Una politica che boicotta le donne
Traggo spunto dal ricordo che recentemente il Coordinamento3-Donne di Sardegna ha voluto dedicare a Simonetta Sotgiu a un anno della sua scomparsa, per portare all’attenzione pubblica due temi: la legge regionale sarda e la scarsa rappresentanza delle donne nelle istituzioni, nonostante l’introduzione della doppia preferenza di genere e le trasformazioni normative imposte in materia di pari opportunità dalla stessa Corte Costituzionale.
Per ciò che riguarda il primo tema, all’indomani del rinnovo del Consiglio regionale sardo e del suo Presidente (quindi pochi mesi fa), tutte le forze politiche e i loro maggiori rappresentanti hanno occupato ampio spazio delle cronache giornalistiche per ribadire l’urgenza di modificare la legge regionale, considerata da tutti sbagliata e non rappresentativa della volontà dell’elettorato. Il coro è stato unanime, compresi quanti quella legge l’hanno ideata e approvata. Dopo pochi giorni, un silenzio tombale ha avvolto la questione e non mi pare che stia nell’agenda né di chi ci governa e neppure di chi sta all’opposizione.
È ipotizzabile, però, che questo tema rientri prepotentemente alla ribalta alla prossima scadenza elettorale, come è avvenuto d’altronde per la precedente, quando cioè non ci sarà tempo per ponderare e condividere una norma più democratica. Ho paura che lo stesso stia avvenendo a livello nazionale, con l’aggravante che, nel frattempo, il Parlamento ha deciso di ridurre il numero dei parlamentari, ignorando per il momento i diversi problemi che si porranno in termini di rappresentatività politica e territoriale.
Anche per ciò che riguarda il secondo tema non mi pare che partiti e movimenti politici si stiano ponendo il problema di come sanare una evidente disparità di genere nella rappresentanza politica che costituisce un vero e proprio vulnus democratico riconosciuto a parole, ma non nei fatti.Eppure, non mancano le riflessioni - almeno al di fuori della ristretta sfera politica - sul fatto che ci sia uno iato “tra trasformazioni imposte dall’ordinamento e mentalità della classe politica”, come ebbe a scrivere il costituzionalista Andrea Deffenu nella Prefazione al volume di Luisa Marilotti “Amministrative sarde 2019. La doppia preferenza di genere, risultati e prospettive” (Delfino 2019), volume per l’appunto dedicato a Simonetta Sotgiu che da magistrata prima e da promotrice di varie associazioni italiane di donne poi, ha fatto del contrasto alla discriminazione di genere una delle sue ragioni di vita. C’’è un legame stretto tra una legge elettorale poco rappresentativa del volere dei cittadini e un risultato assai deludente della doppia preferenza di genere (otto donne su sessanta eletti). In entrambi i casi, prevale un’autoreferenzialità della politica che la porta ad essere del tutto scollegata dal mondo reale.
Autoreferenzialità che comporta primariamente il fatto che diventa opzionale occuparsi delle condizioni materiali dei cittadini (dalla casa al lavoro, dalla salute alla accessibilità ai servizi). Se invece fosse stata una priorità, la politica in primis avrebbe avvertito il bisogno di rivolgersi alle donne. Perché chi più di loro ha il polso della vita quotidiana? Per concludere, ho trovato interessanti alcuni risultati dell’ultimo sondaggio del Censis, in particolare quello che ha riguardato l’uomo forte al potere. Nessuno dei commentatori (politici e non) si è posto il problema di come sia stata formulata la domanda. Infatti, constato provocatoriamente che a nessuno è venuto in mente di chiedersi perché non una donna forte.
Probabilmente perché la domanda avrebbe assunto un significato diverso, giacché, l’espressione “uomo forte” rinvia a un’idea di potere non contrastato e che non viene limitato da norme garantiste dei diritti e della libertà; mentre l’espressione “donna forte” rinvia a un’idea di capacità di superare le avversità della vita (privata e pubblica), per lo più affrontate dalle donne con gli strumenti della relazionalità e non con il dominio.