coloro che commissionano il bambino. In questo senso, ispirandosi al principio del favore per la sicurezza degli scambi commerciali, principio cardine anche del nostro codice civile, rassicurando i consumatori circa i rapporti relativi al prodotto in questione, si favorisce la crescita e lo sviluppo del mercato. Questo non è un problema neanche se il prodotto in questione si assestasse, come sta avvenendo, come prodotto di lusso, a discapito delle classi meno agiate, poiché “la società non vieta i contratti per i beni di lusso o i contratti che prevedono l’acquisto di servizi da parte di persone che sono al più basso livello nella scala di reddito[39]”. L’enforcement contrattuale, trova il suo inquadramento e la sua giustificazione, secondo Richard Posner, uno degli autori di riferimento della dottrina anglosassone in materia, da un lato in una lettura economicista del diritto e dall’altro in una visione storicista della vita, tale per cui non bisogna preoccuparsi, perché quello che oggi sembra a noi strano o innaturale, domani sarà accettato dalle prossime generazioni[40].

5.2. Ancora una volta, si sottolinea come la prospettiva di cui sopra parta dell’errata presupposizione di poter trattare esseri umani come fossero oggetti di diritto. L’essere umano concepito, da soggetto di diritto, titolare di diritti, diventa mero oggetto di diritto. Si osserva, inoltre, che si applicano le regole del diritto dei contratti a contratti che hanno come oggetto persone[41]. Vi sarebbe anche la violazione del diritto alla salute delle persone, del quale non possono disporre altri. L’unica via per giustificare tale lettura, sarebbe considerare il diritto della salute della gestante come oggetto implicito del contratto, confermando l’inquadramento proposto del contratto di maternità surrogata come forma di schiavitù temporanea contrattualizzata.

Si osserva ora la questione relativa allo status personale dei soggetti coinvolti. Nella maternità surrogata possono essere coinvolte fino a cinque figure[42]. Il donatore/venditore di gameti maschili, che può o meno coincidere con l’uomo della coppia/il singolo uomo/uno dei due uomini che commissionano il figlio. La donatrice/venditrice di gameti femminili, che può o meno coincidere con la gestante, o con la donna della coppia/la singola donna/una delle due donne che commissionano il figlio, o può essere una donna terza. La gestante, i cui ovuli possono o meno essere utilizzati. Il o i genitori contrattuali, che possono coincidere o non coincidere con i genitori genetici, cioè coloro a cui appartengono i gameti utilizzati. Possono, quindi, essere integrate non solo la pratica della maternità surrogata, ma anche quella della fecondazione eterologa e quella delle selezione eugenetica. Chi è il genitore del nascituro? Il genitore contrattuale? Il genitore genetico? La gestante? Si dovrà seguire il criterio del favor legis, cioè “quello per cui saranno la legge o il contratto a stabilire i ruoli genitoriali prescindendo da ogni legame biologico, affettivo ed esistenziale[43]”, o si dovrà seguire il criterio del favor veritatis, per cui è necessario tenere conto dei legami biologici ed esistenziali?

6.1. In una prospettiva di sicurezza dei rapporti giuridici e dei rapporti commerciali, in linea coi principi ispiratori del codice civile di favore per il mercato e la circolazione dei beni, non si può che optare per il favor legis, e, quindi, per la prevalenza dei rapporti contrattuali. Aderendo a questa prospettiva, si osserva che potranno essere indicati come genitori sull’atto di nascita dei bambini anche due persone appartenenti allo stesso sesso – come effettivamente avviene, ad esempio, in Canada. In ogni caso, anche aderendo a questa prospettiva, restano da sciogliere i nodi, già parzialmente analizzati, relativi all’applicazione della disciplina dei contratti alla maternità surrogata.

6.2. Si osserva, tuttavia, che la legge e le discipline giuridiche in generale non possono slegarsi totalmente dalla realtà e dalla verità per divenire completamente autoreferenziali. L’autoreferenzialismo giuridico, come osservato durante il Processo di Norimberga, avrebbe giustificato anche le azioni di coloro che avevano agito conformemente alla legge, nel porre in essere lo sterminio degli ebrei, seguendo gli ordini di Hitler. Non è possibile disinteressarsi non solo dell’etica, ma anche della realtà, abbracciando il relativismo. Inoltre, in questo caso, si sta andando oltre: non solo si ritiene di poter non tenere conto del dato reale, ma anche di poterlo sovvertire con lo strumento del diritto. Strutturare il diritto ancorando lo stesso alla realtà – e senza disinteressarsi dell’etica – è una condizione necessaria per far sì che gli errori del passato non si ripetano. Il dato reale, biologico, non può non essere considerato. Non fare questo, inoltre, andrebbe a detrimento anche dei figli e dei loro diritti, rendendoli di fatto oggetto di sperimentazione sociale[44]. Mentre individuare il padre biologico risulta più semplice, perché è sufficiente conoscere l’identità di colui che ha donato/venduto il gamete maschile, non altrettanto può dirsi per la madre. Vi è una madre genetica e una madre gestazionale, che può considerarsi comunque biologica perché è scientificamente dimostrato che vi è uno scambio di materiale biologico durante la gravidanza tra la gestante e il figlio, nonché un’influenza del rapporto gestante-concepito durante la vita intrauterina sullo sviluppo psichico della persona[45]. Nonostante vi sia giurisprudenza che abbia optato per il riconoscimento della madre gestazionale come madre naturale[46], è preferibile considerare come madre naturale la madre genetica, poiché è il DNA che definisce la persona nei suoi tratta caratteristici e irripetibili e la rendono quindi un individuo unico. É il DNA che dice a una persona da dove viene e il DNA di una persona viene dall’intreccio di quelli dei genitori. I genitori, quindi, in questa ottica, sono coloro il cui DNA forma quello del figlio e sono, quindi, quelli genetici[47]. In ogni caso, ciò a cui si va incontro è una frammentazione delle figure genitoriali, in particolar modo di quella materna, che rischierà di andare a detrimento degli esseri umani che nasceranno dall’utilizzo di tali pratiche[48].

Un anello di congiunzione tra le problematiche sollevate è quello della volontà di applicare il diritto dei contratti alla maternità surrogata[49]. Vi sono diverse domande che ricevono inquietanti risposte, così come sopra abbondantemente indicato, laddove si accetti di applicare il diritto dei contratti alla maternità surrogata, fattispecie sociale che coinvolge il diritto alla salute, il diritto di famiglia e non solo. È reificabile la genitorialità? È reificabile il diritto del figlio a crescere, se possibile, coi genitori naturali e a crescere con un padre e una madre? È reificabile il corpo della donna? È abortibile un essere umano perché di troppo o perché non conforme a quanto ordinato per contratto? È evidente, come indicato in precedenza, che il presupposto da accettare per articolare risposte positive alle domande indicate è accettare la reificazione dell’essere umano, tanto della madre quanto del concepito. L’essere umano, nella sua fase prenatale, va ridotto da soggetto di diritto a oggetto di diritto. Laddove non si ritiene che questo sia possibile, la risposta relativa alla praticabilità della maternità surrogata e alle domande di cui sopra sarà negativa.

