Stampa

Femminicidio, nuova vittima in Romagna. Quel 'dominio' che nega i diritti alle donne

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Nella notte tra il 18 e il 19 dicembre, Riccardo Pondi, 39 anni, ha ucciso la moglie, Elisa Bravi di 31 anni. Una giovane donna che aveva avuto due bambine dall’uomo che l’ha uccisa e che ora sono state affidate ai nonni. Sei e tre anni: una manciata di vita che dovrà sopportare un peso enorme, come la perdita della madre per mano di un padre che ha cancellato anche la propria paternità con un gesto feroce e irreversibile.

È l’ennesimo femminicidio che si aggiunge a quelli avvenuti dall’inizio dell’anno in Italia, confermando la cadenza di una donna uccisa ogni 72 ore. Elisa Bravi abitava a Glorie di Bagnacavallo, si era trasferita da Ravenna nel 2018. Viveva nel territorio dove opera il mio Centro antiviolenza e stamattina ci siamo chieste se avremmo potuto fare qualcosa per lei, qualcosa di più, se si fosse rivolta a noi.

È la stessa domanda che ci siamo fatte quando venne uccisa Yanexy Gonzales nel 2008. Uccisa e buttata in un pozzo dal marito Marco Cantini, condannato a ventitré anni per il suo femminicidio. Il 25 novembre il Centro antiviolenza Demetra e l’Unione dei Comuni della Bassa Romagna avevano fatto aggiungere il quarto giglio selvatico alla scultura in bronzo e mosaico in ricordo delle vittime di femminicidio. Ogni centro antiviolenza della provincia (Linea Rosa – Ravenna e Sos Donna – Faenza) lo ha realizzato e donato alla propria città: un giglio per ogni donna uccisa dagli anni 90.

La scultura che ricorda le donne uccise nel territorio della Bassa Romagna si trova al Parco del Loto, a Lugo, vicino a un laghetto. Abbiamo sperato che quel giglio fosse l’ultimo ma non sarà così.

Comunicato stampaFemminicidio a Glorie di BagnacavalloRiccardo Pondi è stato arrestato con l’accusa di aver ucciso la…

Pubblicato da Associazione Demetra Donne in aiuto su Giovedì 19 dicembre 2019

La notizia si è diffusa dalle pagine dei quotidiani online fino alle strade addobbate per le Feste natalizie, ma i cronisti narrano la morte di Elisa come un atto di violenza avvenuto “al culmine di una lite”, tessendo una narrazione che banalizza un crimine articolato e complesso. “Non riusciva a dormire” questo sarebbe il motivo? Futile e banale come tanti che continuiamo a leggere: “la pasta era scotta” o “era fredda”, “non era apparecchiata la tavola”, non c’era “accordo sulla destinazione della vacanza” o ancora “aveva un amante”.

Si uccide la compagna al culmine di una lite o la si uccide perché si sta sottraendo al controllo? Che cosa si celava dietro quel “momento difficile” di cui scrive la stampa? E ci fanno male le similitudini con il femminicidio di Giulia Ballestri, assassinata nel settembre del 2016 dal marito, Matteo Cagnoni, condannato all’ergastolo in via definitiva lo scorso mese di settembre. Anche in quel caso c’era stato un percorso di terapia di coppia con un consulente. Ma il problema non era nella coppia, ma nel controllo ossessivo di un uomo convinto di avere il diritto di dominare la moglie.

La violenza contro le donne deve restare una priorità nell’agenda politica locale e nazionale e si deve lavorare per prevenire il fenomeno, coinvolgendo gli adolescenti nelle scuole. Ma ora più che mai è prioritario coinvolgere gli uomini per disertare e destrutturare un modello di mascolinità che legittima il controllo delle donne fino all’esercizio della violenza.

image

Elisa Bravi era nata nel 1988, sette anni dopo l’abolizione di quell’arcaico delitto d’onore che garantiva ampi sconti di pena a colui che, per motivi “di onore”, assassinava la moglie, la figlia, la madre o la sorella. I diritti e la libertà di Elisa, come quelli di ogni donna vittima di femminicidio, sono rimasti sulla carta come una promessa mancata. Dobbiamo mantenere quella promessa e farla diventare una realtà per ogni donna.

@nadiesdaa

Prima di continuare

Se sei qui è evidente che apprezzi il nostro giornalismo. Come sai un numero sempre più grande di persone legge Ilfattoquotidiano.it senza dover pagare nulla. L’abbiamo deciso perché siamo convinti che tutti i cittadini debbano poter ricevere un’informazione libera ed indipendente.

Purtroppo il tipo di giornalismo che cerchiamo di offrirti richiede tempo e molto denaro. I ricavi della pubblicità ci aiutano a pagare tutti i collaboratori necessari per garantire sempre lo standard di informazione che amiamo, ma non sono sufficienti per coprire i costi de ilfattoquotidiano.it.

Se ci leggi e ti piace quello che leggi puoi aiutarci a continuare il nostro lavoro per il prezzo di un cappuccino alla settimana.

Grazie,Peter Gomez

Articolo PrecedenteGiovanni Brusca, per la Cassazione niente domiciliari perché non c’è “prova certa del suo ravvedimento”

Fonte (click per aprire)

Aggiungi commento

I commenti sono soggetti a moderazione prima di essere pubblicati; è altrimenti possibile avere la pubblicazione immediata dei propri commenti registrandosi ed effettuando il login.


Codice di sicurezza
Aggiorna