Anche le donne hanno acceso la benzina della rivolta in Iran
Non sarà ancora l’onda verde del 2009-2010 ma questa volta in Iran sarà più difficile fermare la rivolta che sta coinvolgendo ogni espressione e ceto sociale del popolo iraniano. Anche i sostenitori della linea dura sono consapevoli che nonostante la violenza e il giro di vite delle forze di sicurezza per reprimere le proteste, scatenate dall’aumento dei prezzi della benzina, i manifestanti continueranno a scendere in strada. Poco importa se la Repubblica islamica del-l’Iran sia diventata più brutale e violenta negli ultimi anni.
Dopo la firma del JCPOA (l’accordo sul nucleare), c’è stato un costante aumento della repressione contro la società civile a tutti i livelli. L’uso della forza eccessiva e l’arresto e il perseguimento dei dimostranti che dal 15 novembre animano le nuove proteste sono l’esempio perfetto di questa tendenza. E soprattutto, il riflesso della profonda crisi di legittimità interna della Repubblica islamica. I sostenitori della linea dura iraniana sanno di non avere il sostegno della maggioranza e se ci fosse una competizione elettorale libera ed equa, i candidati che si oppongono alle politiche estere e interne di Ali Khamenei probabilmente vincerebbero le elezioni.
L’uso della violenza estrema è un tentativo di inviare un messaggio secondo cui qualsiasi forma di resistenza è inutile e comporterà gravi conseguenze per coloro che scelgono di dissentire. Un atteggiamento improvvido, che riflette la disperazione del regime. Anche la pressione esterna è un fattore che alimenta il nervosismo a Teheran. Il tentativo di promuovere il 'cambio di regime' in Iran da parte di membri senior dell’amministrazione statunitense, secondo il punto di vista degli ayatollah, alimenta la convinzione che le recenti proteste siano state organizzate dalla Casa Bianca in coordinamento con Arabia Saudita e Israele. Non va inoltre sottovalutato l’influenza dei fatti esterni.
È indiscutibile che la Repubblica islamica sia stata scossa dai recenti eventi nella regione. Le proteste in corso in Libano che sfidano il potere di Hezbollah sono un fattore rilevante, ma ancora più importanti le proteste in Iraq. I recenti attacchi contro i consolati iraniani a Najaf e Karbala – nel cuore dell’Islam sciita – insieme alle richieste della maggior parte dei manifestanti iracheni (che sono sciiti) di porre fine all’influenza dell’Iran in Iraq, devono aver aumentato la paura e la paranoia a Teheran. Che la spropositata reazione alle proteste contro il rincaro dei prezzi della benzina sia un segno di debolezza del regime, lo con- ferma una delle conoscitrici e osservatrici più attente delle questioni iraniane, Azadeh Pourzand. Figlia del giornalista dissidente Siamak Pourzand, imprigionato e torturato negli anni ’80 e morto suicida nel 2011, e di Mehrangiz Kar, impegnata come avvocato nella difesa dei diritti umani in particolare delle donne e per questo costretta all’esilio, nessuno più di lei può aiutare ad analizzare i fattori che hanno scatenato le recenti, e non solo, proteste.
Per Azadeh Pourzand, riparata all’estero, «i cittadini hanno perso la speranza e la repressione delle autorità è segno della loro debolezza, reagiscono come nel 1979»
La sua azione è guidata da un equilibrio non comune per chi ha pagato un così caro prezzo per la libertà di espressione. Un equilibro utile a comprendere perché la repressione sia stata così dura nell’impedire che le voci contro il governo potessero oltrepassare i confini iraniani. Un elemento utile a capire il personaggio: quando il Segretario di Stato americano Mike Pompeo l’ha invitata a partecipare alla cena ' Supporting Iranian Voices', ha accettato nonostante la diffidenza e la contrarietà della comunità irano-americana verso l’amministrazione Trump. Azadeh crede fermamente nel dialogo. «Se vuoi sapere, devi andare » il suo convincimento. Come quello della pretestuosità delle accuse rivolte dal-l’Iran agli Stati Uniti di essere l’eminenza grigia dietro le nuove rivolte che stanno scuotendo il Paese da alcune settimane e che hanno risvegliato il dissenso interno.
Quelle voci critiche mal tollerate e silenziate con una violenza sproporzionata. Secondo un recente rapporto di Amnesty International le manifestazioni contro l’aumento del costo del carburante hanno causato oltre 300 morti, tra cui molti minori e bambini, e migliaia di arresti. Alcuni parlamentari, guidati da Parvaneh Salahshouri esponente dell’ala riformista che accusa alcuni settori del sistema di andare verso una dittatura, hanno chiesto l’avvio di un’inchiesta su quanto avvenuto. Ma una commissione nazionale avrebbe l’indipendenza necessaria per essere obiettiva? «L’unica commissione credibile sarebbe quella composta da esperti indipendenti nominati dall’Onu per svolgere un’indagine indipendente all’interno del Paese.
Ma difficilmente si apriranno margini in tal senso» sostiene la Pourzand certa che all’origine delle manifestazioni che si sono animate a Teheran e in altre città importanti dell’Iran ci siano ragioni molto più profonde. «Il malcontento e la frustrazione espresse dai manifestanti sono il se- gno che le persone hanno perso la speranza e la fiducia nella Repubblica islamica. È una rivolta al sistema nella sua interezza, che non permette alle persone di vivere con dignità. E questo ha allarmato il governo che ha reagito con una veemenza mai così grave dalla rivoluzione del 1979».
Nonostante il costo elevato pagato dai suoi familiari, Azadeh Pourzand ha deciso di proseguire la loro azione impegnandosi personalmente nella difesa dei diritti del suo popolo e della libertà di espressione. «Il percorso che ho intrapreso è stato ispirato dalla mia famiglia. Mia madre è stata minacciata ed è stata costretta a fuggire all’estero portando con sé noi figli; mio padre, rimasto a Teheran, è stato un prigioniero di coscienza, la prigionia lo ha logorato al punto da spingerlo al suicidio. A lui è dedicata la Fondazione di cui sono direttore esecutivo. Ci contrapponiamo alla censura, promuovendo la libertà di espressione e difendendo i diritti di coloro che lottano per essere ascoltati. Io sono stata costretta a lasciare l’Iran ma ho continuato a dare il mio contributo a sostegno delle voci libere del Paese. Soprattutto alle donne iraniane che stanno pagando il prezzo più alto di queste rivolte».
Già, sono state davvero tante le donne scese in piazza a Teheran e la repressione che si è abbattuta su di loro testimonia l’importanza del loro ruolo. «Le donne che difendono i diritti umani sono accusate di guidare proteste alimentate da governi stranieri, in particolare dagli Stati Uniti, e oggi sono ancora più in pericolo che in passato. Il governo ha paura delle giovani donne e delle loro lotte. Ha paura della loro dignità, della loro forza. Le persone chiedono oggi le stesse cose che le donne hanno chiesto per anni e i politici sanno che le donne hanno imparato a reagire ai tentativi di sopprimere le loro richieste», conclude Pourzand. I l movimento femminista porta avanti una battaglia pacifica che è anche e soprattutto educativa. Per questo, nei confronti delle donne, è in atto una vera e propria guerra. Le autorità hanno paura delle loro rivendicazioni, della loro forza e della possibilità che possano ispirare tutto il resto della popolazione.