Questioni etiche

Oltre alle questioni precedentemente evidenziate, che hanno chiaramente anche una dimensione etica ma delle quali abbiamo voluto fortemente sottolineare la dimensione giuridica, ve ne sono altre, conseguenti, collegate o complementari, sempre di carattere etico, su cui ora poniamo l’attenzione: la negazione della personalità dell’essere umano nel grembo materno; la strumentalizzazione della donna; l’equiparazione tra desiderio e diritto e tra tecnicamente possibile e lecito; la negazione dell’identità biologica e storica al bambino; il rischio di ‘programmare’ bambini orfani di madre o padre.

Come detto, non è scientificamente possibile affermare che l’essere umano nel grembo materno non sia tale, ma sia altro, un essere vivente non umano. La strada logicamente percorribile al fine di giustificare razionalmente e giuridicamente la riduzione a oggetto di diritto di tale essere umano, è scindere l’essere vivente dalla persona, cioè affermare che è sì essere umano, ma non è persona. Se non è ancora una persona, nella sua individualità, allora potrà non essere pienamente soggetto di diritto e quindi non godere di tutti i diritti di cui gode ogni altra persona[50]. Il passaggio da umano in senso biologico a persona, o umano in senso ontologico, è per l’appunto un passaggio dal piano empirico al piano ontologico. In pratica, stabilendo cosa sia una persona e chi merita quindi il rispetto e i diritti dovuti a una persona, si potrà stabilire se l’essere umano nel grembo materno gode o meno di questo status. Vi sono diverse posizioni bioetiche rispetto a tale questione[51].

1.1. Secondo l’impostazione sensista la categoria di persona in quanto tale è priva di significato. Il parametro di riferimento per valutare un essere umano come degno di rispetto e tutela, posta questa vacuità di significato della persona, diviene ciò che è percepibile e apprezzabile, ed è individuato nella possibilità di sentire piacere e/o dolore[52]. Posto che la “sensibilità consapevole richiede l’esistenza del sistema nervoso centrale, i fautori di questa posizione” negano alcuni diritti al concepito, in quanto non ancora provvisti del sistema nervoso centrale, ma garantiscono gli stessi ad alcuni animali adulti, in quanto senzienti[53].

1.2. Secondo l’impostazione antinaturalista, il dato biologico non è rilevante al fine di definire lo status ontologico del concepito e, quindi, non bisogna ancorare il dato etico a quello empirico. Si dà rilievo ai ‘significati esistenziali’ che vengono dati dalle persone ai fenomeni del quotidiano vivere, che sono per definizione culturali, frutto della prassi umana nata dal contatto coi fenomeni naturali e dell’interpretazione degli stessi. Vi è chi ritiene che “il significato, la sostanza e la consumazione della vita personale siano fondati nella dimensione e misura delle relazioni umane, per cui ha valore solo la vita almeno potenzialmente aperta alle relazioni interumane. All’embrione manca quella dimensione culturale e interpretativa che può renderlo persona in questo senso. Vi è chi definisce la persona un essere bioculturale, in quanto tale inscindibile dal rapporto sociale. In questo, l’embrione può considerarsi come manchevole rispetto a quel dato ineludibilmente fondamentale di carattere culturale e relazionale[54].

1.3. Secondo l’impostazione funzionalista, la persona è tale in forza di ‘signa personae’, funzioni e operazioni ritenute qualificanti in tal senso. Tale prospettiva sgancia la personalità dell’essere dalla sostanza per ancorarlo a qualità operative qualificanti, come pensiero, coscienza, relazione e libertà. Altri ritengono caratteristiche qualificanti l’autocoscienza, l’autonomia, la razionalità e il possesso di senso morale. In questa ottica, “scompare l’io soggettivo” in quanto “nucleo ontologico radicale, centro di esistenza, libertà e vita”, e lo stesso viene definitivo, delineato e certificato dalle stesse funzioni che riesce a svolgere[55]. Questa chiave di lettura definisce la persona in forza della presenza di capacità autoriflessive e da un minimo di senso morale e su tale definizione fonda la distinzione tra persona e non persona. Si osserva che la conseguenza di tale impostazione è che embrioni, idioti e pazienti in coma irreversibile non sono persone[56]. Nell’ambito di questa impostazione, vi è chi sostiene che come vi è una continua gradualità nello sviluppo degli stati psichici di un essere umano, così vi è una gradualità nell’acquisizione da parte di questo di diritti e dello status di persona[57].

1.4. Si pone ora l’attenzione sull’impostazione personalista. Il personalismo, posta la dimensione oggettiva e biologica dell’uomo, ritiene che questa sia un tutt’uno inscindibile con l’essere persona, l’uomo in senso ontologico. L’uomo biologico, essere umano, e l’uomo ontologico, persona, sono due aspetti dell’uomo. L’essenza dell’uomo in quanto persona “è coestensivo, nella sua vicenda terrena, all’intera storia del suo organismo vitale, dal primo istante della fecondazione fino alla morte[58][59]”.

1.5. Vi è chi critica all’impostazione personalista di passare dal piano empirico della scienza al piano filosofico, a cui appartiene un discorso in chiave ontologica come  quello ora indicato. Si sottolinea come tale osservazione valga anche per ogni altra impostazione. Il piano bioetico va oltre il mero dato scientifico, proponendone una lettura di senso. Ciò vale anche per ogni impostazione che vuole distinguere il concetto di persona da quello di essere umano per giustificare pratiche che altrimenti non potrebbero trovare legittimazione sul piano giuridico. Per trovare tale legittimazione, infatti, è necessario fondare la legge su una valutazione che va oltre al mero dato scientifico, ma che offre di questo una interpretazione in chiave sostanziale. Laddove è possibile fare questo tipo di operazione, non si comprende perché vada escluso aprioristicamente il personalismo ontologico in favore di altre impostazioni. Si può dire senza temuta di smentita che vi sono “svariati indizi delle scienze biologiche, sull’individualità e l’autonomia dell’embrione sin dai primi stadi di sviluppo”, che “sono più in armonia con l’opinione di chi ammette l’umanità (la personalità, ndr) dell’embrione[60]”.

1.6. I sensisti scelgono aprioristicamente un parametro preminente di valutazione relativo a caratteristiche dell’essere umano – scegliendo arbitrariamente anche con quale gradualità e/o in quale misura queste devono essere presenti nello specifico essere umano in questione – per distinguere questo dal concetto di persona. La scelta del parametro è arbitraria e la correttezza dell’esclusione di ulteriori possibilità ontologiche/sostanziali/filosofiche indimostrata.

