“Si tifa per la propria squadra,come si tifa per la propria vita”.Giovanni Raboni
Ferenc Molnar, nell’indimenticabile racconto dei “Ragazzi della Via Paal”, ci parla del “Grund” dei ragazzi di Budapest, ovvero di quel pezzo di terra non ancora edificato che per un adolescente della capitale magiara rappresentava “la sua pianura, la sua prateria, il suo deserto”, rappresentava “l’infinito e la libertà”. A questa descrizione del “Grund” può ascriversi, a mio parere, anche lo stadio dove vediamo la nostra squadra del cuore agire in nome del nostro amore, delle nostre speranze e dei nostri desideri. E’ un luogo, lo stadio, con gli stessi connotati di un fortino da difendere, perché in esso sono racchiuse le memorie di innumerevoli generazioni di tifosi. Vi sarà capitato di leggere numerosi scritti sulla vostra squadra, sui suoi perché e sui suoi per come. E sovente vi sarà capitato di azzuffarvi attraverso mille e mille polemiche con vostri fratelli in fede, su cosa sia veramente necessario per far sì che la vostra squadra si indirizzi verso un auspicabile sol dell’avvenire. Un nuovo presidente più munifico? Un giocatore più forte dell’altro? Un direttore sportivo più capace e “orizzontale”? Una classe arbitrale più equa? E quante se ne potrebbero elencare di cose per cui saremmo capaci di intraprendere una lunga ed impervia polemica, connotata principalmente da un solo ed unico sentimento: l’amore. Imprevedibile e misterioso è l’amore, in tutte le cose della vita. L’amore è così misterioso che, in alcune occasioni, persino i cinici possono giungere a provarlo. Anzi, per i cinici l’occasione d’amore è l’ultima frontiera per provare ad invertire il senso del loro cinismo. Parafrasando il “Talmud”, lo scrittore e giornalista Luca Goldoni è giunto a concludere come “l’amore di un uomo per la sua squadra è fisso come le stelle e dura in eterno come le parole del profeta”, facendo un torto, credo involontariamente, alle donne non menzionandole. Ma Goldoni è un uomo nato e cresciuto negli anni 20 e 30, quando ancora il calcio, effettivamente, era più una questione di uomini, per questioni colpevolmente culturali. In quel periodo, probabilmente, le bambine non si ritrovavano in qualche angusto spazio aperto tra caseggiati e strade a rincorrere qualcosa che assomigliasse ad un pallone. Ma il calcio, quando deve azzerare discriminazioni di qualsiasi tipo, ha una forza davvero sorprendente e costituisce nei luoghi in cui si celebra forza di cambiamento dal potere inarrestabile. Gli ultimi dati dicono come nell’attuale Serie A sia il 30% delle donne a comprare un biglietto per entrare allo stadio. Questo sta creando sicuramente una nuova aneddotica da stadio intorno al gioco più popolare del mondo, e sta contribuendo al mito di questo singolare spazio da difendere. Ma difendere da cosa? In primo luogo dall’invadenza della televisione, responsabile dell’espandersi del fenomeno del tifoso da poltrona, che sta rischiando la mutazione genetica in spettatore.
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C’è del marcio in Curva Primavera?
La partita, a guardarla attraverso un canale televisivo, sta evolvendosi in un panino imbottito di pubblicità e in rito spostato in orari improbabili rispetto all’esercizio del culto. E’ brava e seducente(dal punto di vista emozionale ed intellettuale) Maria Grazia Nemour, quando su questo portale ci accompagna con i suoi articoli nella sua vita da stadio. Quando ci racconta gli attimi che precedono, vivono e posticipano la partita del suo amato Toro. Ci riporta, la Nemour, alla necessità ogni tanto di andarlo a vivere quel luogo dove la squadra granata cerca di arrampicarsi verso i sogni della sua storia. Quel luogo sta lì, e attende paziente di dare occasione di riappropriarsi pienamente di un sentimento. Non andare qualche volta allo stadio, per chi può farlo, è incomprensibile come per un cattolico residente a Roma non andare mai a visitare la Basilica di San Pietro, accontentandosi di vederla in qualche immagine televisiva. I sentimenti, per non dimenticarli nella loro vera essenza, vanno coltivati con devozione e giusta deferenza, altrimenti il rischio è un giorno di relegarli a qualcosa di non necessario o desueto. Rinchiusi i sentimenti in qualche cassetto dell’anima, si finisce per vivere solo di spinte emotive. La resistenza dei tifosi del Toro, da questo punto di vista, è davvero ammirevole. Ho viaggiato molto il mondo, nella mia ormai lunga vita, e ho visto calcio persino nei posti più improbabili del mondo, ma raramente