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I soldi sauditi per la Supercoppa italiana non puzzano più?

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Lo stadio dell’Università Re Sa’ud è pronto. Domenica 22 dicembre 2019 alle 17.45 (ora italiana) Riad ospita la Supercoppa italiana, per la seconda volta consecutiva in Arabia Saudita dopo il precedente di Gedda. E se a fine 2018 la vigilia della partita tra Juventus e Milan fu accompagnata da una lunga serie di polemiche, stavolta Juventus e Lazio si apprestano a vivere la loro sfida nel silenzio generale. L’indignazione che nemmeno 12 mesi prima si era sollevata per la scelta di andare a giocare in uno dei Paesi che più calpesta i diritti umani sembra svanita nel nulla.

ATTIVISTE FEMMINISTE IN CARCERE

Eppure l’Arabia Saudita è sempre l’Arabia Saudita, in un anno non è cambiato poi granché. È vero, le donne ora possono viaggiare e guidare un’auto, ma continuano ad aver bisogno del permesso di un tutore maschio per sposarsi, andare a scuola e ottenere un passaporto. Intanto le attiviste femministe continuano a essere chiuse in carcere, dove le pratiche che violano i diritti umani continuano a essere perpetrate. Gli arresti arbitrari sono ancora all’ordine del giorno, come quello di Anas al-Mazrou, professore della stessa università che dà il nome allo stadio in cui si giocherà Juventus-Lazio, che nel marzo 2019 è finito in cella per aver parlato in pubblico a sostegno degli attivisti per i diritti delle donne detenute.

LA SCALA E QUEL CONTRATTO STRACCIATO

Sempre a marzo, sull’onda lunga dell’indignazione per quella Supercoppa a cui le donne avrebbero avuto accesso soltanto in un settore speciale riservato a loro, occupante il 15% dello stadio, il Teatro alla Scala stracciò il contratto che portava all’ingresso nel consiglio d’amministrazione della sua Fondazione del governo saudita. Il sindaco di Milano Giuseppe Sala annunciò la rinuncia a 15 milioni di euro in tre anni e la restituzione dei 3 già versati come acconto dagli arabi alla Fondazione. La Lega Serie A, per giocare la Supercoppa a Riad, di milioni ne prende esattamente la metà, 7,5 per tre edizioni, 2,5 l’anno, ma non ha mai pensato di poter rinunciare a una cifra che in realtà non sposta poi di molto il bilancio complessivo dei club partecipanti (a cui va il 90% della somma) e del calcio italiano in generale (alla Lega resta appena il 10%, 750 mila euro).

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POLITICA DI ESPORTAZIONE PER LA SERIE A

Nemmeno l’omicidio di Jamal Khashoggi, giornalista saudita per il Washington Post, fortemente critico nei confronti del governo di Re Salman, torturato e massacrato nella sede del consolato arabo a Istanbul nell’ottobre del 2018, riuscì a cambiare lo stato delle cose. D’altra parte la Serie A aveva già intrapreso da anni la sua politica di esportazione della Supercoppa, con nove edizioni giocate all’estero prima di quella del gennaio 2019, spesso in Paesi non proprio celebri per il rispetto dei diritti umani (oltre a due negli Stati Uniti, se ne sono giocate infatti tre in Cina, due in Qatar e una Libia nel 2002, quando il Paese era ancora sotto il governo di Gheddafi, i rapporti del rais con Silvio Berlusconi erano ben oltre la semplice cordialità, e il figlio di Mu’ammar, Saadi, era appena diventato azionista della Juventus. In quelle edizioni la Lega guadagnò ancora meno dei 7,5 milioni che prende dall’Arabia Saudita: lo fece, piuttosto, per provare a rendere più globale il prodotto calcio italiano, ma verosimilmente anche in quanto strumento di diplomazia e geopolitica internazionale.

imageSelfie con Ciro Immobile per i tifosi arabi. (Getty)

CONTINUIAMO A VENDERE ARMI AI SAUDITI

L’Italia che non vuole i sauditi alla Scala è la stessa che continua a vendere loro armi per la guerra contro lo Yemen, le bombe fabbricate in Sardegna dalla tedesca Rwm, ma non solo. Secondo la relazione annuale sulla vendita di armi verso paesi stranieri che il governo ha presentato in parlamento a giugno, solo nel 2018 l’Italia ha spedito a Riad 108 milioni di euro in armamenti. Il calcio, insomma, non è che lo specchio di un Paese ipocrita che continua a fare affari e siglare intese con uno Stato da cui a parole prende le distanze.

imageIl trofeo della Supercoppa a Riad. (Getty)

GERMANIA E FRANCIA HANNO REAGITO

Eppure una via diversa è possibile. L’ha indicata la Federcalcio tedesca nel decidere che la Germania non avrebbe più giocato amichevoli contro nazionali di Paesi in cui non vige la parità di genere. L’ha fatto, in parte, anche la Spagna, dove all’indignazione per un accordo della Liga del tutto analogo a quello concluso dalla Serie A (la Supercoppa di Spagna si gioca a Gedda per tre edizioni in un nuovo formato che prevede un quadrangolare) è seguita la netta presa di posizione della tivù di Stato, la Tve, che ha deciso di non trasmettere gli incontri sui suoi canali. La Figc, invece, si è limitata a invitare al Barbera di Palermo, per la partita tra Italia e Armenia del 18 novembre, una delegazione di donne iraniane, costrette ancora a forti limitazioni all’accesso agli stadi nel loro Paese.

L’ITALIA FATICA PURE CON L’ANTI-RAZZISMO

La Serie A, però, non cambia idea. E dopo essersi mossa goffamente e con estremo ritardo sul fronte della lotta al razzismo negli stadi, sembra del tutto sorda agli appelli per il rispetto dei diritti umani in Arabia Saudita. Con buona pace di Kashoggi, della parità di genere, del rispetto dei diritti umani. Che evidentemente contano meno di una manciata di milioni e dell’esportazione di un brand che persino Cristiano Ronaldo fa fatica a risollevare a livello globale.

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