1.7. L’antinaturalismo pone la relazione con l’altro come chiave del dato culturale e sociale imprescindibile per ascrivere il singolo essere umano alla categoria di persona. Eppure, chi afferma questo sostenendo che il concepito non è tale poiché privo di relazioni, è dimentico del fatto che l’individualità biologica di questo è essa stessa prova che è un altro distinto da me, dalla madre, da ogni altro individuo e, in quanto tale, è un essere umano in relazione con me, che mi pongo in relazione con lui nel considerarlo nella sua individualità, è oggettivamente in relazione con la madre, come la scienza ha ampiamente dimostrato, sia attraverso interazioni interpersonali[61] sia attraverso lo scambio di materiale biologico con la stessa, è in relazione con chi lo considera nella sua individualità. È anche scientificamente essere umano. In quanto essere umano in relazione, dunque, è anche persona, secondo tale impostazione. Negare tali forme di relazione per individuare come qualificante solo un determinato tipo di relazione, ridurrebbe l’antinaturalismo a una sorta di sensismo culturale. Così come il sensismo sceglie arbitrariamente una caratteristiche per discriminare tra essere umani persona ed esseri umani non persona, così l’antinaturalismo farebbe lo stesso con un determinato tipo di relazione.

1.8. Il funzionalismo, oltre a proporre arbitrarie valutazioni circa la dimensione sostanziale ulteriore rispetto a ciò che è esperibile, confonde il piano dell’essere col piano dell’agire, sostituendo il primo col secondo. Così facendo, il soggetto viene frammentato in una sommatoria di atti e operazione, privi di un soggetto a cui riferirli, perché è il loro stesso insieme a costituire quest’ultimo; esse, tuttavia, non hanno un soggetto indipendente dalle azioni, una persona, di riferimento. L’ente in quanto tale è distinto dalle sue azioni e queste necessitano di un ente preesistente rispetto a esse a cui riferirle. Questa logica e necessaria preesistenza dell’essere rispetto all’azione viene a mancare nel funzionalismo, nel quale di conseguenza si viene a creare un cortocircuito logico difficilmente superabile.

1.9. In ogni caso, si osserva che per espungere il concepito dalla categoria delle persone è necessario dichiarare che le sue condizioni non sono sufficienti in tal senso. Il concepito non prova dolore, il concepito non è in relazione/non ha relazioni, il concepito non ha determinate funzioni. Tuttavia, anche nella categoria dei nati vi sono individui che risultano di volta in volta manchevoli rispetto a uno o più delle impostazioni indicate e dei relativi parametri e che, quindi, possono risultare come non persone secondo uno o più di questi: “neonati, adulti cerebrolesi, malati di mente, pazzi criminali pericolosi, handicappati di vario genere, anziani colpiti dall’Alzheimer, uomini vittime di ictus[62]”. Allora anche costoro possono essere definiti come non persone, a seconda dell’impostazione adottata? È prudente anche solo l’idea di poter optare per uno dei sistemi indicati, con la conseguenza di escludere alcuni individui dalla categoria di persone e negare così loro, insieme alla pienezza della personalità, i relativi diritti e le conseguenti tutele? Non è forse più saggio, seguendo l’argomento del dubbio, tutelare tutti come fossero persone? Infatti, posta una certezza biologica e posta una ipotetica[63] incertezza di carattere filosofico-ontologico, la posizione più logica è quella di agire come se tutti gli esseri umani fossero persone, o, comunque, aderire alla posizione più prudente. Come si può, nel dubbio che un essere umano sia o non sia persona, procedere in una degradazione a res e alla parificazione a un oggetto di cui si può disporre o, comunque, privarlo dei suoi diritti? Nel dubbio, ogni essere umano va trattato come persona, altrimenti si rischia di disporre di una persona come di un oggetto, qualora in realtà ogni essere umano sia persona, senza saperlo[64]. La posizione più prudente è agire come se ogni essere umano fosse persona, perché potrebbe esserlo.

Si osserva ora la questione relativa alla strumentalizzazione della donna. Nella misura in cui una persona viene reificata, la sua dignità intrinseca viene lesa. Nella maternità surrogata la donna diviene strumento riproduttivo utile a soddisfare i desideri di altri. Diviene una vera e propria incubatrice. La donna, in quanto tale posta sul piano del meretricio, viene ridotta alle sue funzioni riproduttive, al suo utero. il suo ruolo materno, ben più ampio e complesso e consistente anche nella instaurazione del legame col concepito, prima e dopo la nascita, viene mutilato e ridotto alla dimensione riproduttiva. Ciò è a maggiore vero quando la maternità surrogata viene fatta dietro corrispettivo, poiché la donna, con le sue capacità riproduttive, diviene pienamente merce in vendita[65]. La persona, in quanto soggetto e non oggetto di diritto, non può avere un prezzo, né in ogni caso essere reificata. Tutto ciò rimane vero anche qualora si opponga a tali argomenti quello dell’autodeterminazione e della libertà della donna di disporre del proprio corpo, anche perché come vedremo e come già visto, non è lei l’unico essere umano implicato in tale pratica, ma vi è anche il concepito, che non può essere reificato, con i suoi diritti, che non sono disponibili e a maggior ragione non lo sono per persone diverse da lui. Non può la madre disporre dei diritti del figlio. La persona e la dignità umana non posso essere subordinate al capitale. L’essere umano non può essere ridotto alle sue pulsioni o ai suoi desideri e questi non possono prevalere sui diritti di soggetti differenti. L’uomo non può divenire strumento di soddisfazione dei desideri e dei sottostanti interessi economici.

Questa riflessione ci porta direttamente alla questione successiva, la legalizzazione dei desideri come diritti e la coincidenza o meno tra tecnicamente possibile e lecito. Il noto giurista Piero Calamandrei scriveva: “C’è il caso che l’inesperto e il dilettante (che è anche peggiore) di filosofia, si metta a proclamare che il diritto consiste unicamente nel far tutti quanti il comodo proprio[66]. Desiderio non coincide con diritto. Possibile non vuol dire lecito. Non tutto ciò che è realizzabile con la tecnica è in quanto tale lecito[67]. Si dirà che, secondo il principio dell’autodeterminazione e della libertà in quanto possibilità di fare ciò che si vuole, è lecito fare ciò che si vuole fintantoché non si ledono i diritti di altri e, quindi, ciò che è tecnicamente possibile è lecito nella misura in cui rispetta tale principio. Eppure, anche secondo questa prospettiva, che comunque non è condivisa né approvata da chi scrive, la maternità surrogata è una pratica da osservare con attenzione e non necessariamente approvare; si è visto come risultano coinvolti anche i diritti di altri, sicuramente quelli del concepito. Vi sono limiti intrinseci alla natura dell’uomo in quanto tale, già abbondantemente approfonditi dalla dottrina giuridica, filosofica e politica del secolo scorso[68], che è bene tenere presenti e non scordarsi, anche se il prezzo da pagare è non assecondare ogni desiderio e non rendere lecito tutto ciò che è tecnicamente possibile. Nonostante vi sia chi sostiene che non siamo altro che soggetti di desiderio[69] e che dire altrimenti significa fondare il proprio ragionamento su basi non oggettive o scientificamente provabili, si sottolinea che la medesima osservazione è valida per coloro che riducono l’uomo a un fascio di pulsioni e desideri, decidendo aprioristicamente di escludere ogni dimensione e ogni concetto che va oltre a ciò che è immediatamente esperibile. Si contrappone, infatti, il pensiero di chi afferma che ‘persona’ “non è una categoria biologica o psicologica, ma una categoria etica e spirituale[70]”.