ho incontrato una tifoseria, come quella granata, così tesa a non perdere di vista i sentimenti. Il tifoso del Toro coltiva così tanto i sentimenti, che a volte arriva a rimproverarsi come forse dovrebbe pensare più a spingere ad avere risultati migliori, invece di invitare a completare i lavori del “Filadelfia”. Ma osservando il tifo granata difendere tenacemente il suo “Grund”, si può facilmente comprendere, ma veramente, dove risiede la magia di questo straordinario gioco. E’ un gioco fino ad oggi mai dimentico da dove viene, e ha difeso il suo passato come unico tesoro posseduto. Ogni volta che ritorno all’Old Trafford, ritrovo mio padre Bob, il posto dove sedeva sempre mio zio Matt, e tutto il senso di quell’amore capace, nei magici 90 minuti di una partita, di piegare e sconfiggere i miei difetti e i miei limiti. Il mio stadio, il mitico “Teatro dei Sogni” di Bobby Charlton, è sempre stato lì sin dal 1910, e nessuno ha mai osato solo pensare per i “Red Devils” un altro luogo del mondo. Lì, ogni giorno, si continuano a costruire sentimenti. Quello stadio mi ricorda come Manchester sia casa mia, come il posto dove sono venuto al mondo. Mi riporta al necessario e, quindi, alla possibilità, prima o poi, di provare l’impagabile vera gioia. Molti potranno oppormi la logica necessaria del cambiamento, che niente, in fondo, è eterno nella modernità. Tutto segue l’odore dei soldi e dei fatturati, ed è necessario, secondo questi molti, porsi a totale disposizione di questo inseguimento. Non si può, parrebbe, rimanere fuori dalla storia dei tuoi contemporanei. Ma nessuno, compreso me stesso, pone mai il punto sul fatto che la storia siamo noi, e siamo noi a determinarla. Sembra che il capitalismo estremo pervasivo di questa contemporaneità faccia di tutto per dare ragione a Karl Marx, il quale sosteneva come fosse la storia a determinare gli uomini e non il contrario. Chissà cosa avrebbe detto Marx, di fronte ai tifosi del Toro che per lunghi anni, con la loro presenza fisica quotidiana, hanno impedito la demolizione di ciò che restava del Filadelfia. Mi hanno detto, ma forse è un’informazione errata, che al posto dello stadio del “Grande Torino” volevano costruire un centro commerciale.
La Russia, il doping, il competere
Tipico esempio di antropologia culturale contemporanea tesa ad azzerare qualsiasi tipo d’identità, persino commerciale. Se ciò fosse avvenuto, e grazie alla tenacia dei tifosi del Toro non è successo, l’epitaffio nichilista marxiano avrebbe avuto un elemento in più per farsi ragione. Quando uno stadio non è solo un luogo dove si gioca una partita di calcio. L’irragionevolezza sentimentale con cui Urbano Cairo sta trattando le vicende del Filadelfia, è la questione a mio parere più preoccupante del comportamento dal patron del Corriere della Sera da presidente del Torino Calcio. Al Filadelfia si gioca tutta la diversità dell’essere del Toro piuttosto che dall’altra squadra della città. E’ la logica del non cambiare un marchio solo per far contenti possibili “nuovi consumatori” cinesi, è la logica che un “Grund” non può e non deve mai essere trascurato o posto in vendita. Qualunque sia il prezzo offerto. “Einstandt” è una brutta parola tedesca, nello slang usato dai ragazzi di Budapest del racconto di Molnar, che è nel contempo “una dichiarazione di guerra, una proclamazione di stadio d’assedio, un’affermazione di violenza e di pirateria; in una parola: il diritto del più forte”. Il Filadelfia, se pensiamo bene, è l’opposizione plastica all’Einstandt che la Juventus sta operando non solo a Torino, ma a tutto il calcio italiano. E’ l’opposizione portata avanti dal sentimento alla forza bruta. E’ la certezza come sia il ricordo a costruire il futuro e a preservare il presente. Urbano Cairo o chiunque voglia la proprietà del Toro, se vuole guadagnare la fiducia del popolo granata, è proprio dal Filadelfia che deve ripartire. “Non c’è luogo del mondo in cui l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio”, scriveva Albert Camus. E anche dal riappropriarsi di uno stadio, che forse passerà la riscossa di un Europa superficiale nell’aver venduto i propri diritti consuetudinari, conquistati con grandi sacrifici, ad un mercato globale senza nome e cognome. Tutto, necessariamente, deve ripartire dalla difesa del “Grund”. Questa sarà la sfida delle sfide di una civiltà europea ragionevole nell’ accettare dei cambiamenti, ma che non può rassegnarsi a morire. Lo dobbiamo a tutti quelli esistiti prima di noi. Anche tra le gradinate di uno stadio.