Vi è poi la questione relativa al diritto dei bambini – e delle persone – a conoscere la propria identità biologica e storica[71]. Le ragioni sono di ordine sanitario e psicologico. Conoscere le proprie origini biologiche è rilevante per conoscere la possibile presenza di malattie ereditabili o comunicabili, la predisposizione a determinate malattie, nonché ogni altro aspetto legato all’ereditarietà genetica. Ancora, è importante conoscere le proprie origini al fine di evitare incesti e le possibili conseguenti nascite di bambini con malformazione genetiche e gravi malattie. Sotto il profilo psicologico, conoscere i propri genitori biologici è un passaggio rilevante nella costruzione dell’identità personale di ogni individuo[72]. Tale questione si intreccia con profili relativi alla normativa sulla privacy e alla disciplina relativa alle donazioni/vendite di materiale genetico dei singoli paesi. Ordinariamente prevale una normativa che consente ai donatori di mantenere l’anonimato[73]. Da un lato, la protezione dell’identità di chi è disposto a donare garantisce che vi siano più persone disposte a farlo e, quindi, si raccolgano più gameti e, teoricamente, si aiutino più persone – visto che la ratio della tecnica è quella di aiutare coloro che non riescono naturalmente ad avere figli. Dall’altro lato, tuttavia, vi è il rischio di potenziali danni alla salute e alla psiche di coloro ai quali è negata la possibilità di conoscere la propria identità biologica. Si osserva che la scelta di optare per la prevalenza del diritto alla privacy dei donatori, in luogo del diritto a conoscere le proprie radici di coloro che nascono con tecniche di fecondazione eterologa, sembra rispondere maggiormente a logiche di mercato, di favore della circolazione dei beni e del commercio. Quello dei gameti, infatti, è un vero e proprio mercato, posto anche che i donatori, nonostante siano chiamati in questo modo, ricevono ordinariamente un corrispettivo in forza della loro donazione. Far prevalere il diritto delle persone a conoscere le loro origini, invece che il diritto alla privacy dei donatori, costituirebbe un freno per questi ultimi e potrebbe portare a una diminuzione importante del giro di affari che si muove intorno a queste pratiche. Nel bilanciamento di cui sopra, vi è chi sottolinea un altro elemento, che assume particolare rilevanza in materia di anonimato con riferimento a quello assicurato alle donne che danno in adozioni i figli dopo il parto e sarebbe da considerare anche in materia di anonimato dei donatori di materiale genetico: l’anonimato della madre permette che vi siano donne che, in luogo dell’aborto, scelgano di portare a termine la gravidanza e dare in adozione il figlio. Tuttavia, si osserva che nulla vieta di mantenere l’anonimato in materia di adozione al fine di favorire la salvaguardia della vita dei concepiti e attenuarlo o farlo venire meno in materia di fecondazione eterologa e/o maternità surrogata. Si tratta, infatti, di situazioni differenti, poiché nell’adozione si può considerare come prevalente il diritto alla vita del concepito, potenzialmente messo a rischio dal venire meno del diritto all’anonimato della gestante, rispetto al diritto della persona di conoscere le proprie origini, in virtù di un generale favor vitae, considerando la vita come bene e diritto primario e, anzi, originario e preordinato rispetto a ogni altro diritto. In materia di fecondazione eterologa e MS, invece, non vi è questa potenziale messa a rischio della vita del concepito a controbilanciare e, anzi, prevalere rispetto al diritto a conoscere le proprie origini della persona e, quindi, sarebbe possibile considerare questo prevalente nel raffronto col diritto all’anonimato del donatore e della madre gestazionale, anche in forza della funzione del diritto come difesa dei più deboli, che nel caso di specie non sono individuati nei donatori di materiale genetico ma in coloro che, sin da bambini, si ritrovano con questo vulnus conoscitivo rispetto alle proprie origini. In ogni caso, per disciplinare e porre in essere valutazioni più complete circa tale questione in relazione alla maternità surrogata, può risultare comunque utile considerare tanto gli aspetti ordinariamente sottolineati con riferimento all’adozione, quanto gli aspetti ordinariamente sottolineati in materia di fecondazione eterologa – e, quindi, di donazione di materiale genetico – poiché la MS può considerarsi collegata a entrambe tali pratiche.

Si pone ora l’attenzione su un’ultima questione, anch’essa correlata ad altre fattispecie, come la fecondazione eterologa, cioè il rischio di programmare bambini orfani di madre o padre o, ancora, senza la possibilità di crescere con i genitori naturali. Con la maternità surrogata nasce un bambino che ordinariamente viene separato da almeno una delle due figure genitoriali naturali[74]. Può esservi il caso in cui viene diviso da entrambi i genitori naturali. Può esservi il caso in cui viene separato da una delle due figure genitoriali di riferimento, o il padre o la madre, quando alla suddetta tecnica fanno ricorso coppie omosessuali o singoli individui che vogliono un figlio. Negare in maniera voluta e programmata a un essere umano la possibilità di crescere coi propri genitori naturali o, addirittura, senza il padre o la madre, significa programmare orfani. Infliggere volutamente potenziali ferite a delle persone significa ledere un loro diritto. Vi sono situazioni in cui il bambino è costretto a crescere senza il padre o la madre o senza i genitori naturali, situazioni a cui si cerca di porre rimedio con strumenti come l’adozione. Situazioni in cui, comunque, il bambino può crescere psicologicamente sano. Tuttavia, è oggettivo che sono elementi di difficoltà, fattori di rischio rispetto a un fisiologico e indisturbato sviluppo della persona, considerata nella sua interezza. Posto che, nonostante quanto venga proclamato in sedi anche scientifiche, non è dimostrata l’indifferenza delle figure genitoriali e il fatto che per un sano ed equilibrato sviluppo delle persone non servano padre e madre, agire come se così fosse significa fare sperimentazione sociale sui bambini. Di fronte a mere ipotesi scientifiche, l’atteggiamento migliore è quello della prudenza e, quindi, di evitare la sperimentazione sociale sui bambini e garantire a essi il miglior ambiente di sviluppo e crescita possibile, anche in forza dei dati certi che si hanno. Prima di aprire strade in altro senso, sarebbe opportuno raccogliere dati in maniera scientifica, secondo metodologie corrette e con sperimentazioni lunghe ed esaurienti[75].

Conclusioni

La maternità surrogata è una pratica complessa e articolata, tanto sotto il profilo scientifico, quanto sotto il profilo umano e sociale. Può presentarsi in modi differenti, con un numero variabile di figure genitoriali coinvolte, con una conseguente frammentazione dei tradizionali e naturali concetti di padre e madre, in particolar modo di quest’ultimo. Le questioni bioetiche a essa collegate sono molteplici e coinvolgono un numero variabile di soggetti. Tanto nella società considerata nella sua generalità, quanto nella dottrina filosofica, giuridica o bioetica, è ordinario trovare chiavi di lettura di tale argomento che si esauriscano nell’analisi della prospettiva della donna gestante e sottolineano primariamente la possibilità di autodeterminazione e piena libertà che deriverebbe da questa tecnica. Una diffusa lettura economicista del diritto, dei rapporti umani e della società nel suo complesso, inoltre, favorisce la prospettiva dei genitori sociali, o contrattuali, che attraverso questo mezzo possono realizzare il loro desiderio di genitorialità. A tali letture, viene contrapposta la questione della dignità della donna lesa, nonché dell’indisponibilità del diritto alla salute e della libertà di quest’ultima, della non reificabilità della gestante. Il contributo che si vuole portare con questo scritto, come si evince dagli argomenti apportati e dalle questioni maggiormente analizzate, è quello di rimettere al centro della discussione anche i bambini, già dal momento del concepimento. Essi, da oggetto di diritto, devono tornare soggetti di diritto. Il concepito non può essere considerato una res. Con l’utilizzo di questa tecnica vi è il fondato rischio di ledere, sotto molteplici aspetti, i diritti dei più deboli, degli indifesi, di coloro che non possono parlare in propria difesa, dei bambini, fin dal momento del concepimento. Si vuole favorire un ribaltamento di prospettiva, il bambino non come oggetto, ma come soggetto di diritto. Così facendo, si vuole aggiungere un tassello dirimente per una più approfondita analisi e un più completo studio bioetico della maternità surrogata.

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Corte Suprema del New Jersey, Caso Baby M [https://law.justia.com/cases/new-jersey/supreme-court/1988/109-n-j-396-1.html]

Corte Suprema della California, Caso Johnson v. Carter [https://law.justia.com/cases/california/supreme-court/4th/5/84.html]

Altre fonti

https://www.avvenire.it

[1] Con affitto dell’utero nel linguaggio comune vengono indicati anche i casi in cui, in effetti, manca un corrispettivo, la cd. gestazione surrogata altruistica, a titolo gratuito. In questa sede, in ogni caso, si utilizzerà l’espressione maternità surrogata al fine di indicare tanto le situazioni in cui vi è un corrispettivo, quanto quelle in cui non vi è. Inoltre, con essa si vogliono indicare tanto i casi in cui vengono utilizzati gli ovociti della madre gestazionale, o gestante, tanto quelli in cui vengono utilizzati gli ovociti della madre contrattuale, che coinciderà quindi con quella genetica, o di una donna terza. Vi è chi distingue tra madre gestazionale e madre surrogata tradizionale individuando nella prima la donna della quale viene utilizzato l’utero ma non gli ovociti e nella seconda la donna di cui vengono utilizzati sia gli ovociti sia l’utero. Si veda, per esempio, M. P. Faggioni, La Maternità surrogata, in E. Sgreccia, A. Tarantino dir., Enciclopedia di Bioetica e Scienza Giuridica, vol. VIII, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli-Roma, 2015, pp.251-266.

[2] Per un approfondimento si veda A. Torrente, Manuale di diritto privato, Giuffrè Editore, Milano, 2017, pp. 439-441.

[3] Con questa accezione verrà utilizzata questa espressione nel presente testo. Vi è chi contesta tale utilizzo, sottolineando come non sia surrogata la madre gestazionale, che è ‘debitrice’ di un bambino, ma la madre contrattuale, che è ‘debitrice’ di una somma; vedi in questo senso A. R. Vitale, Escursioni biogiuridiche in tema di maternità surrogata, in Medicina e Morale, n.2/2016, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2016, pp. 167-186 [reperibile al seguente indirizzo: https://www.medicinaemorale.it/i.phpndex/mem/article/view/433]. In ogni caso, anche al fine di evitare confusioni lessicali, l’espressione verrà utilizzata come indicato. Vi è anche chi sostiene che la qualificazione nei sensi sopra indicati sono fallaci, in quanto la madre surrogata altro non sarebbe che la parte di un contratto non di affitto, o di procura, ma d’opera, “nell’ambito di quegli atti di disposizione del proprio corpo per i quali si consente che venga utilizzato a vantaggio d’altri” – vedi A. Vesto, La Maternità surrogata: Cassazione e Cedu a confronto, in Famiglia e diritto, n.3/2015, IPSOA, 2015, pp.306-312.

[4] Cfr. legge n.40/2004, capo V, art. 12, comma 6.

[5] Nonostante questo, la giurisprudenza, che ha avuto e sta avendo un graduale processo evolutivo intorno a questa delicata materia, ha di fatto lasciato aperta la finestra della maternità surrogata praticata all’estero.

[6] Il CNB, infatti, si è riservato di trattare il tema della maternità surrogata senza corrispettivo in uno specifico documento a questa dedicato.

[7] Cfr. Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, 1997, art. 21 e Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, o Carta di Nizza, 2000, art. 3.

[8] Cfr. Comitato Nazionale per la Bioetica, mozione Maternità surrogata a titolo oneroso, 18 Marzo 2016. Il testo del parere è reperibile al seguendo indirizzo: http://bioetica.governo.it/media/1408/m17_2016_surroga_materna_it.pdf.

[9] Ibidem. Si osserva, inoltre, che allegato alla citata mozione è possibile trovare la dissenting opinion del prof. Carlo Flamigni, il quale vede nella maternità surrogata uno “strumento di autodeterminazione, non solo per i genitori che la commissionano, ma anche per le donne che volontariamente acconsentono al dono, o alla vendita, della loro capacità generativa”. Ancora, in allegato al citato documento è possibile trovare una analoga dissenting opinion a firma di Cinzia Caporale, Demetrio Neri e Grazia Zuffi.

[10] C. Shalev, Nascere per contratto, Giuffrè Editore, Milano, 1992, p. 139.

[11] Ciò vale tanto nel caso della maternità surrogata dietro corrispettivo, nel quale l’essere umano viene venduto, quanto nel caso della maternità surrogata altruistica, nel quale l’essere umano viene donato. In entrambi i casi, infatti, si procede a una reificazione del concepito.

[12] Durante le prime otto settimane di vita l’essere umano viene definito embrione (prima ancora di divenire embrione, nelle prime settimane di vita è detto zigote). Successivamente viene definito feto. Per un approfondimento in questo senso vedi Maurizio Pietro Faggioni, La vita nelle nostre mani. Manuale di bioetica teologica, quarta edizione, Edizioni Dehoniane Bologna,  Bologna, 2016, pp. 261-271.

[13] M. P. Faggioni, op. cit., p.274.

[14] Ibidem.

[15] Ibidem. Analogamente, il Comitato Nazionale per la Bioetica afferma: “già al primo stadio dello sviluppo embrionale sono presenti tutte le informazioni genetiche in grado di portare a termine il programma di sviluppo della persona; tale programma di sviluppo è caratterizzato da tre proprietà biologiche importanti: la coordinazione dei vari geni strutturali e di regolazione; la continuità nella formazione dell’organismo; la gradualità di un progetto individuale unico che passa da struttura più semplice a struttura più complessa”, cit. Comitato Nazionale per la Bioetica, Identità e statuto dell’embrione umano, 22 Giugno 1996, p.14 reperibile in Comitato Nazionale per la Bioetica, Identità e statuto dell’embrione umano, 22 Giugno 1996, Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1997.

[16] Lo zigote è il primo stadio dello sviluppo di un essere umano, vedi AA.VV., Before We Are Born: Essentials of Embryology and Birth Defects, 9th edition, Saunders ed., Philadelphia, 2015, chapter 1, p.1. Tale valutazione oggettiva e scientifica risulta pacifica in dottrina. Si osservino tra gli altri G. Kaluger, Human development the span of life, Mosby, St. Louis, 1974, p.28-29; J. P. Greenhill e E. A. Friedman, Biological principles and modern practice of obstetrics, W.B. Saunders Company, 1974, p.17; AA.VV., Van nostrand’s scientific encyclopedia, Van Nostrand Reinhold Company, New York, 1976, p.943; W. J. Larsen, Essentials of Human Embriology, Churchill Livingstone, New York, 1998, pp.1-17; B. M. Carlson e B. M. Patten, Patten’s foundations of embryology, McGraw-Hill Education, New York, 2003, p.3.

[17] M. Palmaro, Aborto&194, fenomenologia di una legge ingiusta, Sugarco Edizioni, Milano, 2008, p. 105.

[18] Prendiamo come riferimento l’embrione, ma analoghe osservazioni valgono per lo zigote e ancor più pacificamente per il feto. Sono riferibili, infatti, a ogni stadi di sviluppo del concepito.

[19] M. Palmaro, op. cit., p.105. Analogamente, il Comitato nazionale per la Bioetica osserva: “nessuna proposta ontologica colloca l’embrione sul piano delle cose, dal momento che la sua stessa natura materiale e biologica lo colloca fra gli essere appartenenti alla specie umana”, cit. Comitato Nazionale per la Bioetica, Identità e statuto dell’embrione umano, 22 Giugno 1996, p.16.

[20] In realtà, pur ritenendo fallaci le posizioni che scindono il concetto di persona da quello di essere umano, si evidenzia come non sia questa l’occasione di approfondire tale disputa. Essa sarà brevemente richiamata nel paragrafo relativo alle questioni etiche.

[21] Con riferimento allo specifico ordinamento italiano, si ricorda che l’art. 5 del c.c., vieti gli atti di disposizione del proprio corpo quando contrari alla legge, al buon costume o all’ordine pubblico; anche alla luce dell’art.5 del c.c., si può ritenere attualmente impraticabile in Italia la pratica della maternità surrogata in forza del divieto di tali atti.

[22] Si veda L. Gostin, A civil liberties analysis of surrogacy arrangements, in Law, Medicine&Health Care, n.16/1988, American Society of Law, Medicine and Ethics, 1988, pp.35-47.

[23] Si osserva che il CNB ritiene che anche la mera cessione di ovociti, pratica molto meno invasiva rispetto la messa a disposizione dell’utero per portare avanti la gestazione per altri, risulta lesiva della dignità della donna, “pregiudicandone anche l’integrità psico-fisica, tenda inevitabilmente a ridurne l’effettivo esercizio della libertà di scelta, alteri i delicati equilibri dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente, costituisca una grave forma di abuso dello stato di necessità in cui si trovano i soggetti più deboli, per motivi economici o per età”, cit. Comitato Nazionale per la Bioetica, Mozione del Comitato Nazionale per la Bioetica sulla compravendita di ovociti, 13 Luglio 2007. Il testo del parere è reperibile al seguente indirizzo: http://bioetica.governo.it/media/1417/m8_2007_compravendita-ovociti_it.pdf.

[24] Si pensi, per esempio, alle servitù negoziali. I servitori negoziali, “indentured servants”, firmavano veri e propri contratti con i quali si impegnavano a servire il padrone comprimendo le proprie libertà. Per un approfondimento vedi A. Diurni, Percorsi mondiali di diritto privato e comparato, Giuffrè Editore, Milano, 2008, p.4.

[25] Circa gli atti di disposizione del proprio corpo, si ricorda che il principio della non commerciabilità del corpo umano, nella sua integralità come nelle sue singole parti, è un principio fondante dell’attuale assetto giudico nazionale e internazionale. Oltre alla normativa sopra citata, si vedano le già richiamate Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, 1997, all’art. 21, e Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, 2000, all’art. 3.

[26] Analoghe considerazioni possono essere poste con riferimento ai gameti, che non sempre risultano però donati nella maternità surrogata.

[27] Si ricorda che in Italia è possibile la donazione di reni, ex l. 458/1967, di parte di fegato, ex l. 483/1999, di polmone, pancreas e intestino, ex l. 167/2012. La donazione richiede un consenso informato e una volontà espressa in modo chiaro e manifesto. La donazione può avere luogo tra parenti, può essere cross-over o può essere del buon samaritano, cioè da parte di donatori anonimi che donano per puro spirito di solidarietà. Per un attento e utile approfondimento in tema di donazioni del buon samaritano si guardi il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica, La Donazione da vivo del rene a persone sconosciute (cd. donazione samaritana), 23 Aprile 2010. Il testo del parere è reperibile al seguente indirizzo: http://bioetica.governo.it/media/3487/p88_2010_donazione_samaritana_it.pdf.

[28] Simile ai concetti di oblatività e solidarietà umana. Per un approfondimento circa l’etica della donazione inter vivos si veda M. P. Faggioni, op. cit., pp.204-208.

[29] Cit. A. R. Vitale, Escursioni biogiuridiche in tema di maternità surrogata, in Medicina e Morale, n.2/2016, p.177.

[30] Vi sarà chi sostiene che vi potrà essere donazione senza donatività, in forza di uno spirito di solidarietà e oblatività, come donazione del buon samaritano, anche senza la necessità di salvare o tutelare la vita o l’integrità fisica di un altro soggetto. In merito a ciò, si rimanda alle osservazione del CNB in materia di donazione del buon samaritano presenti nel relativo parere rilasciato in data 23 Aprile 2010 precedentemente richiamato, in particolare alla postilla del prof. Francesco d’Agostino presente nel documento.

[31] Si tratta del caso affrontato dalla Corte Suprema degli Stati Uniti nel 1976, Planned Parenthood of Missouri vs Danforth, reperibile al seguente indirizzo: https://caselaw.findlaw.com/us-supreme-court/428/52.html .

[32] Si veda il caso affrontato dalla Corte Suprema degli Stati Uniti nel 1979, Bellotti vs Baird, reperibile al seguente indirizzo:  https://caselaw.findlaw.com/us-supreme-court/443/622.html .

[33] Vedi T. A. Eaton, Comparative responses to surrogate motherhood, in Nebraska Law Review, Volume 65, 1986, pp.686-727, qui pp.720-723. Vedi: https://digitalcommons.unl.edu/nlr/vol65/iss4/3 .

[34] Cit. C. Shalev, Nascere per contratto, Giuffrè, Milano, 1992, p.138.

[35] È quello che è sostenuto come argomentabile in R. Guardini, Il diritto alla vita prima della nascita, Morcelliana, Brescia, 2005, p.21.

[36] Rispetto alle quali aggiungo una osservazione personale: è sufficiente ragionare intorno a questa questione per giungere alla conclusione che la maternità surrogata è una pratica da rendere illecita perché lesiva della dignità della donna e perché lesiva dei diritti del nascituro.

[37] Qualora invece i genitori contrattuali decidessero di non prendersi la responsabilità del minore perché l’avrebbero voluto vedere abortito? Si tratta di abbandono di minore, anche se la gestante non ha rispettato il contratto? Se i genitori sono quelli contrattuali sì. O l’inadempimento contrattuale fa venire meno i diritti genitoriali in capo ai genitori contrattuali? Nel caso dovrebbe farsene carico la madre gestante.

[38] Vedi R. Epstein, Surrogacy: the case for full contractual enforcement, in Virginia Law Review, Vol. 81, n.8, Symposium: New Directions in Family Law, Virginia 1995, pp. 2305-2341. Vedi: https://www.jstor.org/stable/1073580?seq=1#page_scan_tab_contents. Epstein si riferisce in particolare al caso in cui il/uno dei padri contrattuali sia anche padre genetico.

[39] Cit., F. Porciani, Traffico d’organi. Nuovi cannibali, vecchie miserie, FrancoAngeli, Milano, 2012, p.26, il quale commenta il pensiero di Richard Posner.

[40] Vedi R. A. Posner, The Ethics and economics of enforcing contracts of surrogate motherhood, in Journal of Contemporary Health Law and Policy, n.5, University of Chicago Law School Chicago Unbound, Chicaco, 1989, pp.21-31.

[41] Questo, nel diritto italiano, rende i contratti oggetto d’esame sicuramente nulli nella parte relativa alla possibile esecuzione forzata del contratto per nullità di due elementi essenziali, la causa e l’oggetto del contratto, come brillantemente osservato in A. R. Vitale, Escursioni biogiuridiche in tema di maternità surrogata, p.181. Il Vitale, osserva come tale ipotesi confliggerebbe anche con la Costituzione italiana, che in forza dell’art.32 garantisce l’impossibilità di trattamenti coattivi in tal senso. L’art. 32, al comma 2, infatti, recita: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

[42] Non sarebbe sbagliato dire che si potrebbe arrivare a vederne coinvolte sei, poiché si sta sperimentando proprio in questi anni l’utilizzo di un gamete femminile proveniente da una terza donna, quindi né dalla gestante né dalla madre contrattuale, che è però il risultato della combinazione del materiale genetico di due donne, avendo il DNA nucleare di una donna e il DNA mitocondriale di una donna differente. Vi sono già le prime sperimentazioni in questo senso: https://www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/bimbi-con-tre-genitori-londra-apre.

[43] A. R. Vitale, Utero in affitto. Questioni etiche e giuridiche, Associazione Generazione Famiglia – LMPT Italia, 2014, pp.6-7. Il testo è reperibile al seguente indirizzo: http://www.generazionefamiglia.it/wp-content/uploads/2018/11/Vitale-Aldo-Rocco-Utero-in-affitto-questioni-etiche-e-giuridiche-Generazione-Famiglia.pdf.

[44] Svilupperemo approfonditamente questo punto nel corso dell’elaborato.

[45] “Uno degli aspetti più nuovi della medicina prenatale è costituito proprio dallo studio del rapporto materno-fetale, dal punto di vista non solo fisico ma anche psichico. […] Non solo i suoni provenienti dalla madre, ma anche le posizioni particolari che assume la madre, il fumo, certi farmaci, l’affaticamento fisico influenzano il comportamento fetale attraverso numerosi canali di comunicazione, il principale dei quali è costituito dagli ormoni. Attraverso di essi anche gli stati emozionali della madre, come ansia, depressione o forti emozioni, possono provocare delle reazioni nel feto, potendo influenzare anche il suo sviluppo psichico. […] non solo il primo biennio della vita extrauterina, ma anche il periodo della vita intrauterina” è determinante “per la vita psichica futura e lo sviluppo mentale di una persona”. Cit. M. P. Faggioni, op. cit., p.271.

[46] Vedi il caso Baby M., deciso dalla Corte Suprema del New Jersey, reperibile al seguente indirizzo: https://law.justia.com/cases/new-jersey/supreme-court/1988/109-n-j-396-1.html. Si osservi anche la sentenza del caso Johnson v. Carter, davanti alla Corte Suprema della California, che assegna il bambino ai genitori committenti in virtù del parametro del best interest del bambino, ma afferma che potrebbe essere considerata madre anche la gestante. La sentenza è reperibile al seguente indirizzo: https://law.justia.com/cases/california/supreme-court/4th/5/84.html.

[47] Anche questa situazione rischia di venire ulteriormente complicata dal caso in cui il DNA della madre viene determinato dalla combinazione del DNA nucleare di una donna col DNA mitocondriale di un’altra donna. In questo caso, per prevalenza, opterei per definire madre genetica e, quindi, madre naturale e vera, la donna il cui DNA nucleare viene utilizzato, poiché è quello che definisce le caratteristiche principali della persona. Tuttavia, rimane comunque complessa e non cristallina tale situazione. Il DNA mitocondriale, infatti, ha un’influenza, sebbene minore, nella definizione genetica della persona – questo mescolamento di DNA, infatti, è stato fatto con lo scopo di superare alcune malattie ereditarie, la cui provenienza in termini genetici è da individuarsi nel DNA mitocondriale. La situazione, in ogni caso, risulta complessa e articolata. Si sottolinea che il legame biopsichico – talmente forte e incisivo da poter dire che ha effetti sullo stesso strutturarsi psico-fisico del nascituro, cfr. E. Sgreccia., op. cit., pp.257-258 –   viene instaurato dal concepito con la madre biologica, individuata nella figura della gestante, non già con la eventuale differente madre genetica.

[48] “Non ci sono ancora dati empirici sufficienti per verificare le paventate ripercussioni negative della maternità surrogata tra figlio e genitori”, E. Sgreccia, op. cit., p.254. Tuttavia, sono invece acquisizioni largamente accettate quelle che vedono in un corretto processo di attaccamento tra madre e figlio, sin dal momento del concepimento, i presupposti per un armonioso sviluppo psicologico del bambino. Se non si può dire che un bambino non può avere un equilibrato e sano sviluppo in assenza della madre dentro cui è cresciuto e con il quale ha sviluppato il forte legame biopsichico che si forma durante la gravidanza, è corretto dire che può avere tale sano ed equilibrato sviluppo nonostante questa assenza. “L’unità pre-natale madre-feto si prolunga senza soluzioni di continuità nell’unità post-natale madre-bambino e questa relazione essenziale deve essere opportunamente modulata, fra l’altro, dalla presenza del padre”, ibidem. Andare, quindi, a creare volontariamente situazioni in cui si infligge tale tipo di mancanza e potenziale ferita psicologica al bambino equivale a fare sperimentazione sociale e al contempo degradare il bambino, dal momento del concepimento, a res con meno diritti rispetto a coloro i cui desideri si vanno a soddisfare accettando l’utilizzo e la diffusione di tale pratica.

[49] C’è chi ipotizza l’invenzione della categoria giuridica del “negozio giuridico familiare”, cioè del negozio che ha per oggetto i rapporti familiari. Vedi A. Vesto, op. cit., p.312. Tuttavia, non si tiene così conto della conseguente reificazione dell’essere umano in quanto tale (oppure la si accetta come legittima), nonché della disponibilità e della eventuale comprimibilità del diritto alla salute della donna gestante, che, de facto, diventano egualmente oggetto di diritto.

[50] Un percorso logico analogo viene utilizzato al fine di giustificare l’aborto.

[51] Al fine di procedere a una sintesi virtuosa, si farà riferimento a una divisione per categorie, richiamando quattro modelli principali: quello sensista, quello antinaturalista, quello funzionalista e quello personalista. Tale efficace divisione è proposta in M., P. Faggioni, op. cit., pp.277 e ss.

[52] Cfr. P. Singer, Etica pratica, Napoli, Liguori editore, 1988.

[53] Cfr. M. P. Faggioni, op. cit., pp.277-278.

[54] Cfr. M. P. Faggioni, op. cit., pp.278-279.

[55] Si veda H. T. Engelhardt JR., Manuale di Bioetica, Il Saggiatore, Milano, 1991. A p,126 di tale testo, Engelhardt afferma: “non tutti gli esseri umani sono persone. Non tutti gli esseri umani sono autocoscienti, razionali e capaci di concepire la possibilità di biasimare e lodare. I feti, gli infanti, i ritardati mentali gravi e coloro che sono in coma senza speranza costituiscono esempi di non persone umane”.

[56] Cfr. M. P. Faggioni, op. cit., pp.279-281.

[57] Si veda D. Partif: “l’ovulo fecondato non è un essere umano e una persona fin dall’inizio, ma lo diventa lentamente […]. La distruzione di questo organismo all’inizio non è moralmente sbagliata, ma a poco a poco lo diventa”. D. Parfit, Ragioni e persone, II Saggiatore, Milano 1989, p. 410.

[58] P. Prini, Il corpo che siamo. Introduzione all’antropologia etica, SEI, Torino, 1991, p.57.

[59] Per un approfondimento di tale impostazione si veda M. P. Faggioni, op. cit., pp.281-284. Ancora, per la peculiare distinzione tra persona e personalità si veda M. P. Faggioni, op. cit., p.284 e ss.

[60] Cit. M. P. Faggioni, op. cit., p.282.

[61] Il classico esempio scientificamente corretto della madre che canta e influenza lo stato del momento e lo stesso sviluppo dell’individualità psicologica del figlio nel suo grembo. Si veda anche la nota n.48.

[62] M. Palmaro, op. cit., pp.105-106.

[63] Non è questa la sede ove approfondire ulteriormente questo argomento, tuttavia, secondo chi scrive è da ritenersi non paritetica sul piano dell’incertezza, ma assolutamente prevalente sul piano razionale e argomentativo la posizione personalista.

[64] Un esempio per il medesimo argomento applicato alla fattispecie dell’aborto è il seguente: se sono indeciso se permettere o meno la distruzione di un edificio e non so se dentro c’è una persona, nel dubbio  faccio sì che non venga distrutto, perché rischio di permettere l’uccisione di una persona.

[65] Ciò è vero sia quando è esplicitamente a pagamento sia quando lo stesso è mascherato da rimborso spese o risarcimento. Si pensi che il mercato della maternità surrogata si aggira intorno ai 6 miliardi di dollari – anche se probabilmente ora è già sensibilmente aumentato rispetto ai dati registrati. Si veda: https://www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/utero-in-affitto-merrcato-globale-da-6-miliardi-di-dollari. In ogni caso, si sottolinea come tale reificazione avviene tanto nella MS dietro corrispettivo quanto nella MS altruistica, quindi indipendentemente dalla presenza di un corrispettivo, che semmai, in aggiunta, porta alla mercificazione dell’uomo.

[66] P. Calamandrei, Fede nel diritto, Laterza, Bari, 2009, p.69.

[67] Per un approfondimento sul rapporto tra l’uomo e la tecnica, in relazione anche alla natura e al concetto di naturale, si veda N. Berdjaev, L’uomo e la tecnica, Il Ramo, Rapallo, 2005.

[68] Il principio cardine che ha fondato e guidato il Processo di Norimberga è proprio il fatto che vi sono principi giuridici, veri in quanto tali, dati dalla natura dell’uomo, che trascendono le leggi dei singoli stati.

[69] Per un approfondimento si veda J. Butler, Soggetti di desiderio, Laterza, Bari, 2009.

[70] N. Berdjaev, Schiavitù e libertà dell’uomo, Bompiani, Milano, 2010, p.105, in A. R. Vitale, L’eutanasia come problema biogiuridico, FrancoAngeli, Milano, 2017, p.131.

[71] Affronteremo tale questione solo superficialmente, poiché riguardante in generale ogni tecnica di fecondazione eterologa e non solo la maternità surrogata in quanto tale. Per una più approfondita, articolata e completa analisi di tale questione si osservi il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica, Conoscere le proprie origini biologiche nella procreazione medicalmente assistita eterologa, 25 novembre 2011. Il testo del parere è reperibile al seguente indirizzo: http://bioetica.governo.it/media/1842/p100_2011_conoscere_le_proprie_origini_pma_it.pdf.

[72] Vi è chi ritiene che sia fondamentale, si veda CNB, parere Conoscere le proprie origini biologiche nella procreazione medicalmente assistita eterologa, p.3 e pp. 32 e ss.

[73] Va detto che, ordinariamente, si procede a uno screening genetico dei candidati alla donazione così da evitare malattie ereditarie e altre problematiche di ordine sanitario.

[74] Ordinariamente si tratta della madre. Sebbene può esservi il caso della coppia uomo-donna che usa il proprio materiale genetico impiantandolo nell’utero di un’altra donna. In questo caso, l’unico passaggio irrisolto nella ricostruzione dell’identità biologica – e storica – del bambino è la madre gestazionale.

[75] Per un approfondimento sul punto si veda R. Puccetti, Leggender metropolitane, ESD, Bologna, 2016, pp.230-278. In materia di adozioni omosessuali, si veda anche M. P. Faggioni, Famiglie e unioni omosessuali. Quale accoglienza?, in Credere oggi, Edizioni Messaggero Padova, Padova, 2015, n. 35, pp. 67-84. Inoltre, si osservi quanto sviluppato nella nota n.48 con riferimento al rischio relativo alla frammentazione delle figure genitoriali, in particolar modo quella materna, e alla rottura del rapporto madre-figlio che si crea fin dal momento della gestazione.

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